Perché il “Dopo di Noi” deve riguardare tutti

di Antonio Giuseppe Malafarina*
«La Legge sul “Dopo di Noi” - scrive Antonio Giuseppe Malafarina – dev’essere migliorata, provvedendo innanzitutto alla disparità di trattamento fra Regioni e facendo in modo che la persona che può sia libera di vivere nel proprio domicilio. Penso inoltre che il “Dopo di Noi” riguardi tutti, certo lo Stato, ma anche la società, perché stare accanto a chi ha bisogno è un’esigenza umana. E mettere le persone con disabilità gravissima in grado di compiere il proprio ruolo sociale, sviluppando le proprie abilità, è responsabilità di tutti. Facciamolo iniziando a investire nelle loro potenzialità»

Padre e madre insieme al figlio con sindrome di DownDopo di noi è un costrutto che pone una questione temporale rispetto a una nominale. Quale dopo e quale noi. Il noi è quello dei genitori delle persone con disabilità. Il dopo è il tempo della loro scomparsa. La locuzione “dopo di noi” si riferisce alle problematiche delle persone con disabilità dopo la scomparsa dei genitori o, più propriamente, dei familiari, perché la famiglia non è certo costituita solo dai genitori. Ci sono i fratelli, le mogli, i figli, e tuttavia la situazione più rappresentativa è quella delle famiglie dove si trovano persone con disabilità gravi la cui assistenza è affidata prevalentemente ai genitori e poco più.

La situazione è così preoccupante da aver richiesto una Legge che, pur avendo buoni propositi, ha ottenuto un successo solo discreto. È la legge del “Dopo di noi”, la 112 del 2016, denominata Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare. Ha istituito il fondo per l’assistenza e il sostegno delle persone coinvolte, alcune agevolazioni fiscali e misure volte alla gestione del patrimonio delle persone con disabilità nella prospettiva della perdita dei congiunti.
Riguardo alla Legge, «volta a favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità», il sottoscritto ha sempre nutrito scetticismo.
In primis evidenziavo il vuoto sul netto richiamo alla possibilità della persona con disabilità di riuscire a protrarre il percorso di vita in assenza dei genitori nella propria abitazione, ovvero attraverso gli immobili di proprietà e il patrimonio accumulato dalla famiglia per consentire proprio alla persona di vivere in autonomia al momento opportuno. Esemplificando, la persona avrebbe messo il domicilio e il vitto garantiti, finché possibile, dal patrimonio accumulato nel tempo dalla famiglia e lo Stato avrebbe provveduto all’assistenza sociosanitaria. Un risparmio evidente, se si considera che un posto in rianimazione, quello più appropriato per certe persone con disabilità, costa migliaia di euro al giorno, mentre un’intelaiatura di questo tipo sarebbe costata migliaia di euro al mese.

Qui la seconda criticità, che ruota attorno alla considerazione del patrimonio familiare. Questo è frutto del sacrificio della famiglia durante il periodo di convivenza. Sono soldi accumulati centesimo su centesimo, evitando spese superflue, rinunciando alle vacanze e volando basso sulle spese di ogni genere, per svoltare da un futuro enigmatico a uno più roseo. Avrei gradito assistere a pratiche di defiscalizzazione a ogni livello del patrimonio accumulato dalla famiglia, mentre non di rado accade che tale patrimonio, che io chiamo “cumulo di sopravvivenza”, venga considerato indice di ricchezza della persona. Non è patrimonio per ostriche e champagne, ma fondo di pagamento per badanti e infermieri al momento opportuno.

A prescindere dal punto di vista del sottoscritto, una Legge che avrebbe dovuto aiutare una platea di 150.000 interessati, ne ha raccolti solo 6.000 a fine 2018, quando ritroviamo i pochi dati disponibili ad oggi. La Legge dev’essere migliorata.
Bisogna provvedere alla disparità di trattamento fra Regioni e fare in modo che la persona che può sia libera di vivere nel proprio domicilio, altrimenti il dopo di noi in autonomia diventa un dopo di noi in autonomia condivisa, poiché la legge è propensa alla creazione di soluzioni abitative condivise. Neppure i trust, meccanismi per assicurare la gestione del patrimonio dopo la morte dei genitori, hanno raccolto troppo successo.

Infine, io penso che il dopo di noi riguardi tutti, certo lo Stato, ma anche la società, perché stare accanto a chi ha bisogno è un’esigenza umana. E mettere le persone con disabilità gravissima in grado di compiere il proprio ruolo sociale, ovvero di sviluppare le proprie abilità, è responsabilità di tutti. Facciamolo iniziando a investire nelle loro potenzialità.

Il presente contributo di riflessione è già apparso nel sito dell’ACRI (Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio), con il titolo “Quale dopo e quale noi?”, e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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