Leggo in «Superando.it» un interessantissimo articolo firmato dalla professoressa Paola Di Michele [“Inclusione scolastica di qualità o inclusione scolastica in quantità”, N.d.R.], in cui giustamente si denuncia l’estrema dannosa importanza data al massimo numero possibile di ore di sostegno da assegnare, ignorando invece il valore ben maggiore della qualità delle stesse. Concordo pienamente con questa sua denuncia, che si fonda sulla sua grande competenza professionale e insisto con lei sulle necessarie richieste di cambiamento di mentalità ed atteggiamento operativo.
È verissimo che il numero di docenti per il sostegno è cresciuto paurosamente negli ultimi anni, pervenendo a quasi un quarto del numero di tutti i docenti italiani (pari a circa 800.000), con una spesa annua di circa 6 miliardi di euro. Occorre dunque cercare innanzitutto di chiarire come mai si sia pervenuti a “numeri” di tal fatta.
La progressione esponenziale del numero di docenti per il sostegno è conseguenza sia di una maggiore presa di coscienza da parte dei genitori di questo diritto dei propri figli con disabilità, ma anche di una sempre crescente delega dei docenti curricolari ai soli docenti per il sostegno, anche a causa della loro legale “ignoranza”, specie per i docenti delle scuole secondarie, concernente le pedagogie e le didattiche inclusive, che non vengono assolutamente previste nei piani di studio universitari per tutti i docenti di tali ordini di scuole.
Vero è che, a seguito delle insistenti proteste delle Associazioni e della SIPES (Società Italiana di Pedagogia Speciale), il Governo uscente aveva approvato, quasi “in zona Cesarini”, il Decreto Legge 36/22, convertito con modificazioni nella Legge 79/22, nel quale finalmente si prevede l’obbligo di un anno “abilitante” all’insegnamento, post lauream, di preparazione iniziale da parte di tutti i futuri docenti, comprendente 60 Crediti Formativi, destinati non solo all’approfondimento dei rispettivi contenuti disciplinari, ma anche con un certo numero di Crediti riguardanti la pedagogia e la didattica. Tale Legge prevede che per i docenti attualmente in servizio il numero dei Crediti Formativi sia dimezzato. Però nei 60 Crediti Formativi quelli destinati alla pedagogia e alla didattica sono solo 20, che si riducono a 10 per gli insegnanti attualmente in servizio e non è dato sapere quanti di essi saranno destinati alla pedagogia e didattica speciale per l’inclusione scolastica. Per questo motivo sia la SIPES che la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) hanno sollevato vibranti richieste sulla previsione di almeno 30 Crediti Formativi per i futuri docenti e di 15 per i docenti attuali, destinati espressamente a questi aspetti fondamentali per la qualità dell’inclusione scolastica. L’istanza verrà sicuramente riformulata al nuovo Governo, ci si augura con un successo maggiore, pena lo scadimento della qualità inclusiva delle scuole.
La professoressa Di Michele, poi, denuncia impietosamente il fatto che un terzo dei circa 180.000 docenti per il sostegno in servizio sia costituito da docenti “non specializzati” per il sostegno didattico e che quasi tutti essi siano precari. Questi due aspetti, malgrado il loro elevato numero, porta al fatto che di norma i docenti di sostegno “non sostengono” nessun alunno con disabilità, nonostante l’impegno che molti di loro spendono nell’improba fatica di svolgere questo difficile compito privi di qualunque preparazione universitaria.
Ancora Di Michele segnala che la spaventosa precarietà di tali docenti sia dovuta alla mancata regolarità dei concorsi per i docenti per il sostegno, fenomeno increscioso che ormai dovrebbe regolarizzarsi a seguito della citata Legge 79/22, nella quale si parla di un’obbligatoria indizione biennale di tali concorsi, con un numero di persone partecipanti concordato di volta in volta a seconda dei bisogni segnalati dai vari Uffici Scolastici Regionali.
La sanatoria proposta di immissione in ruolo ope legis [“per forza di legge”, N.d.R.] degli attuali docenti precari, ovviamente previa specializzazione, non garantisce tuttavia automaticamente una crescita di qualità dell’inclusione, mancando una verifica delle capacità, non solo cognitive, ma anche psicologiche e relazionali, per questa delicatissima professione.
E il problema di una specializzazione seriamente adeguata ai bisogni educativi degli attuali alunni e alunne con disabilità riguarda pure la specializzazione dei docenti per il sostegno. Infatti, quando le specializzazioni monovalenti erano tre, per alunni «ciechi, sordi e psicofisici», ognuna di esse durava ben due anni; allora – e siamo fino all’anno 1986 – chi avesse voluto prendere una specializzazione “polivalente” come è oggi, avrebbe dovuto studiare almeno un anno per ciascuna delle altre due specializzazioni, in aggiunta ai due anni di quella propria monovalente. E ciò avveniva solo per un determinato grado di scuola; chi avesse voluto prendere, di fatto, una specializzazione polivalente per le scuole di ogni ordine e grado, avrebbe dovuto svolgere il tirocinio per ciascun grado scolastico, pari allora a circa centocinquanta ore. Attualmente, i nuovi programmi dei corsi di specializzazione polivalente del 1986 comprendono solo due anni.
Si tenga conto, inoltre, che gli alunni con autismo, ad esempio, allora quasi “inesistenti” nelle scuole comuni, oggi sono divenuti numerosi, grazie anche a più raffinate tecniche di riconoscimento di tale situazione e creano notevoli difficoltà inclusive, specie a docenti curricolari e per il sostegno poco preparati alla loro accoglienza di qualità. Fortunatamente il Ministero dell’Istruzione si è avvalso degli “Sportelli per l’autismo”, costituiti presso i CTS (Centri Territoriali di Supporto per l’inclusione), reti presenti in ogni Provincia, che offrono consulenze alle scuole che ne fanno richiesta; tali consulenze, però, sono attualmente svolte da docenti “volontari” che lavorano gratuitamente e senza neppure semiesoneri. Un impegno prezioso, dunque in aggiunta al loro normale lavoro contrattuale. Si impone pertanto, oltre ad una revisione della normativa sui CTS, con la previsione di semiesoneri ai docenti che vi sono impegnati, la necessità di un miglioramento dei contenuti qualitativi e quantitativi degli attuali corsi di specializzazione, ai quali si era provveduto con l’articolo 12 del Decreto Legislativo 66/17, immediatamente abrogato, pare per motivi tecnici.
Tornando alle riflessioni della professoressa Di Michele, quest’ultima giustamente segnala la discontinuità didattica del sostegno subita da moltissimi alunni con disabilità che ritengo sia ordinariamente determinata da due cause: da una parte la precarietà annuale dei docenti per il sostegno supplenti, che ammontano, come detto, a circa un terzo del totale degli insegnanti, dall’altra parte il diritto dei docenti di ruolo di sostegno di passare su cattedra disciplinare nella quale sono abilitati, dopo cinque anni di attività di sostegno. Ciò determina, a mio parere, un disastro nella qualità dell’inclusione scolastica, poiché alunni che hanno strutturalmente difficoltà di mesi per relazionarsi con i docenti per il sostegno, quando hanno raggiunto con essi un valido rapporto educativo, devono, a causa del cambiamento annuale dell’insegnante, sottoporsi a una fatica psicologica e relazionale che costituisce un aggravio per la loro crescita umana e uno spreco di denaro per l’erario. Senza considerare la girandola annuale di più docenti per il sostegno che si alternano (tre e talora anche quattro) nei primi due o tre mesi di scuola, a causa dei ritardi nella tempistica dei trasferimenti dei docenti di ruolo e quindi delle nomine dei supplenti. Basterebbe, come continuamente richiesto dalle Associazioni, l’anticipazione di un paio di mesi della tempistica per la mobilità del personale di ruolo, per consentire seriamente la presenza di tutti i docenti in classe, anche supplenti, fin dall’inizio dell’anno scolastico.
A seguito di ciò, la FISH, già durante la precedente legislatura, aveva avanzato la proposta di istituire apposite classi di concorso per il sostegno, ciascuna per ogni grado di istruzione, in modo da realizzare, come accade per tutti i docenti disciplinari, una vera scelta professionale di questo insegnamento (fermo restando, come per tutti i docenti, il diritto al “passaggio di cattedra”). Una proposta che certamente la FISH riproporrà al nuovo Ministro dell’Istruzione e “del Merito”, anche perché il “merito” dev’essere non solo degli alunni, ma anche e soprattutto dell’organizzazione scolastica che deve assicurare un servizio pubblico di qualità.
Resta inteso, ovviamente, che «per gli alunni con disabilità, capacità e merito vanno valutati secondo le loro effettive capacità sulla base di parametri peculiari, corrispondenti alle loro differenti situazioni di disabilità», come ha chiaramente stabilito la Corte Costituzionale nella celebre Sentenza 215/87, con una “massima” riportata dalla Circolare Ministeriale 262/88.
Un’altra causa di discontinuità, sia pur di gran lunga di minore impatto, a danno direttamente dei docenti, ma indirettamente anche riguardo al clima didattico della scuola, ritengo sia costituita dalla residuale circolazione di alcuni titoli di specializzazione monovalente. Infatti, quando nel 1986 si vararono i nuovi programmi dei corsi di specializzazione polivalente, esistevano di fatto solo i titoli monovalenti. Allora il Ministero decise di mantenere i tre elenchi di specializzazione monovalenti, nei quali trovavano posto, secondo il rispettivo punteggio, sia i titoli polivalenti, riportati in ciascun elenco con lo stesso punteggio, sia quelli monovalenti, riportati solo in uno dei tre elenchi, sempre con il proprio punteggio. Purtroppo il Ministero ha considerato questi tre elenchi come vere e proprie graduatorie, pervenendo all’assurdo che se un docente con specializzazione polivalente ha l’incarico su una cattedra, ad esempio in parte per alunni ciechi e in parte per alunni sordi, qualora in quella scuola l’alunno cieco esca per un qualunque motivo, il docente, pur essendo di ruolo e con specializzazione polivalente, non rimane nella scuola per continuare a lavorare con l’altro alunno che seguiva, o con un altro alunno in sostituzione di quello uscito, ma deve cedere le ore di quest’ultimo ad un docente con specializzazione monovalente per ciechi. Dal momento che tali specializzazioni monovalenti ormai dovrebbero essersi esaurite, sarebbe opportuno che il Ministero rivedesse questo sistema organizzativo.
Infine, un’ulteriore causa di scadimento della qualità inclusiva è quella relativa alla “discontinuità educativa” degli assistenti per l’autonomia e la comunicazione, sia a causa dei ritardi nei bandi di concorso per le Cooperative appaltanti, sia per la sostituzione delle stesse, qualora annualmente vinca la gara una nuova Cooperativa che quasi mai garantisce la continuità di tali figure.
Dimichele segnala inoltre l’asimmetria di distribuzione dei corsi di specializzazione tra Nord e Sud d’Italia. Infatti, le Università del Nord fissano un numero di posti dei corsi di specializzazione sulla base delle loro capacità didattiche (di solito un centinaio di posti a corso), per garantire una buona qualità dei corsi stessi. Al Centro-Sud, invece, le Università offrono anche più di un migliaio di posti, con ovvio abbassamento della qualità. Conseguentemente accade che al Nord vi sia una carenza cronica di docenti specializzati, mentre al Sud vi è un sovraffollamento delle graduatorie, facendo sì che molti docenti del Sud, i quali da supplenti trovavano il posto spesso “sotto casa”, accettino di migrare al Nord per il posto di ruolo; e tuttavia, appena soddisfatta la “ferma quinquennale”, essi chiedono il trasferimento al Sud. Per non parlare dei docenti divenuti titolari al Nord che appena immessi in ruolo al Nord, ottengono sindacalmente l’assegnazione provvisoria al Sud, creando così ulteriore discontinuità didattica.
Ora, giustamente, le Università del Nord, per aumentare il numero di aspiranti nei corsi, chiedono al Ministero dell’Università una crescita degli organici dei docenti universitari, per poter ampliare l’offerta formativa di specializzazione; ma ancora ciò non è avvenuto. Invece, volendo un reale riequilibrio tra Nord e Sud, sarebbe indispensabile un potenziamento degli organici dei docenti universitari del Nord e un tetto massimo al numero di aspiranti accettabile in ciascun corso al Sud.
E in conclusione la segnalo io un’assurdità che incide negativamente sulla qualità inclusiva, ovvero l’equiparazione del valore legale dei titoli di studio a livello europeo. Si sta verificando, infatti, una pericolosa deriva al ribasso, poiché molti docenti italiani si iscrivono a corsi di specializzazione di altri Paesi europei che, com’è ben noto, non realizzano l’inclusione scolastica generalizzata come in Italia; taluni di tali corsi sono addirittura online, mentre i nostri debbono svolgersi rigorosamente in presenza, salvo un minimo numero di ore di assenze tollerate. Risulta tra l’altro che alcuni di quei corsi rilascino i diplomi di specializzazione a seguito della semplice iscrizione e pagamento della quota. Ciò, quindi, non può non incidere negativamente sulla qualità inclusiva delle nostre scuole.
Per ovviare a tutto ciò e risollevare la qualità dell’inclusione scolastica, posso anticipare che la FISH, in occasione del proprio prossimo Congresso Nazionale, coincidente anche con il rinnovo delle cariche associative, in programma per il 3 dicembre prossimo, Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, centrata quest’anno sul tema Soluzioni trasformative per uno sviluppo inclusivo: il ruolo dell’innovazione nell’alimentare un mondo accessibile ed equo, dedicherà un’apposita tavola rotonda sulla qualità dell’inclusione scolastica, illustrando una propria Proposta di Legge “innovativa”, elaborata durante la precedente Legislatura con la collaborazione anche di soggetti esterni, come i componenti della Lista di Discussione Suggerimenti per la didattica della vicinanza.
In tale Proposta di Legge saranno presenti molte ipotesi di modifiche normative, volte a risollevare la qualità della presa in carico del progetto di inclusione scolastica da parte di tutta la comunità scolastica e del territorio, garantendo la piena realizzazione del progetto di vita degli alunni e delle alunne con disabilità, del quale, come stabilisce l’articolo 6 del Decreto Legislativo 66/17, «il Piano Educativo Individualizzato è parte integrante».