Quest’anno i pomodori raccolti da Davide, ventitreenne con disabilità intellettiva, erano più piccoli. Quest’anno sui campi di San Cataldo, a circa 10 chilometri da Lecce, il caldo che spezza il respiro e la schiena è cominciato ai primi di maggio. Eppure Davide Laudisa non ha dubbi: per venire a raccogliere pomodori, fagiolini, zucchine si sveglia alle 6.30 del mattino e prende la “corriera” da Cavallino, il paese dove vive; il suo lavoro di agricoltore gli piace: «Anche se sono molto stanco, sono contento. Tra cinque anni starò facendo lo stesso mestiere con gli stessi colleghi».
Gli chiediamo cosa pensa del cambiamento climatico, principale responsabile non solo del rimpicciolimento dei pomodori da lui coltivati con metodi naturali: «È un problema serio ed è colpa nostra».
Alla Fondazione DIV.ergo di Lecce che porta avanti il progetto Utilità Marginale, programma di agricoltura sociale per il recupero e la valorizzazione di terreni abbandonati e che ha permesso di assumere regolarmente Davide e altri giovani come lui, si stanno interrogando sul futuro. Anche con la consapevolezza che bisogna in qualche modo adattarsi alla crisi climatica.
«Proprio l’eccesso di sole e di calura ci sta facendo puntare l’attenzione verso processi di trasformazione dei prodotti agricoli, come l’essiccazione. Da settembre partiremo con zafferano in stimmi, topinambur, agrumi e fichi lavorati attraverso l’essiccazione con le reti oppure tramite un essiccatore fotovoltaico», spiega Gianluca Marasco, responsabile della comunicazione di Utilità Marginale, iniziativa avviata con il contributo della Fondazione Con il Sud nel 2018.
L’utilità marginale è uno dei capisaldi della teoria economica neoclassica, ma in questo caso è il nome di un piano di azione per restituire valore e dignità a tutto ciò che è ai “margini”. In questi anni, il recupero di terreni incolti e irrigui è stato un mezzo fondamentale per contrastare l’abbandono di aree rurali, lì dove i roghi sono la calamità più rilevante per l’agricoltura in Puglia. La carta vincente è stata coltivare prodotti ricercati, alternativi alla produzione agricola intensiva, finiti poi sulle tavole dei migliori ristoranti di Lecce.
Ma questa non è una storia di nicchia: la storia di Davide e dei suoi compagni, infatti, giovani con disabilità che portano avanti a fatica un’agricoltura sostenibile, è utile a indagare, anche attraverso una lente non assistenzialista, l’impatto della crisi climatica sulla vita e i diritti delle persone con disabilità.
«Il cambiamento climatico sta minacciando direttamente e in modo sproporzionato il diritto alla salute delle persone con disabilità a causa delle temperature sempre più elevate, degli elevati inquinanti atmosferici e della crescente esposizione a eventi meteorologici estremi, che includono ondate di calore, inondazioni, uragani e incendi». Così scrivevano Penelope J.S. Stein e Michael Ashley Stein, fornendo i particolari di come il clima fuori controllo ricada sulle fasce più deboli della popolazione, nella rivista scientifica «Lancet» (Climate change and the right to health of people with disabilities, dicembre 2021): «Sorprendentemente, il tasso di mortalità globale delle persone con disabilità in caso di calamità naturali è fino a quattro volte superiore a quello delle persone senza disabilità a causa della scarsità di pianificazione inclusiva, informazioni accessibili, sistemi di allerta precoce, trasporti e atteggiamenti discriminatori all’interno delle istituzioni e tra gli individui».
Ma non ci sono soltanto documenti specialistici: nel 2020 è stato pubblicato il Rapporto delle Nazioni Unite sulla promozione e tutela dei diritti delle persone con disabilità in questo scenario di crisi climatica, che formulava precise raccomandazioni sugli obblighi degli Stati in materia di diritti umani nel contesto dell’azione per il clima.
Ancora, nel 2021 a Glasgow in Scozia, in occasione della cosiddetta Cop26, l’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, ha provato ad alzare la voce chiedendo la garanzia che «tutti gli sforzi di mitigazione, adattamento, finanziamento e collaborazione siano pienamente accessibili e comprensivi di persone con disabilità, attraverso le loro organizzazioni di rappresentanza».
Le conseguenze del cambiamento climatico, hanno sottolineato dall’EDF, sono poi particolarmente gravi «per i membri della comunità dei disabili che subiscono forme intersezionali di discriminazione, tra cui donne, bambini, popolazioni indigene e altri gruppi minoritari; per chi vive la povertà; e per gruppi sottorappresentati di persone con disabilità, come persone con disabilità intellettive o psicosociali».
Inoltre, le persone con disabilità corrono un rischio maggiore di povertà energetica e persino azioni come il divieto della plastica monouso nell’Unione Europea, ricco di buone intenzioni ecologiste, incide negativamente sulle persone con disabilità che hanno bisogno di usare cannucce ogni giorno e vengono così lasciate senza opzioni comparabili. «Questa situazione si sarebbe potuta evitare adottando un approccio inclusivo e consultando le persone con disabilità», è stata la conclusione semplice e amara dell’EDF.
Di tutta questa discussione da noi in Italia non sembra ancora esservi traccia. «Il dibattito italiano – conferma in tal senso Giampiero Griffo, membro del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International), oltreché coordinatore del Comitato Tecnico-Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità – spesso ignora il dibattito internazionale e anche le organizzazioni che rappresentano le persone con disabilità, in primis le due Federazioni Nazionali, FISH e FAND, hanno sostanzialmente trascurato il tema».
«Nelle situazioni di emergenza conseguenti ad inondazioni, tifoni e tornadi – prosegue Griffo -, ma anche terremoti, incidenti industriali e guerre, i meno protetti sono le persone con disabilità. Nonostante l’articolo 11 (Situazioni di rischio ed emergenze umanitarie) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che impegna i 182 Stati che l’hanno ratificata a garantire l’eguale protezione di queste persone in crisi umanitarie e situazioni di emergenza, nonostante vari documenti internazionali delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea del Consiglio d’Europa, i sistemi pubblici di protezione civile sono ancora impreparati ad intervenire su questa fascia di popolazione (più di un miliardo di persone nel mondo, 90 milioni nell’Unione Europea, circa 9 milioni in Italia). Lo abbiamo visto con i rifugiati e richiedenti asilo con disabilità, lo abbiamo riscontrato durante la pandemia da Covid, dove le persone con disabilità non sono state protette adeguatamente, lo stiamo vedendo in questi mesi anche per i rifugiati con disabilità ucraini».
Ma perché per affrontare la crisi climatica dovremmo tener presente i bisogni delle persone con disabilità? «Prima di tutto i diritti di queste persone – risponde Griffo -. La citata Convenzione ONU riconosce infatti la titolarità dei diritti umani e delle libertà fondamentali, mentre i bisogni non sono tutelati da leggi. Intanto tutti i documenti internazionali su crisi umanitarie e situazioni di emergenza indicano nel coinvolgimento delle Associazioni di persone con disabilità e dei loro familiari l’elemento che renderebbe migliore il sistema di protezioni indirizzato a questi cittadini».
Penso allora al lavoro prezioso di Davide e della Fondazione di Lecce, ma anche purtroppo a come le informazioni sui cambiamenti climatici spesso non vengano trasmesse in formati accessibili o ancora quanto siano impraticabili i sistemi di riciclo per i non vedenti e chiedo a Griffo: come si coinvolgono le persone con disabilità nella lotta contro la crisi climatica?
«Prima di tutto con un’adeguata informazione e comunicazione. L’Italia dovrebbe sviluppare una maggiore consapevolezza sull’impatto che i cambiamenti climatici hanno sulle popolazioni. Il tema del caos climatico ci riguarda perché richiede un nuovo approccio allo sviluppo – vedi gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, dove le persone con disabilità sono incluse e beneficiarie dello sviluppo – e una forte consapevolezza della popolazione, che può contribuire con comportamenti responsabili a ridurne l’impatto. Naturalmente è grande il ruolo degli Stati: purtroppo siamo ancora lontani da un accordo mondiale su come comportarsi».
A proposito del “ruolo degli Stati” su cui Griffo pone tanto l’accento, continuano ad arrivare segnali che non indicano un’inversione di rotta. Anzi, un paio di mesi fa è stato pubblicato un nuovo rapporto, intitolato Disability Inclusion in National Climate Commitments and Policies, in cui si evidenzia che le persone con disabilità sono “sistematicamente ignorate” e solo 35 dei 195 Stati firmatari dell’Accordo di Parigi del 2015 fanno riferimento alle persone con disabilità nel loro NDC, ovvero nei loro piani nazionali per le azioni contro il cambiamento climatico. E l’Italia non è tra i 35 stati “illuminati” che hanno assunto provvedimenti adeguati nei propri piani di adattamento.
Ma poiché chi scrive crede che «a volte ci spezziamo solo per far entrare la luce» (citazione da una nota serie televisiva post-fine del mondo), vogliamo avviarci alle conclusioni con un piccolo focus sul progetto del Dipartimento della Protezione Civile denominato Abili a proteggere, il cui obiettivo è «tenere alta l’attenzione sul soccorso e l’assistenza alle persone disabili in emergenza e favorire interventi di prevenzione».
Al coordinatore Edgardo Reali abbiamo chiesto come si fa a prepararsi in anticipo alle emergenze legate alla crisi climatica, come trovare prima percorsi e strumenti per proteggere persone con disabilità. Ecco due passaggi importanti della nostra chiacchierata.
«Attualmente c’è grande attenzione per il rischio di alluvioni, sempre più numerose e improvvise, e per le ondate di calore che colpiscono diversi territori. È importante ricordare che le esigenze specifiche delle persone con disabilità in queste situazioni possono riguardare tutti, perché tutti possiamo avere o vivere problemi temporanei che limitano la nostra autonomia in diverse aree».
«Attraverso la campagna Io non Rischio – ha aggiunto – il Dipartimento di Protezione Civile, in collaborazione con l’ANPAS (Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze), l’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), ReLUIS (Rete dei Laboratori Universitari di Ingegneria Sismica) e CIMA (Centro Internazionale in Monitoraggio Ambientale), ha avviato una campagna di comunicazione specifica per far conoscere i rischi principali nei diversi territori del nostro Paese. Nello specifico della disabilità, la pianificazione è un elemento decisivo e gli strumenti fondamentali sono l’accessibilità dei luoghi e l’accessibilità ai sistemi di comunicazione, in caso di emergenza. Questo risultato è possibile solo a una condizione, vale a dire l’inclusione e la partecipazione delle stesse persone con disabilità alle attività di pianificazione ed esercitazione. Per fare ciò, Abili a proteggere promuove un approccio culturale rinnovato: le persone con disabilità non sono solo persone da assistere, ma persone che vogliono e possono dare un contributo attivo a questa fondamentale attività di pianificazione. Portando il loro punto di vista, infatti, portano informazioni importanti per tutti. Perché tutti possiamo essere fragili in un particolare momento della nostra vita».
Fragili proprio come Paola, una giovane con disabilità intellettiva che aveva 19 anni all’epoca del terremoto che colpì il Centro Italia: con il ricordo di quei momenti, che segnerebbero la vita di chiunque, vogliamo chiudere per ricordare che le persone con disabilità sono sempre le più colpite dai disastri naturali in generale.
Paola è di Sarnano, in provincia di Macerata, uno dei 138 borghi danneggiati dal sisma del 2016. Quando ci fu il terremoto, lei si impietrì, «non riuscì letteralmente a muoversi», come ci racconta il papà, Giuseppe Monaldi, volontario dell’ANFFAS Sibillini (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale). E se «quel terrore negli occhi se l’è portato negli anni», i mesi successivi Paola li ha trascorsi con i genitori al Palazzetto dello Sport dove non c’erano i suoi cubi ad esempio, dove cioè non poteva più avere le sue abitudini, che rappresentano punti cardinali nella vita quotidiana di una persona con disabilità intellettiva. Per persone come Paola in queste situazioni, oltre alle file agevolate, non erano stati implementati servizi ad hoc, «perché non ci sono persone preparate», fa notare Giuseppe.
«Ricordo però che i Vigili del Fuoco e i volontari della Croce Rossa ci portarono a prendere la chitarra», ecco in queste situazioni la generosità d’animo non può bastare.
Il presente approfondimento è apparso nella testata «Slow News» (rubrica “Ed è subito sera. Storie di indipendenza, inclusione e disabilità”) e viene qui ripreso con alcuni riadattamenti al diverso contenitore per gentile concessione.
Per approfondire ulteriormente la materia delle persone con disabilità di fronte ai vari tipi di emergenze, è possibile accedere al nostro testo intitolato Soccorrere tutti significa soccorrere meglio (a questo link), al cui fianco vi è il lungo elenco dei contributi da noi pubblicati in questi anni, riguardanti anche l’impatto dei cambiamenti climatici.