È stato recentemente presentato, nella serata di domani, venerdì 30 settembre (ore 20), nel corso di un incontro online (la registrazione è disponibile a questo link), il libro Un progetto di vita: la musica e la speranza (Europa Edizioni), ovvero, come recita il sottotitolo, Una traccia per costruire il diritto alla tutela alla salute e alla vita e un servizio assistenziale di qualità. A scriverlo è stata Angela Lotito e il protagonista assoluto ne è il fratello Antonio (“Tonio” ), e la sua complicata storia di vita e di dignità, nel segno della musica, della fede, di una “squadra” che lo ha sempre sostenuto, di fronte a una “compagna di vita” via via più aggressiva quale una grave forma di distrofia muscolare progressiva.
Per far capire uno dei principali obiettivi dell’opera, che la rendono particolarmente significativa, basta citarne due passaggi conclusivi, quando si scrive che «Tonio, nella sua battaglia, rappresenta i tanti Tonio che non hanno voce, che vivono nella solitudine, nell’abbandono, nelle difficoltà, in una vita dipinta di tinte fosche e costellata da momenti dolorosi». E ancora: «Tonio spera di aprire una pista per chiedere che il diritto alla tutela della salute, alla vita, ai diritti fondamentali dell’uomo sia esteso a tutti».
Già a lungo insegnante, appassionata allo studio del metodo Bright Start di Carl Haywood, della Valutazione dinamica di Carol Lidz e dei Sistemi di Gestione, Qualità e Accreditamento nelle Istituzioni Scolastiche e Universitarie, Angela Lotito, grazie alle tante esperienze vissute, studiando a fondo la normativa scolastica e sanitaria, ha rafforzato e maturato la convinzione che per conseguire risultati apprezzabili teoria e pratica siano tanto fondamentali quanto insufficienti senza un terzo elemento, il più importante, ovvero «il concreto desiderio di cambiare».
Antonio e la sua “squadra”: storie di vita e di dignità
di Stefano Borgato
Al principio è stato il canto: «Ti cerca un baritono!», messaggio inconsueto per chi come me lavorava in un’associazione impegnata sulle malattie neuromuscolari. Ho così potuto conoscere un simpatico giovane pieno di vita, con tanta voglia di viaggiare e di portare il proprio canto in giro per l’Italia e non solo. Grazie poi ad alcune registrazioni, ne ho ascoltato subito dopo anche la bella voce e non è stato certo un problema cercare di aiutarlo ad organizzare qualche concerto.
Antonio non era solo, aveva alcune compagne di vita fondamentali, una delle quali parecchio scomoda, una malattia progressiva che purtroppo ne avrebbe frustrato la voglia di cantare. Poteva contare, però, anche su una “squadra” formidabile, la mamma, le sorelle, che mai lo avrebbero abbandonato di fronte ai duri percorsi che lo avrebbero atteso negli anni.
Da una parte i ricoveri in centri specializzati, per rendere più accettabile la sua condizione di salute, anche dopo lunghi e faticosi viaggi per l’Italia; dall’altra parte leggere, documentarsi, informarsi, per capire la situazione delle ricerche in corso. Una sorta di labirinto, apparentemente senza via d’uscita, tra momenti di entusiasmo e altri di cadute, ma sempre con una grande voglia di lottare.
Con il tempo, però, crescendo i bisogni di assistenza, alla “squadra” servivano altre forze, per superare ostacoli, se possibile, ancora più complicati della stessa malattia: era arrivato il tempo della burocrazia, dell’incomprensione, talora dell’inciviltà.
Angela, la sorella di Antonio, lo racconta bene in questo libro. La sua vita è in una città del Nord, ma ne è stata protagonista in prima persona e solo fisicamente da lontano.
Spesso ho pensato a lei come al protagonista del film Braveheart, “cuore impavido”, che lì combatte e vince nella Scozia del Duecento, qui ha a che fare con un “nemico” altrettanto concreto nell’Italia del Duemila: le interpretazioni delle leggi, le sentenze, le delibere amministrative, tutto per garantire ad Antonio la vita più dignitosa possibile, con la giusta assistenza. Battaglie dure, spesso contro “muri di gomma”, ma la “squadra” non si è mai arresa e alla fine i risultati sono arrivati.
Sono storie di vita piene di dignità, quelle di Antonio e della sua “squadra”, una dignità che mai è venuta meno, nemmeno nei peggiori momenti di sconforto. E chiacchierare con Antonio di musica, di medicina, di tradizioni della sua terra o di fatti di cronaca, è sempre un piacere immutato. Oltre alla fortuna di avere costruito in tanti anni un’amicizia solida con una “squadra” tanto forte, per la quale vale davvero la pena di fare il tifo sino in fondo.
Come intitolerei questo libro? In modo molto semplice: “Si può fare, nonostante tutto”. E lo consiglierei a chiunque, ma in particolare a chi ancora non riesce a trovare la via d’uscita dal proprio labirinto.