«Sebbene siano passati otto anni dall’entrata in vigore del DPCM che ha disciplinato l’ISEE [Indicatore della Situazione Economica Equivalente, N.d.R.] e sebbene molti Comuni siano già stati condannati, le persone con disabilità e le loro famiglie sono ancora costrette a rivolgersi ai tribunali per vedere riconosciuti i propri diritti»: erano state quanto mai chiare, su queste stesse pagine, le parole di Alessandro Manfredi, presidente della Federazione lombarda LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità), nel commentare l’ultima di tante Sentenze analoghe con cui il TAR della Lombardia (Tribunale Amministrativo Regionale) aveva condannato un Comune della Regione, per non avere rispettato la normativa regionale e nazionale sulla compartecipazione alla spesa dei servizi per le persone con disabilità.
A fornire un prezioso contributo di chiarezza sulla materia, e guardando non solo alla Lombardia, era arrivato successivamente anche un approfondimento curato dal Centro Studi Giuridici HandyLex, di cui torniamo a suggerire caldamente la consultazione (a questo link), prodotto segnatamente «per evitare il ricorso sistematico all’Autorità Giudiziaria e soprattutto ritenendo utile per tutti (persone con disabilità e loro familiari, Pubbliche Amministrazioni ecc.) fare il punto rispetto ai criteri sulla compartecipazione al costo per i servizi fruiti dalle persone con disabilità».
A quanto pare, però, il ricorso alle Autorità Giudiziarie sul tema dell’ISEE e dei servizi in alcuni casi continua ad essere necessario, così come le conseguenti Sentenze.
Di quella prodotta nella primavera scorsa dal TAR del Veneto (Tribunale Amministrativo Regionale), che aveva ritenuto illegittime la modalità adottate da un Comune del Vicentino, per determinare la quota di compartecipazione al costo per la fruizione di un servizio socio-sanitario residenziale a carico di una persona con disabilità maggiorenne, abbiamo già riferito a suo tempo in altra parte del giornale. Ora registriamo quella pubblicata all’inizio di agosto ancora dal TAR della Lombardia (1878/22), centrata sul «regolamento comunale per l’integrazione delle rette di ospitalità in strutture per anziani e disabili».
Ciò che appare interessante in tale pronunciamento è in particolare il brano delle motivazioni qui di seguito riportato: «Il d.p.c.m. n. 159 del 2013 [riforma dell’ISEE, N.d.R.] contiene disposizioni analitiche finalizzate alla valorizzazione della situazione reddituale e patrimoniale dell’assistito al fine di determinarne la reale capacità economica. Risulta pertanto evidente che, essendo la finalità dell’ISEE quella di determinare la reale capacità economica dell’assistito, l’intervento del Comune deve essere congruente alle sue risultanze. Le amministrazioni, in altre parole, non possono richiedere al disabile una compartecipazione sproporzionata o addirittura superiore alle sue capacità economiche, così come risultanti secondo i criteri ISEE, giacché, in caso contrario, gli verrebbero richiesti sforzi economici che il legislatore nazionale considera da lui non sostenibili, e ciò anche in considerazione dell’impossibilità di dare rilievo, a tal fine, a tutte quelle entrate che non possono trovare ingresso nel calcolo della stessa ISEE, tra cui, in primo luogo, l’indennità di accompagnamento e di invalidità civile [grassetti nostri nella citazione, N.d.R.]».
Si tratta dunque di un altro utile “tassello giurisprudenziale” a costruire un quadro che non sembra lasciare scampo a quei Comuni che vanno oltre le norme fissate a livello nazionale in tema di ISEE. (S.B.)
Ringraziamo il Gruppo Solidarietà per la segnalazione.