Si chiamano Antonella, Samanta, Margherita, Pina e Laura. Sono cinque mamme con disabilità motoria. Tutto è nato da un’amicizia, un gruppo WhatsApp, per condividere esperienze simili, scambiarsi consigli, confrontarsi. Poi è diventato qualcosa di più strutturato e oggi la pagina Facebook DisabilmenteMamme è seguita da più di 2500 persone. Ne abbiamo parlato direttamente con loro.
Antonella, Samanta, Margherita, Pina e Laura, ci raccontate qualcosa di voi?
Antonella: «Sono una mamma di 33 anni e sono diventata madre otto anni fa. Ho una disabilità che si chiama diplegia spastica ed è dovuta a una paralisi cerebrale infantile, ma sono una donna come tutte le altre».
Samanta: «Ho 39 anni, vivo a Varese, quasi sul confine con la Svizzera, sono laureata in Filosofia e la mia bimba ha quasi 6 anni. Mi definisco una persona e una mamma tendenzialmente testarda, scelgo sempre, consciamente o inconsciamente, la strada più originale, quella che percorrerebbero in pochi. Ho una paralisi cerebrale infantile dalla nascita, in parole povere ho un equilibrio instabile e alcune difficoltà con la motricità fine. Ho sovvertito molti pronostici nefasti fatti alla mia nascita: dicevano che non avrei camminato né parlato, ma faccio entrambe le cose, anzi sono quasi logorroica. Mi sono diplomata al liceo artistico, perché ho sempre amato disegnare, anche se le mie mani spesso non sono state collaborative. Mia figlia è arrivata il giorno di Natale di sei anni fa, è nata con un parto naturale, che a molte donne con disabilità motoria spesso non è concesso, infatti il protocollo solitamente prevede che venga eseguito un parto cesareo programmato. Ma io, come dicevo, sono testarda e ho seguito il mio percorso e il mio sentire, quindi mia figlia è nata quando ha voluto e nel modo più naturale possibile. Dicevano anche che non avrei mai allattato, perché le madri disabili non allattano (come se non fossimo donne con un corpo come tutte): invece ho allattato a termine fino a 4 anni e 8 mesi della mia bimba, e presto vorrei diventare una mamma consulente in allattamento (una mamma peer). Sono sposata da sei anni e conosco mio marito da ventuno anni. Al momento, oltre a fare la mamma, lavoro come scrittrice di articoli per varie testate e blog».
Margherita: «Ho 42 anni e ne compio 43 a novembre. Vivo in provincia di Cagliari e studio Scienze dell’Educazione e Formazione. Mi sono sposata con Francesco nel 2016 e sono madre di Emanuele da tre anni».
Pina: «Ho 45 anni, sono laureata in Giurisprudenza e sono una persona che ama leggere e studiare. Sebbene non sia mamma, ho conosciuto la pagina Facebook del gruppo grazie a Margherita, con la quale ho condiviso l’esperienza universitaria. Questa scoperta mi ha aperto un mondo comunicativo molto vasto. Ciò mi rende molto felice perché ho la possibilità di imparare tante cose con il supporto di tutte, che colgo l’occasione per ringraziare».
Laura: «Sono una persona a cui vanno strette le etichette e le convenzioni sociali, ho sempre lottato per conquistare un posto nel mondo e per avere le stesse opportunità delle persone cosiddette “normodotate”. Sono contenta dei traguardi raggiunti».
Di riviste, libri, siti, gruppi e pagine Facebook che parlano di maternità ce ne sono tantissimi, ma cosa si può trovare di diverso nel vostro gruppo?
Antonella: «Quando ho contribuito a creare DisabilmenteMamme non c’era l’intenzione distinguersi dagli altri gruppi, ma semplicemente quella di aiutare in maniera pratica le donne con disabilità che eventualmente avessero voluto intraprendere il percorso di maternità. Poi il gruppo si è aperto a tutte le donne per non sentirci più sole. Volevo che il gruppo fornisse un supporto concreto, che coinvolgesse diverse figure professionali – lo psicologo, l’assistente sociale e altre persone specializzate in svariati campi – per dare risposte pratiche alle questioni che ogni donna deve affrontare, soprattutto quelle legate alla disabilità. Volevo che le donne potessero porre le loro domande senza paura. Prendi, per esempio, un’assistente sociale, chi non ha paura dell’assistente sociale? Io volevo dare alle donne la possibilità di confrontarsi con questi esperti senza paura e senza spendere un centesimo».
Samanta: «La nostra diversità consiste proprio nel voler normalizzare la genitorialità e la disabilità, far capire a più persone possibili che essere madre e persona con disabilità si può, e anzi è una cosa normale e dovrebbe essere una scelta libera che rientra nel diritto di autodeterminarsi. Condividendo le nostre esperienze da mamme, vogliamo semplicemente questo, non essere considerate come “straordinarie” o “poverine”, ma mamme come tutte le altre, seppur con certe difficoltà e adattamenti».
Margherita: «È vero che con i social network si possono trovare tanti gruppi che in diversi modi e nei diversi settori si occupano di disabilità, ma penso che la nostra peculiarità sia da ritrovarsi nella quotidianità degli eventi e nella diversità di approccio che riguarda ognuna di noi. Le nostre attività scaturiscono dall’amicizia e sono finalizzate al sostegno reciproco, sia pure tramite i social network».
Pina: «Noi ci distinguiamo perché le nostre vite sono tutte diverse, nonostante la patologia sia la stessa; inoltre io mi reputo molto fortunata perché siamo molto unite e cresciamo insieme».
Laura: «Nessuno parla di maternità e disabilità. Noi siamo madri come le altre, ma non possiamo nascondere che per noi affrontare una gravidanza e una maternità pone delle difficoltà differenti, e quindi abbiamo bisogno di adeguare le risposte alle nostre esigenze. Una mamma “normodotata” può però trarre spunto da qualche nostro suggerimento, perché se un’attività è inclusiva, vuol dire che è veramente per tutti».
Quali sono, in base alla vostra esperienza, gli ostacoli più comuni che incontra una donna con disabilità che desidera diventare madre?
Antonella: «Beh, gli ostacoli si trovano sin da subito, a partire da una semplice visita ginecologica in cui vedi la ginecologa spaventata perché non sa come farti la visita; se poi sei pure incinta, ti guardano come a farti capire “chi te l’ha fatto fare?”. Quindi c’è il parto cesareo quasi sempre obbligato, la casella della gravidanza barrata sempre come “gravidanza a rischio” – quando magari si tratta di una gravidanza fisiologica del tutto normale – solo perché hai una diagnosi di disabilità iniziale, che nulla c’entra né con il nascituro, né con la fase successiva al parto. Forse adesso si sta aprendo qualche spiraglio, ma quando sono rimasta incinta io, ovviamente gli assistenti sociali mi hanno fatto un po’ di pressione, un po’ tanta [intende una pressione volta a dissuaderla da intraprendere e portare a termine la gravidanza, N.d.R.]».
Samanta: «Parlando per me, per quella che è la mia esperienza, posso dire che in gravidanza ho subito una violenza ostetrica tale che mi ha costretto a dover cambiare struttura e ospedale per poter partorire mia figlia. Quindi l’ostacolo principale consiste nel fatto che si cerca di far desistere una donna dal diventare madre. Questa pressione viene esercitata prima da chi è vicino alla donna, poi dai sanitari e dai diversi professionisti. La ginecologa che mi seguì, di cui non farò il nome, mi disse in faccia: “Come le è venuto in mente di intraprendere una gravidanza nelle sue condizioni (fisiche)?”, alludendo alla mia disabilità motoria. Ecco questo è il pensiero tipico e pregiudizievole di molte persone, e la cosa grave è che spesso a pensare così sono i medici, che hanno atteggiamenti abilisti e ignorano le condizioni e i diritti delle future mamme con disabilità. Diritti, come quello di scegliere le cure e le modalità di parto che considerano migliori per se stesse».
Margherita: «Per ciò che riguarda la mia esperienza, io ero a fine gravidanza quando ho conosciuto Antonella e DisabilmenteMamme, perciò posso dire che sino ad oggi, ora che mio figlio Emanuele ha appena tre anni, ho vissuto l’esperienza di essere madre, e anche la scoperta degli ostacoli, assieme alle altre madri, e questo supporto mi ha sostenuto in tutte le fasi. Dal raccontarsi al chiedere consiglio per l’allattamento, da come tenerlo in braccio a come cullarlo, fino ad ora che cammina, e non è facile seguire e fare la propria parte come madre. L’ostacolo più grande che trovo è la poca conoscenza della disabilità, che è parte della persona e non tutta la nostra vita».
Pina: «Io a questa domanda non posso rispondere perché non sono mamma e ho scelto di non esserlo».
Laura: «I pregiudizi del mondo esterno. Per la società che ci circonda, maschilista e patriarcale, un uomo con disabilità che diventa padre è un uomo che dimostra di essere capace di procreare “nonostante tutto”, una donna con disabilità che diventa madre “se la va a cercare”. Senza considerare, in entrambi i casi, che i figli si fanno in due».
Che tipo di riscontri state avendo da quando i vostri scambi sono diventati pubblici?
Antonella: «Stiamo ancora lavorando tanto, però nel nostro piccolo diamo l’opportunità alle donne di confrontarsi l’una con l’altra e di capire che non sono sole. Questi scambi possono consistere nel condividere come cambi il tuo bambino quando sei a casa altrui; che scarpe metti d’estate per stare più comoda; che tipo di carrozzina usi se la lavatrice perde e si allaga il bagno; come lavi il pavimento, eccetera eccetera. Sono situazioni apparentemente banali, che però possono veramente costituire una difficoltà pratica, e trovare le risposte in un gruppo aiuta. C’è un passo della Bibbia che dice “Nella moltitudine dei consiglieri c’è la riuscita”, quindi nulla di più saggio che condividere le esperienze».
Samanta: «La maggior parte dei riscontri sono stati positivi, molte persone hanno capito e condividono i nostri percorsi e i nostri successi. Tanti sono curiosi e si avvicinano facendo domande e chiedendo aiuto, e noi, negli anni, abbiamo aiutato tante donne. Alcune sono diventate mamme dopo averci conosciuto, hanno preso coraggio sapendo che qualcun’altra ci era già passata».
Margherita: «La pagina Facebook per me è come una finestra, un diario dove raccontare ciò che mi succede. Non è facile perché non voglio essere, diciamo così, un “fenomeno social”, ma se penso che dall’altra parte c’è qualche persona che ha avuto le mie stesse condizioni e paure per la terapia, gli interventi, la scuola, fino ad arrivare a formarsi una famiglia… beh, se posso togliere qualche dubbio, ne sono felice, perché a me sarebbe servito».
Pina: «Io mi sono resa conto che vi è un deficit molto marcato per quanto riguarda la disabilità dovuto alla poca conoscenza e alla mancata collaborazione delle Istituzioni».
Laura: «La campagna #diversamenteincinta che lanciai durante la gravidanza ebbe un enorme successo: per la prima volta una donna con disabilità mostrava e si mostrava al grande pubblico come una donna normale».
Avete in cantiere un libro, potete dirci qualcosa di più? Cosa conterrà?
Antonella: «Sarà un libro bellissimo, un libro utile perché conterrà anche interviste ad assistenti sociali, psicologi, ginecologi, avvocati, fisioterapisti, fisiatri ecc. Ci sarà un’intervista alla dottoressa Domenica Taruscio, la direttrice del Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità. Ci saranno i riferimenti delle altre Associazioni con cui collaboriamo, e che potranno essere d’aiuto a chi legge il libro. Ci saranno le nostre storie e anche quelle di donne con genitori con disabilità, c’è la storia di una donna che ha una figlia con disabilità. Quindi penso che ognuna di noi avrà la possibilità di rispecchiarsi e di trovare indicazioni utili e pratiche».
Samanta: «Il libro conterrà diversi racconti ed esperienze personali e biografiche, oltreché interventi di specialisti che avvalorano le nostre scelte e affermano, facendo riferimento alle proprie competenze sanitarie e professionali, che molte cose sono possibili e, anzi, preferibili a protocolli imposti e uguali per tutti».
Margherita: «Il libro racconterà di noi da diversi punti di vista, e mostrerà la nostra eterogenea natura, ma anche la nostra amicizia».
Pina: «Il libro è un sogno che si realizza e racchiude le nostre vite e le nostre esperienze».
Laura: «Il volume conterrà le nostre esperienze, la nostra quotidianità. Il nostro amore per la vita».
Avete ideato da voi un logo molto curato. Cosa volete comunicare con esso?
Samanta: «Il logo è stato ideato e pensato da tutte, ma la realizzazione è stata fatta internamente da me. In esso è raffigurato l’albero della vita, che è sempre stato per me un simbolo potente che rappresenta la forza, la rinascita, il tempo che passa e la resilienza. Il logo ha una forma circolare, in modo da far capire che da bambina a donna e mamma è tutto un cerchio, la vita che si rinnova e si rinforza. Le radici sono quelle della mamma, la chioma e i colori sono il futuro e indicano tutte le nostre diversità e caratteristiche. Racconto qualche dettaglio in più sul logo in un testo pubblicato sul sito Disabili Abili, reperibile a questo link».
Margherita: «Per il logo dobbiamo ringraziare la creatività di Samantha che ha saputo esprimere su carta e con il colore cosa sono per noi la disabilità, l’indipendenza e la maternità, i concetti a cui si richiama il gruppo DisabilmenteMamme. Si tratta di un albero con delle radici che sono la nostra Vita, l’esperienza e l’amicizia, un bagaglio che poi speriamo di lasciare in primis ai nostri figli, e poi anche a chi segue il nostro percorso tramite i social network e le altre iniziative che verranno in futuro».
Pina: «Nel logo racchiudiamo la vita vista con la disabilità: per me ha un significato molto importante perché è il frutto di tanto lavoro da parte della persona che lo ha creato, alla quale sono immensamente grata».
Prevedete un’ulteriore evoluzione del vostro gruppo?
Antonella: «Stiamo diventando un’Associazione e stiamo creando dei bellissimi progetti con i Centri Antiviolenza. Continueremo ovviamente con i nostri eventi e con i contributi degli esperti. Abbiamo in cantiere tante belle novità che speriamo si realizzino, però non facciamo spoiler nel caso non si dovessero realizzare. C’è anche già la rubrica Filo diritto con Pina, che ricomincerà adesso e speriamo possa essere molto utile».
Samanta: «Il prossimo passo, oltre alla pubblicazione e alla sponsorizzazione del libro, sarà quello di costituirci come Associazione, per poter collaborare con diverse realtà, scuole e istituzioni, nonché per portare il messaggio sempre più lontano e più capillarmente possibile, partendo magari dalla sensibilizzazione nelle scuole e dei bambini, oltreché degli adulti».
Margherita: «Speriamo che DisabilmenteMamme cresca per aiutare a capire che convivere con la disabilità non è facile, ma che, ognuno a suo modo, può vivere pienamente ogni esperienza. Con questo spirito presto saremo un’Associazione».
Pina: «Sì, vogliamo crescere ed essere un ottimo strumento di conoscenza per gli altri».
Per approfondire ulteriormente i temi trattati nel presente contributo, si può fare riferimento innanzitutto alla sezione Donne con disabilità: diritti sessuali e riproduttivi, nel sito del Centro Informare un’h. Più in generale, su Donne e disabilità, si veda il lungo elenco di testi da noi pubblicati, presente a questo link, nella colonnina a destra dell’articolo intitolato Voci di donne ancora sovrastate, se non zittite, nonché la sezione Donne con disabilità, ancora nel sito del Centro Informare un’h.