La “favola” dell’inclusione scolastica non è finita, ma continuerà migliorandosi

«Non credo si debba guardare indietro – scrive Salvatore Nocera, commentando un testo di Ivana Consolo sull’inclusione scolastica, da noi pubblicato -, ma credo si debbano sempre più migliorare le spinte propulsive per il diritto all’eguaglianza e alla non discriminazione, pretendendo dai nuovi Governo e Parlamento la piena attuazione della normativa inclusiva, una seria formazione, con relativo adeguamento stipendiale di tutti i docenti, e un’effettiva efficienza dei servizi. Credo infatti che la “favola bella” dell’inclusione non sia finita, ma possa anzi continuare migliorandosi»

Ragazzi e ragazze con varie disabilità davanti a una scuola

Ragazzi e ragazze con varie disabilità davanti a una scuola

Leggo in «Superando.it» l’appassionata reprimenda della collega avvocata Ivana Consolo (Inclusione scolastica: tutto da rifare?), relativa alle disastrose carenze purtroppo ancora presenti in molte scuole italiane, in riferimento a un’inclusione scolastica mal riuscita o peggio, a suo parere, fallita.
Consolo snocciola un rosario di palesi violazioni di norme e di prassi “anti-inclusione” che tutti i giorni constatiamo e che, come Associazioni nazionali e locali, registriamo e contro le quali protestiamo anche con vincenti ricorsi giurisdizionali. A tale ampia elencazione potrei aggiungere altre situazioni ancora, come la mancanza di trasporto scolastico gratuito, il conflitto tra Enti Locali circa la spettanza di competenza relativa alla fornitura di servizi prescritti per legge, la mancanza di continuità didattica ed educativa e ulteriori che elencherò in seguito.

Quello che però non condivido è l’alternativa secca proposta dalla collega per trovare una soluzione definitiva ai disservizi e cioè: «Delle due l’una: o viene assicurato ad ogni ragazzo/ragazza e alla sua famiglia che, una volta introdotto/a a scuola, la scuola stessa sarà in grado di adempiere egregiamente alla sua missione oppure è il caso di porre all’attenzione generale un tema ben preciso: prendiamo atto che l’inclusione è fallita, che non è per tutti, e che laddove la Scuola “ordinaria” dimostra tutta la sua incapacità, è il caso di valutare una riforma radicale del sistema, con la creazione di “Laboratori Educativi” (magari ispirati al Metodo Montessori) capaci di accogliere, istruire, e formare i ragazzi con disabilità».

Gli argomenti che mi inducono a non poter accettare di condividere il secondo corno dell’alternativa, cioè, in sostanza, il ripristino delle scuole speciali, sono i seguenti.
L’inclusione scolastica, sotto forma di “inserimento” prima (Legge 118/71), “integrazione” poi (Leggi 517/77 e 104/92) e “inclusione” ora (Legge 18/09, Decreti Delegati 62/17 e 66/17 e Decreto Interministeriale 182/20), è stata promossa e voluta e poi proseguita e ora migliorata, tramite norme avanzate rispetto al resto del mondo, principalmente dalle famiglie degli alunni con disabilità e dalle loro Associazioni. Le famiglie, a partire dal 1968, cominciarono a portare i propri figli con disabilità fuori dalle scuole e dagli istituti speciali, perché, pur ricevendo in tali luoghi una scolarizzazione talora accettabile, non potevano fruire del contatto con coetanei senza disabilità, utile e necessario per una loro socializzazione, mezzo indispensabile per una vita fra tutti e con tutti.
Quelle esperienze iniziali si sono moltiplicate e hanno avuto il sostegno della pedagogia, della didattica, della psicologia e della sociologia ufficiali, a tal punto da costringere i Governi e i Parlamenti successivi ad approvare un complesso normativo sempre più articolato, per far fronte ai nuovi bisogni che una scolarizzazione sul territorio vicina alle famiglie comportava.
Non c’è dubbio che negli istituti speciali tutti i compiti di carattere pedagogico-didattico, psicologico riabilitativo e organizzativo si svolgevano all’interno delle strutture speciali, alleviando le famiglie di un grosso carico di lavoro dovuto agli spostamenti per accompagnare i figli nelle varie sedi scolastica, riabilitativa e nei gruppi sportivi e di socializzazione. Però questi svantaggi  sofferti dalle famiglie sono compensati da una crescita più equilibrata psicologicamente e socialmente degli alunni frequentanti le scuole comuni. Tali svantaggi verrebbero comunque fortemente alleviati con una migliore organizzazione dei servizi territoriali e con l’effettiva realizzazione dei progetti di vita, di cui all’articolo 14 della Legge 328/00 e all’articolo 6 del già citato Decreto Legislativo 66/17, sostenuti dai patti territoriali e dalla coprogettazione relativa alla normativa sul Forum del Terzo Settore e agli accordi di programma di cui all’articolo 19 della stessa Legge 328/00. Purtroppo i vantaggi previsti dalla normativa sempre più in miglioramento vengono offuscati e talora annullati dai disservizi che si verificano in molte scuole, in misura sempre crescente con l’insorgenza della pandemia, che ha creato la riduzione dei corsi di specializzazione, con le conseguenze denunciate dalla Collega.
Inoltre, fin dall’inizio, purtroppo, la nostra cultura scolastica non ha avuto in modo determinante e continuativo una contemporanea formazione inclusiva del personale scolastico, direttivo, docente e ispettivo. Agli inizi degli Anni Settanta, il Ministero, a partire da quando lo resse la senatrice Franca Falcucci, avviò una serie di corsi di aggiornamento sempre più frequenti, che produssero ispettori molto esperti (Zelioli, Serpico, Fusca, Neri, Iosa, Ciambrone e altri); ma con la fine degli Anni Novanta, tali corsi si sono ridotti di numero sino a divenire quasi inesistenti; addirittura i corsi-concorsi per dirigenti scolastici prevedono solo come “facoltative” le aree relative all’inclusione scolastica. Tutto ciò  ha  contribuito a determinare un’illegittima delega dei progetti inclusivi ai soli docenti per il sostegno, la cui richiesta di aumento orario è venuta sempre crescendo, a scapito talora della qualità inclusiva.
L’insufficiente programmazione dei corsi di specializzazione per il numero incredibilmente crescente di docenti di sostegno, circa un terzo dei quali è attualmente privo di specializzazione, nonché la discontinuità didattica degli stessi, ha spinto la Federazione FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) a chiedere la creazione di un’apposita classe di concorso per il sostegno, in modo che tale professione divenga una scelta seria, come avviene per tutti gli altri insegnamenti. Ma quell’istanza è rimasta ancora senza risposte.

In realtà, la formazione in servizio di tutti i docenti, introdotta dall’articolo 13 del citato Decreto Legislativo 66/17, è stata contrastata dalle forze sindacali, a causa della mancata negoziazione posta in essere dagli ultimi Governi, il cui susseguirsi annuale ha ulteriormente impedito l’emanazione di quasi tutti i Decreti Applicativi dello stesso Decreto 66/17; tra essi è fondamentale quello relativo alla valutazione della qualità inclusiva delle singole classi e nelle singole scuole, la cui applicazione permetterebbe di monitorare seriamente i disservizi, intervenendo tempestivamente e avvicinando sempre più la prassi alla normativa inclusiva.

Credo dunque sia quanto meno necessario un rilancio dell’effettività della normativa inclusiva con i completamenti e le novità sopra indicate, che corrispondono al primo corno dell’alternativa posta drammaticamente dalla collega Consolo. Ciò consentirebbe di non dover ricorrere alla tentazione contenuta nel secondo corno dell’alternativa, cioè il ritorno alle scuole e agli istituti speciali.

Consolo ritiene che  ormai la “favola bella” dell’inclusione scolastica sia finita. Chi scrive e molti altri con me riteniamo che ciò non sia vero, purché le nostre Associazioni e Federazioni continuino ad insistere con maggiore determinazione sui Governi e sul Parlamento, per adeguare la prassi inclusiva ai diritti previsti dalla Costituzione, come continuamente fa la Corte Costituzionale.
Citare poi l’articolo 3 della Costituzione, come fa alla fine del suo testo la collega Consolo, interpretandola in modo contrario a quello di don Milani e cioè “si debbono dare cose diverse a persone diverse”, significa voler dire, a mio parere che, essendo gli alunni e le alunne con disabilità “diversi da quelli senza disabilità”, essi avrebbero diritto a risposte diverse, più adatte a loro, come appunto le scuole speciali.
Invero, questa stessa risposta di taglio conservatore fu data dalla Corte Costituzionale al ricorso di un alunno cieco dell’Istituto Chiossone di Genova del 1974, che chiedeva il diritto all’iscrizione in una scuola comune, allora vietato agli alunni con disabilità sensoriali. Però la Legge 360/76 voluta dal Parlamento, che fu copiata ed estesa a tutti gli studenti con disabilità dalla Legge 517/77, consentì alla stessa Corte Costituzionale di pronunciare nel 1987 una Sentenza opposta, la 215/87, con la quale si riconosceva il diritto pieno e incondizionato di tutti gli studenti e le studentesse con disabilità a frequentare anche le scuole superiori comuni, con tutte le risorse didattiche e organizzative necessarie ai loro bisogni educativi.

Pertanto, non credo si debba guardare indietro, come fanno sempre i laudatores temporis acti [“lodatori del tempo passato”, N.d.R.], ma bisogna sempre più migliorare le spinte propulsive della conquista del diritto all’eguaglianza e alla non discriminazione, come stabilito nella Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (ratificata dal nostro Paese con la Legge dello Stato 18/09), pretendendo con forza dai nuovi Governo e Parlamento una piena attuazione della normativa inclusiva e una seria formazione  inclusiva, con relativo adeguamento stipendiale di tutti i docenti e un’effettiva efficienza dei servizi indispensabili per l’inclusione scolastica di qualità. Questo è quanto speriamo e per il quale ci batteremo  prossimamente.

In una sua lirica dei miei ricordi liceali, dedicata alla romantica vicenda del poeta Jaufré Rudel, Giosue Carducci, con due versi memorabili, gli fa dire: «La favola breve è finita; / il vero immortale è l’amor». Per noi la “favola bella” dell’inclusione non è finita, ma anzi può continuare migliorandosi, e “il vero immortale amor” è quello per le pari opportunità e la qualità della vita tra tutti e con tutti delle bambine e bambini, alunne ed alunni, studentesse e studenti con disabilità.

Avvocato, esperto di legislazione scolastica.

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