Vorrei parlare di una realtà sulla quale non viene, troppo spesso, svolta alcuna riflessione, quella delle partite IVA con una disabilità e che vivono da soli. Riassumo quindi in pochi passi la mia situazione attuale.
Nel 2012 vengo ricoverato per una dissezione aortica di tipo Stanford B e grazie ad un’eccellenza sanitaria come l’ISMETT di Palermo, sopravvivo all’evento, ma, durante la degenza, mi accorgo che per motivi non chiari sono rimasto vittima di una paralisi dello SPE destro (nervo sciatico popliteo). «Ho il piede destro paralizzato, un’endoprotesi aortica nel tratto discendente e una ridotta sezione dell’aorta addominale… ma sono vivo!», mi dico, dopo aver preso coscienza di me risvegliandomi da un coma indotto.
Inevitabilmente la mia vita cambia, la mia attività cambia, il mio lavoro deve adeguarsi. Lo faccio! Riplasmo dunque la mia vita, adeguo la mia attività lavorativa e faccio richiesta per ottenere l’invalidità che dopo varie trafile e un ricorso mi viene riconosciuta al 74%.
Ebbene, la situazione di un libero professionista di 50 anni con un’invalidità è la seguente: percepisco una prestazione INPS di invalidità civile di 324 euro (questo l’importo della prossima mensilità), che mi viene corrisposta soltanto se il mio reddito annuale non supera i 5.010,20 euro, ovvero poco più di 400€ mensili lordi che sommati all’assegno di invalidità fanno la bellezza di 724,00 euro al mese (più una tredicesima dell’assegno di invalidità), con i quali devo pagare bollette, affitto (che per mia fortuna è di “soli” 500 euro), cibo e tutte le spese necessarie per la sopravvivenza, compresi i farmaci salvavita per i quali ho l’esenzione al 100% per patologia, ma per i quali pago il ticket…
È sin troppo facile dedurre che se capita un imprevisto, un guasto, un’ulteriore problematica di salute, devo chiedere aiuto a mia madre novantenne o a mia sorella, motivo per cui ho già dismesso l’uso dell’automobile e sospeso l’assicurazione della stessa, parcheggiandola presso un amico meccanico che cortesemente mi sta concedendo uno spazio per non tenerla in strada e non essere quindi multato, come mi è già successo un anno fa.
Qualora poi dovessi superare il tetto di reddito, anche solo di 50 euro, l’assegno di invalidità verrebbe meno e mi si creda, tra clienti che non pagano o che pagano quando vogliono, tasse, scarsità del lavoro, difficoltà nel reperimento dello stesso per via dell’invalidità e del periodo non felice, quei 324 euro al mese sono un piccolissimo ma grande aiuto.
Faccio presente che la soglia di povertà assoluta fissata dall’ISTAT nella pagina di calcolo per il 2021 (ultima data calcolabile), riferita a un nucleo familiare composto da una persona che vive nel Mezzogiorno, nell’area Metropolitana, è di 634,14 euro. Una differenza, quindi, di soli 90 euro, rispetto a quanto percepisco io.
Ma perché ho raccontato tutto questo? Forse per uno sfogo con chi può capirmi. Ma del resto, da quando sono sopravvissuto alla “signora con la falce”, seguo il mio cuore, il mio istinto, e non mi faccio troppe domande. Di certo c’è che questa realtà non sarà soltanto mia, saranno sicuramente molti i liberi professionisti in queste condizioni e che tutti dimenticano. Ma la domanda è: perché nessuno ci pensa? Perché nessuno valuta questo status quo? Sono io distratto e poco attento e qualcosa mi sfugge oppure è davvero questa la situazione in Italia?