Nell’eterno dibattito sui caregiver, interminabile quasi come quello sul sesso degli angeli, si insinua una nuova sottile proposta: accanto al termine caregiver (naturalmente invariato al femminile come al maschile, malgrado il rapporto reale sia di circa 9 a 1), accoppiare ufficialmente quello di “ulisside”.
Tralasciando la questione irrisolta del sesso degli angeli e quella purtroppo risoltasi in senso negativo per le/i caregiver (hanno troppe cose da fare per pensare a queste futili piacevolezze), analizziamo quello che dovrebbero saper fare.
Innanzitutto “saper fare”, che significa esattamente sapere e fare, un po’ come il motto benedettino Ora et Labora. “Ora” non vuol dire “adesso”, come io credevo, ma “prega”, prega di avere la forza di fare quello che devi, cioè il tuo lavoro quotidiano: assistere. Fine della spiegazione.
Ma cosa c’entrano gli “ulissidi”? C’entrano, c’entrano! Chi più degli “ulissidi”, infatti, persegue “virtute e canoscenza”? Le/i caregiver, naturalmente, virtuose/i nell’assistere e conoscitrici/conoscitori magistrali del “care” (l’assistito).
Certo che scrivere ogni termine al femminile e al maschile è una bella fatica! Cercasi quindi un nuovo termine asessuato, come forse sono gli angeli.
Caregiver, o è meglio “ulissidi”, che perseguono “virtute e canoscenza”?
«Nell’eterno dibattito sui caregiver, interminabile quasi come quello sul sesso degli angeli, si insinua una nuova sottile proposta: accanto al termine caregiver (naturalmente invariato al femminile come al maschile, malgrado il rapporto reale sia di circa 9 a 1), accoppiare ufficialmente quello di “ulisside”. Chi più degli “ulissidi” – scrive infatti Giorgio Genta, rifacendosi all’Ulisse dell’Inferno dantesco – persegue “virtute e canoscenza”? Le/i caregiver, naturalmente, virtuose/i nell’assistere e conoscitrici/conoscitori magistrali del “care” (l’assistito)»