A seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, l’attuazione delle politiche sociali che hanno la loro matrice nella Legge 328/00 (varata prima della citata riforma costituzionale) è responsabilità delle Regioni. La Regione Lazio ha provveduto a recepire la suddetta Legge 328/00, con l’emanazione della Legge Regionale 11/16 la quale prevede:
° all’articolo 9 il «piano personalizzato di assistenza»;
° all’articolo 12, comma c, «la realizzazione di reti di sostegno e di strutture residenziali di tipo familiare all’interno della comunità, a favore di persone con grave disabilità e delle persone con sofferenza psichica prive di adeguato sostegno familiare per interventi del prima e del dopo di noi. In tale contesto sono promossi interventi ed azioni mirati alla fase del durante noi, al fine di garantire la progressiva presa in carico della persona con disabilità, anche grave, durante l’esistenza in vita dei genitori, rafforzando quanto previsto in tema di progetti individuali per le persone disabili nonché di favorire la deistituzionalizzazione dei servizi alla persona e assicurare la continuità di cura, la dignità e l’autonomia della persona con disabilità priva di sostegno familiare».
È perciò competenza delle Regioni – della Regione Lazio nello specifico – attuare politiche che diano al problema del “Dopo di Noi” una soluzione solidaristica e universalistica secondo i princìpi della democrazia, che la citata Legge Regionale 11/16 ha egregiamente interpretato.
La Legge 112 del 22 giugno 2016, emanata nel frattempo dallo Stato, in un contesto riconosciuto come emergenziale, ha fornito importanti strumenti normativi e un fondo a supporto dell’attuazione della citata Legge Regionale 11/16.
Un po’ di dati
Facciamo riferimento alla nota ISTAT del 31 Maggio 2017 che illustra le principali informazioni sulle persone con disabilità e sui servizi per la disabilità, con particolare riguardo ai temi di interesse della Legge 112/16. Tali informazioni sono state trasmesse in due audizioni rese nell’ottobre 2014 alla Commissione Affari Sociali della Camera, nell’aprile 2016 alla Commissione Lavoro e Previdenza Sociale del Senato, quale supporto alla discussione dei progetti di legge in materia.
Ebbene, secondo i dati ISTAT:
1. Circa la metà delle persone con disabilità grave, con meno di 65 anni, non riceve aiuti dai servizi pubblici; pertanto il carico dell’assistenza grava completamente sui familiari conviventi.
2. Sulle circa 52.000 persone che vivono sole (sempre con meno di 65 anni), il 23% usufruisce di assistenza erogata da servizi pubblici (sanitaria o socio-sanitaria), il 15,5% paga l’assistenza non sanitaria per le attività di cura della persona. In caso di necessità, il 54% ricorre solo all’aiuto di familiari non conviventi (28 mila persone). Il 19%, pari a circa 10.000 persone, non può contare su alcun aiuto. Si tratta di un segmento di persone con gravi disabilità, in condizioni particolarmente critiche, per le quali il “Dopo di Noi” è già iniziato.
3. La platea dei potenziali destinatari di interventi per il “Dopo di Noi” è costituita da un totale di circa 127.000 persone, di cui 38.000 con gravi disabilità al di sotto dei 65 anni che vivono sole ed hanno perso entrambi i genitori; 89.000 che vivono con genitori anziani (aventi un’età superiore ai 64 anni).
Alcune considerazioni
Le condizioni particolarmente critiche del 19% delle persone con disabilità (circa 10.000) per le quali, come si è detto, il “Dopo di Noi” è già iniziato, hanno motivato il Legislatore Nazionale ad affrontare questa materia, sostanzialmente di competenza regionale (sollecitato anche da uno dei tanti fatti di cronaca, che ha visto un padre sopprimere il proprio figlio con disabilità).
Se nel percorso parlamentare si fosse mantenuto lo spirito della legge, per altro chiaramente esplicitato nel titolo (Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare), il provvedimento avrebbe comportato un contributo annuo pro capite di circa 7.800 euro, se non risolutivo, certamente significativo rispetto alla platea ipotizzata (prendendo come riferimento, ad esempio, per il finanziamento previsto, i 78,1 milioni di euro di cui alla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 62 del 13 marzo 2021).
L’analisi statistica richiamata indica che la platea dei potenziali destinatari di interventi per il “Dopo di Noi” è costituita da un totale di circa 127.000 persone. Pertanto, è possibile stimare che i fondi resi disponibili dalla Legge 112/16 (con riferimento ancora alla Gazzetta Ufficiale sopra citata) equivalgano a circa 615 euro annui pro capite.
Pur tenendo conto che dette risorse vanno aggiunte ai Fondi FNPS e FNA [rispettivamente Fondo Nazionale Politiche Sociali e Fondo Nazionale Non Autosufficienze, N.d.R.] e ad altre linee di finanziamento regionali, statali ed europee, dai dati disponibili e dall’esperienza che vivono le famiglie delle persone con disabilità, risulta del tutto evidente una forte sproporzione fra i bisogni e l’insieme delle risorse pubbliche messe a disposizione.
Le Linee guida operative regionali (Deliberazione della Giunta Regionale del Lazio n. 554 del 5 agosto 2021) ipotizzano anche percorsi volti a favorire la deistituzionalizzazione. Pertanto, in una situazione in cui la maggioranza delle strutture residenziali è di carattere comunitario (mediamente oltre il 90%, mentre solo il 9,6% è di tipo familiare), diventa palese che il sistema di “Dopo di Noi” che si sta costruendo territorialmente con la Legge Regionale 11/16 ha scarse possibilità di dare risposte efficaci, solidali e universali alle aspettative delle famiglie allo stremo.
La debolissima risposta delle famiglie alla Manifestazione di Interesse della Regione Lazio per l’identificazione di un patrimonio immobiliare finalizzato al “Dopo di Noi” evidenzia allo stato attuale le difficoltà, i dubbi e la mancanza di fiducia delle famiglie che debbono decidere di affidare i propri cari e i propri beni a un’istituzione pubblica.
Un impegno ineludibile per la Regione Lazio
Sulla base delle considerazioni svolte, che indicano evidenti criticità del sistema pubblico, per la responsabilità attribuita ad esso dalla legislazione, riteniamo necessario che la Regione Lazio:
a) promuova un’indagine statistica che restituisca l’immagine reale della situazione e confermi, smentisca o circostanzi le ipotesi e le valutazioni sopra esposte;
b) definisca un dettagliato cronoprogramma delle attività, che assicuri di pervenire all’efficace ed efficiente attuazione delle norme esistenti sul “Dopo di Noi” in tempi certi e brevi, per l’urgenza delle risposte da troppo tempo attese dalle persone con disabilità e dalle loro famiglie;
c) valuti l’opportunità di integrare il sistema di welfare, che si sta costruendo territorialmente con la Legge Regionale 11/16, con strumenti che vedano un diverso ed effettivo coinvolgimento delle famiglie e delle comunità, fino alla definizione del modello ottimale, anche attingendo alle migliori pratiche attuate in altre realtà territoriali.
La proposta della “Fondazione di Comunità”
Nell’àmbito dell’attività di cui al precedente punto c, riteniamo imprescindibile l’approfondimento, la definizione e l’eventuale validazione normativa del modello della “Fondazione di Comunità” (o “di Partecipazione”), in quanto praticato con successo in diverse realtà del territorio nazionale con soddisfazione delle famiglie e dei soggetti pubblici e privati coinvolti.
Questo strumento, reinventato negli Anni Novanta negli Stati Uniti, è particolarmente versatile, vicino all’utente e consente il suo coinvolgimento, unitamente ai soggetti pubblici e privati.
L’affidabilità, la stabilità e l’immutabilità degli scopi statutari sono le condizioni che consentono di acquisire la fiducia delle famiglie, necessaria per affidare i loro figli e i loro beni, nonché per catalizzare e attrarre le sensibilità anche di eventuali soggetti economici.
Tale modello potrebbe rendere protagonista la Regione, fornendo nel contempo ad essa risorse adeguate ad affrontare il problema del “Dopo di Noi”, prevedendo altresì opportuni strumenti di supporto e soprattutto di controllo e di governance che agevolino l’impegno delle amministrazioni locali: Comune, Municipio e ASL.
Il circolo virtuoso, che questo modello è in grado di attivare, è molto probabile porti a un’autosostenibilità economica del sistema, anche per alcune analogie con le antiche forme di solidarietà territoriale che hanno generato patrimoni cospicui, ancora oggi nella disponibilità delle IPAB [Istituti Pubblici di Beneficenza e Assistenza, N.d.R.].
In questi anni, in Italia il ricorso a questo tipo di fondazioni è sempre più frequente, così come si sono moltiplicati i lavori tecnico-scientifici che trattano l’argomento.
Fondazioni di Comunità attive o in fase di attivazione
Molte e variegate sono le esperienze sul territorio nazionale; qualche citazione da un lungo elenco:
* Fondazione Durante e Dopo di Noi, promossa dal Comune di Trieste con altri Comuni del territorio, le ACLI provinciali, cooperative, aziende e molte associazioni.
* Fondazione Il Sole Onlus, nata a Grosseto nel 2005 su iniziativa dell’Associazione Grossetana Bambini Portatori di Handicap e del Comitato Provinciale per l’Accesso.
* Fondazione Dopo di Noi nata nel 2007 per volontà dei Comuni del Circondario Empolese Valdelsa e Valdarno, insieme all’ASL 11, a due Istituti bancari, a molte associazioni espressioni del territorio e privati cittadini.
* Fondazione Futura Dopo di Noi, costituita nel 2006 tra il Comune di Siena e l’Associazione di volontariato Insieme, che raccoglie al proprio interno le varie realtà che operano a Siena nel settore della disabilità.
* Fondazione Nuovi Giorni, nata nel 2010 per iniziativa della Società della Salute della Zona Fiorentina Sud Est.
* Fondazione Polis, costituita nel 2011 dalla Società della Salute e dagli otto Comuni della Zona Fiorentina Nordovest.
* Fondazione Riconoscersi Onlus, nata nel 2013 con il patrocinio delle Conferenze dei Sindaci del Valdarno e della Valdichiana e della Provincia di Arezzo, l’adesione dell’ASL 8 di Arezzo e la presenza – tra i soci fondatori e promotori – di associazioni di persone con disabilità e di familiari di persone con disabilità, oltre a soggetti del privato sociale.
* Insieme per costruire il futuro. Fondazione Durante e Dopo di Noi di Reggio Emilia.
* Gruppo di Studio di Pisa: presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa è attivo uno specifico gruppo di studio, particolarmente qualificato.
Le Fondazioni di Comunità o di Partecipazione sono realtà «sia private sia partecipate dagli enti pubblici, capaci di raccogliere e vincolare il patrimonio proveniente da una comunità territoriale di riferimento al perseguimento di fini di solidarietà sociale e tutela dei diritti delle persone in condizione di disabilità, in un contesto in cui l’intera collettività è chiamata a partecipare insieme alle istituzioni alla realizzazione di percorsi di inclusione» (Paolo Carrozza e Francesca Biondi Dal Monte, Il ruolo dell’ente locale nei servizi alla persona. Il “dopo di noi” e le fondazioni partecipate dagli enti pubblici, in Elena Vivaldi, a cura di, Disabilità e sussidiarietà, Bologna, il Mulino, 2012, pp. 173-210).
Le Fondazioni di Partecipazione mescolano insieme elementi tipici delle Associazioni e delle Fondazioni, in particolare la democraticità e la partecipazione (caratteristiche della dimensione associativa) con la stabilità dei fini e la tutela del patrimonio (riconducibili alla natura di Fondazione). Tali elementi favoriscono la possibilità di coinvolgere i territori e le comunità nella programmazione, gestione e finanziamento dei servizi in quanto nuovi soggetti, sia pubblici che privati, possono aderire alla Fondazione, stabilirne le modalità operative e partecipare con le proprie risorse (economiche, professionali, di tempo) alla sua realizzazione.
Un altro tratto distintivo è poi il protagonismo delle famiglie. La Fondazione di Partecipazione, infatti, non è un servizio o un ente terzo in cui le famiglie possono “inviare” i propri familiari con disabilità, bensì un’organizzazione promossa e governata dalle stesse famiglie, uno strumento per rinforzare la propria azione di cura (intesa come care) ed estenderla nel futuro quando non saranno più in grado di occuparsi dei figli.
Infine, la Fondazione di Partecipazione non è un’organizzazione isolata, bensì una realtà integrata sul territorio e inserita nelle reti formali e informali della comunità (Fabio Folgheraiter, La cura delle reti. Nel welfare delle relazioni (oltre i Piani di zona), 2006) e del sistema di welfare locale (Lavinia Bifulco, Il welfare locale. Processi e prospettive, 2015).
E per finire: «Non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra disuguali». Si c’è! Quando nel fare le parti alcuni vengono esclusi.