Linee Guida sul collocamento mirato: le reti e i responsabili degli inserimenti

«Torniamo ad analizzare le Linee Guida per il collocamento mirato delle persone con disabilità – scrive Marino Bottà -, dopo esserci occupati in due precedenti contributi di Banca Dati Unica Nazionale, del personale che si occupa del collocamento al lavoro e delle buone pratiche esistenti. Questa volta ci dedichiamo alle reti e ai responsabili degli inserimenti e le criticità non mancano di certo, nemmeno su tali temi»

Persona con disabilità intellettiva al lavoro (foto di Merino Bottà)

Una persona con disabilità intellettiva al lavoro (foto di Merino Bottà)

Dopo un silenzio durato praticamente sei anni, dal 2015 al 2021, e la deriva del sistema pubblico di collocamento delle persone con disabilità, nel luglio scorso a Roma i ministri Andrea Orlando (Lavoro e Politiche Sociali) ed Erika Stefani (Disabilità) hanno presentato quello che dovrebbe essere il viatico risolutore di ogni problema occupazionale che attanaglia le persone con disabilità, ossia: Piano Nazionale di Ripresa e ResilienzaLegge Delega in materia di disabilità (Legge 227/21)-Linee Guida per il collocamento mirato. È però bene non farsi troppe illusioni, visto che vari dirigenti regionali, responsabili delle Agenzie Regionali e del Collocamento Disabili, hanno dichiarato che da subito si devono occupare del programma GOL (Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori) e tralasciare il prosaico collocamento delle persone con disabilità, del resto marginalmente inclusi nel progetto stesso.
Da un po’ di mesi, quindi, ascoltiamo solo chiacchiere utili a coprire il vuoto di contenuti e millantare obiettivi e successi che non verranno mai realizzati. Ma come già facilmente pronosticato, gli attuali attori non ne risponderanno in prima persona, alla luce della crisi di governo…

Ma torniamo ad analizzare le Linee Guida per il collocamento mirato, dopo esserci occupati in due precedenti contributi pubblicati su queste pagine di Banca Dati Unica Nazionale, del personale che si occupa del collocamento al lavoro e delle buone pratiche esistenti [rispettivamente a questo e a questo link, N.d.R.], dedicandoci questa volta alle reti e ai responsabili degli inserimenti.
Nel sistema pubblico, in alcune Regioni, si presta particolare attenzione allo sviluppo delle reti per l’integrazione lavorativa, ossia un gruppo di Enti di un determinato territorio che collaborano nella gestione di: servizi, progetti e azioni, a favore dell’inclusione lavorativa delle persone con disabilità. Spesso l’operatività delle reti si traduce nella presa in carico della persona con disabilità, per realizzare un percorso di accompagnamento al lavoro. Purtroppo le poche reti esistenti, costituite da servizi pubblici, cooperative sociali, enti di formazione, agenzie private ecc., sono scarsamente efficaci, in quanto ogni partner si attiva autonomamente, ritenendo di essere in possesso di tutte le competenze necessarie per promuovere l’inclusione lavorativa. I risultati ottenuti sono alquanto deludenti e non giustificano il dispendio di denaro, di energie e di passione personale dei singoli operatori. Col passare del tempo sono emersi aspetti negativi, quali l’autoreferenzialità, l’autarchia, la concorrenzialità e la confusività, che hanno compromesso il lavoro svolto.
Siamo tutti concordi nell’affermare che le contraddizioni sociali richiedono la partecipazione di più soggetti che operino in sinergia, però ognuno dovrebbe contribuire valorizzando il proprio patrimonio di esperienze e conoscenze. evitando inutili sovrapposizioni, confusioni e concorrenzialità. Bisognerebbe creare network locali, sistemi territoriali per il lavoro, coordinati, sinergici ed efficaci. A ricordarcelo fu il console romano Menenio Agrippa, quando spiegò alla plebe che nel corpo umano tutti gli organi sono connessi, e sopravvivono solo se collaborano. L’uomo può così continuare a vivere! Ognuno con la propria funzione!
È con questo principio che il mondo scientifico affronta da sempre le complessità. Il welfare e le contraddizioni sociali richiedono lo stesso approccio, ossia la partecipazione di più soggetti, in grado di suddividersi i compiti e creare uno spirito di sussidiarietà verticale e orizzontale.
Ebbene, alla proposta ministeriale le Regioni rispondono: «Al contempo, si ravvisa un elemento di criticità nell’interazione tra soggetti istituzionali (INAIL, INPS) e non che intervengono nella materia del collocamento mirato secondo modalità che, di fatto, sono soggette ad una estrema varietà di assetti e soluzioni locali […]. Desta preoccupazione la responsabilità, in capo alla Regione, di una rete della quale non ha la governance».
A questo si aggiunga che stiamo parlando di soggetti che usano linguaggi tecnici differenti, prassi operative e figure professionali proprie. È sufficiente osservare i dati oggi disponibili per constatare quante persone con disabilità (e non mi riferisco ai cosiddetti “disabili-abili” e “super-abili”) siano state assunte nominativamente dalle aziende, oltre alla durata dei loro contratti di lavoro, per rendersi conto che i risultati non valgono l’investimento profuso.

Per quanto riguarda il responsabile del collocamento, il Decreto Legislativo 151/15 e il secondo Programma di Azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità, prevedevano che ci fosse «all’interno delle aziende di grandi dimensioni una unità tecnica (osservatorio, ufficio antidiscriminazione o di parificazione) in stretto accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, che si occupasse, con progetti personalizzati dei singoli lavoratori con disabilità, di affrontare e risolvere problemi legati alle condizioni di lavoro dei lavoratori con disabilità utilizzando appropriate competenze».
Il Decreto 151/15, nello specifico, proponeva un osservatorio tecnico aziendale che operasse a favore dell’inclusione dei lavoratori con disabilità, contrastando ogni forma di discriminazione. La costituzione di esso, su base volontaria, dovrebbe prevedere la presenza delle rappresentanze sindacali, del medico del lavoro, di esperti di ausili ecc. e a tale organismo spetterebbe anche il compito di monitorare  il rispetto degli obblighi di legge. Questa proposta, com’era palese fin dall’inizio, non ha avuto alcun successo.
Ora si parla di un responsabile aziendale degli inserimenti lavorativi, ma le aziende, a loro avviso, già dispongono di questa figura professionale, che spesso chiamano recruiter, o addetto alle human resources, non vedono quindi la necessità di un responsabile degli inserimenti o dell’osservatorio. Quest’ultimo potrebbe essere utile per le aziende di grosse dimensioni, mentre tutte hanno bisogno di un supporter che le aiuti nella ricerca e nella selezione dei lavoratori con disabilità, che curi i rapporti con: il Collocamento Disabili, i servizi territoriali e le cooperative sociali, che dia utili consulenze in merito ai rapporti di lavoro, alle agevolazioni, che gestisca i problemi del personale disabile interno ecc.
Alla totalità delle aziende, infine, serve un Disability Job Supporter, magari con un incarico temporaneo, che affianchi il proprio personale in tutto ciò che è inerente all’assolvimento degli obblighi di legge. Tutto il resto, a mio parere, sono chiacchiere.

Non ci resta dunque che attendere, vedere i risultati e aspettare alcuni anni, magari per sentirci dire che nulla è cambiato, che il sistema del Collocamento Disabili non ha dato i risultati sperati a causa di… ecc. ecc.

Già responsabile del Collocamento Disabili e Fasce Deboli della Provincia di Lecco è oggi direttore generale dell’ANDEL (se ne legga la presentazione sulle nostre pagine), l’Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro (marino.botta@andelagenzia.it).

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