Si è concluso proprio in questi giorni il SondaPride, interessante progetto curato da Simone Riflesso, attivista gay e persona con disabilità, volto a effettuare la prima mappatura dell’accessibilità dei pride italiani alle persone con disabilità. Nello specifico l’iniziativa ha inteso rispondere alle seguenti domande: quale spazio hanno le persone con disabilità e neurodivergenti LGBTQ+ (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transessuali, Queer) all’interno delle manifestazioni? Qual è il livello di accessibilità dei pride e delle iniziative ad essi collegate? Quale spazio ha la disabilità nelle iniziative di rivendicazione dell’orgoglio queer?
In realtà con l’espressione inglese pride (che letteralmente significa “orgoglio”) si fa riferimento a due diversi concetti. Da un lato si intende la fierezza delle persone LGBTQ+ di essere ciò che sono; dall’altro lato si intendono indicare le variopinte manifestazioni che si tengono nelle strade e nelle piazze di molte città del mondo, avviate nel 1969, diffondendosi ed evolvendosi capillarmente fino ai giorni nostri, con lo scopo di rinnovare di anno in anno le richieste politiche di uguali diritti e adeguate tutele affinché si possa raggiungere una parità di trattamento dal punto di vista civico e legislativo. In altre parole, la comunità LGBTQ+ rivendica il proprio diritto ad esprimere liberamente il proprio orientamento sessuale e/o la propria identità di genere.
Il lavoro curato da Riflesso fa riferimento a quest’ultimo aspetto ed è stato svolto attraverso due questionari di rilevazione, uno rivolto aз* partecipanti delle manifestazioni, e l’altro agli enti organizzatori che compaiono su ondapride.it (un elenco dei principali pride italiani), chiedendo di indicare quali interventi di accessibilità siano stati riscontrati e previsti per gli eventi organizzati.
Il riscontro è stato apprezzabile: hanno risposto infatti 42 enti organizzatori su circa 50, e 161 partecipanti. Le rilevazioni hanno riguardato i diversi momenti delle manifestazioni, alcuni aspetti della comunicazione e il livello di inclusione della disabilità negli interventi e nelle tematiche nelle iniziative correlate al pride.
«Il SondaPride – precisa l’Autore dell’indagine – non nasce come uno strumento di denuncia, ma come strumento di consapevolezza». Esso, infatti, vuole fotografare la situazione presente per individuare le criticità da risolvere e gli aspetti da migliorare. Il quadro che ne è scaturito è molto complesso e frammentato, «con realtà virtuose che funzionano piuttosto bene, altre che fanno il minimo indispensabile e alcune ancora che arrancano e sicuramente sottovalutano l’importanza dell’accessibilità e dell’inclusione della disabilità».
Tutti i risultati dell’indagine sono disponibili nella pagina dedicata al progetto, nel rapporto finale liberamente scaricabile a questo link, e nella mappa che ne è scaturita, anch’essa disponibile online a quest’altro link. Vediamone qualcuno.
Per ciò che riguarda le persone con disabilità fisico-motorie, in alcuni casi non si è ancora raggiunta una totale accessibilità fisica degli spazi e, a parere di Riflesso, c’è poca attenzione nella presenza di servizi igienici accessibili. Prova ne sia che solo un organizzatore, tra quelli interpellati, ha pensato a un numero telefonico dedicato da utilizzare durante il corteo e la manifestazione per chiedere assistenza. Negli altri casi, per chi ne avesse bisogno, potrebbe essere molto difficile contattare direttamente il servizio d’ordine per chiedere un aiuto (quando previsto). Inoltre sembra esserci una bassissima attenzione per le persone con disabilità “invisibili”, come quelle di chi ha malattie e dolori cronici e limitate disponibilità energetiche o, ancora, per chi rischia un’iperstimolazione sensoriale e chi soffre d’ansia sociale.
La mancanza di accessibilità non è compensata dalla possibilità di partecipare da casa, visto lo scarsissimo numero di dirette o registrazione dei contenuti (rilevate in soli sei casi). L’aspetto della comunicazione è stato indagato sia nel senso di fornire informazioni sull’accessibilità delle manifestazioni, sia in quello di curare l’accessibilità delle comunicazioni sui social. In merito Riflesso spiega che solo quattro siti web hanno una sezione apposita dedicata ai servizi di accessibilità, e solo uno di essi ne dà comunicazione via social, spesso male. «Nella maggior parte dei casi non compare nessuna traccia di servizi di accessibilità, probabilmente perché non previsti».
La scelta di indagare l’accessibilità dei pride ha per Riflesso un valore simbolico, e vuole essere uno stimolo a ripensare l’intero associazionismo espressione della comunità LGBTQ+ «in chiave intersezionale e accessibile – argomenta –. Perché è bene ripeterlo: non esiste intersezionalità senza accessibilità». La mancanza di attenzione all’accessibilità, dunque, genera esclusione. Conclude infatti l’attivista: «all’interno della comunità LGBTQ+ ci sono persone disabili e neurodivergenti che sono troppo spesso escluse, le cui istanze non vengono ascoltate o accolte. Abbiamo bisogno di accoglienza, abbiamo bisogno di interesse. Abbiamo bisogno di safe places [luoghi sicuri, N.d.R.]».
*Nel presente testo si fa uso dello schwa (ə) per il singolare e dello schwa lungo (з) per il plurale in luogo delle desinenze femminili e maschili comunemente utilizzate quando ci si riferisce alle persone. Si tratta di un tentativo sperimentale finalizzato a promuovere l’impiego di un linguaggio inclusivo dei generi femminile, maschile e non binario (per approfondire si legga anche S. Lancioni, Un linguaggio accessibile e inclusivo delle differenze tra i generi).
Per approfondire ulteriormente, suggeriamo la consultazione della Sezione dedicata al tema Il contrasto all’abilismo e all’omolesbobitransfobia, nel sito del Centro Informare un’h.