Sono letteralmente un “piccolo esercito”, composto da quasi mezzo milione di bambini/e e ragazzi/e, il 5% della popolazione al di sotto dei 16 anni: sono i Rare Sibling, ovvero i fratelli e le sorelle di persone con Malattie o Tumori Rari, figli di famiglie che vivono esperienze totalizzanti e difficili da accettare prima e da gestire poi.
Come raccontato in varie occasioni anche su queste pagine, è dal 2018 che l’OMAR (Osservatorio Malattie Rare) ha deciso di dedicare loro un’attenzione speciale, attraverso il progetto denominato appunto Rare Sibling, fatto tra l’altro di sondaggi e interviste, per conoscere meglio il vissuto di queste persone, oltreché di convegni e gruppi esperienziali e anche di tre pubblicazioni, diffuse alle Associazioni aderenti al progetto e disponibili sul portale dedicato.
Ma non solo: è stato anche presentato il Disegno di Legge S 2238, per chiedere una Giornata dedicata ai Rare Sibling, da celebrare il 31 maggio, facendola coincidere con la Giornata Europea dei Fratelli e delle Sorelle. «perché – come sottolineato dall’OMAR – anche le cose simboliche hanno la loro importanza nel richiamare alla luce una questione troppo spesso taciuta».
Ma soprattutto è stata data voce a tanti di questi bambini e bambine, ragazzi e ragazze, alcuni dei quali non avevano mai trovato la forza di parlare della loro propria condizione.
«È stata la nostra esperienza a spingerci a pensare a loro – sottolinea Ilaria Ciancaleoni Bartoli, che dirige l’OMAR -, poiché tanti genitori ci parlavano dei loro figli con una Malattia Rara, mentre dell’esistenza di sorelle e fratelli venivamo a sapere dopo tempo, per un casuale accenno all’“altro” o all’“altra”. Dai dati abbiamo scoperto quindi che di “altri figli e figlie” ce ne sono circa mezzo milione solo nella fascia sotto i 16 anni, la più bisognosa dell’attenzione dei genitori. E abbiamo deciso di dar loro identità e voce».
«Prima di incontrare il progetto Rare Sibling – ha raccontato ad esempio Mattia, uno dei partecipanti ai gruppi esperienziali – pensavo di essere l’unico ragazzo al mondo ad avere un fratello con disabilità. Non so perché ne fossi convinto, ma ho vissuto così fino ad ora».
Per il suo impegno di sibling, tra l’altro, Mattia, anche se il fratello Damiano non c’è più, è stato nominato “Alfiere della Repubblica” dal presidente della Repubblica Mattarella.
I gruppi esperienziali, che durante la pandemia non si sono interrotti, sono stati certamente un momento di confronto e di apertura molto importante per i sibling che vi hanno partecipato, trentacinque in tutto, tra i 14 e i 43 anni. Dai loro racconti è emerso un grande senso di responsabilità, oltre alla capacità, acquisita spesso precocemente, di prendersi cura, fino a desiderare di sostituirsi al proprio fratello o alla propria sorella malati.
«Qualche volta ho un senso di colpa – ha confessato Flavia durante uno degli incontri dei gruppi -: un tempo pensavo “perché non possiamo dividere la sofferenza a metà, perché non posso prendere metà della sua malattia”?». A fare da contraltare, quanto raccontato con durezza da Maria: «Una Malattia Rara cancella ogni normalità. Io non ricordo la vita prima che arrivasse lei, quanto si poteva andare a fare shopping o a mangiare un gelato senza problemi. La Malattia Rara ti mette di fronte alle tue paure: o le affronti o scappi via». «Se per il mondo i limiti sono un vincolo e le differenze un difetto, per il nostro mondo sono punti di forza – ha aggiunto un altro partecipante ai gruppi -. Nessuno ha detto che sarebbe stato facile, chiedere aiuto non è semplice: le situazioni, le difficoltà fanno da maestre perché starci accanto è troppo impegnativo, spaventa. Impariamo a cadere, anche solo per rimetterci in piedi: abbiamo bisogno di rifiatare, ma non tutti sanno ascoltare».
Nelle attività del progetto Rare Sibling, è importante ricordare, sono state coinvolte 35 Associazioni e 4 Società Scientifiche (la SIMGePeD-Società Italiana Malattie Genetiche Pediatriche e Disabilità congenite; la SIMMESN-Società Italiana per lo Studio delle Malattie Metaboliche Ereditarie e lo Screening Neonatale; la SIN-Società Italiana di Neonatologia; la SIP-Società Italia di Pediatria), oltre all’ACP (Associazione Cultura Pediatri).
Nonostante tutto quanto è stato fatto, però, il mondo delle sorelle e dei fratelli dei Malati Rari resta per molti ancora sconosciuto e per far sì che esso venga pian piano disvelato, un ruolo fondamentale dev’essere assunto dai pediatri di famiglia, come afferma Laura Reali, referente per la formazione e la ricerca dell’ACP: «I Rare Sibling – dichiara infatti – sono presenti nell’ambulatorio del pediatra, ma restano spesso in secondo piano, perché al centro vi è costantemente il bambino affetto dalla patologia rara. La famiglia, infatti, organizza la propria vita in funzione della malattia del bambino malato e sovente sono gli stessi fratelli e sorelle ad adeguarsi alla situazione, comportandosi quasi come se non avessero il diritto di ammalarsi e di avere essi stessi dei problemi, o di potersi lamentare, perché sono quelli che devono sempre stare bene. È pertanto il pediatra di famiglia a doversi prendere cura di questi bambini e bambine, perché anche loro hanno diritto al proprio spazio personale».
«Il compito del pediatra – aggiunge Reali – è quello di ricordare ai genitori di non considerare quel bambino soltanto come “fratello/sorella di”, ma di pensare a lui come soggetto autonomo, perché, se la situazione sfugge di mano, lo sviluppo potrebbe non essere ottimale. Per questo la formazione dei pediatri sul tema è cruciale, se è vero che per approcciare la questione dei Rare Sibling occorre poter contare su strumenti precisi da usare in maniera competente e su una formazione mirata, magari associata a quella offerta, o che dovrebbe essere offerta, sulle Malattie Rare. Tutto sommato, si può dire che il pediatra di famiglia sia una sorta di ‘tuttologo’, uno dei pochi medici generalisti rimasti, che nel proprio ambulatorio si trova a volte ad affrontare situazioni particolari, come quelle Malattie Rare che per altro, prese nel loro complesso, non appaiono poi così rare e che dovrebbero, dunque, rientrare a pieno titolo nell’àmbito della propria formazione, da pensare come pubblica, transdisciplinare e mirata sui bisogni specifici dei bambini e delle bambine». (S.B.)
Per ulteriori informazioni: Rossella Melchionna (melchionna@rarelab.eu).
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