Sara Bonanno è la madre caregiver di Simone, un giovane uomo con una grave disabilità. Nota per il suo impegno per il riconoscimento della figura del caregiver in Italia, Bonanno è anche amministratrice di sostegno del figlio da quasi dieci anni. In questi giorni, però, ha scoperto che l’ASL si sta muovendo per sostituirla con un amministratore di sostegno esterno. La stessa ASL con la quale, da due anni a questa parte, ha intrapreso un contenzioso per ottenere una maggiore continuità infermieristica e assistenziale per il figlio.
«L’ASL ha chiesto la nomina di un altro amministratore di sostegno, a mia insaputa – ha dichiarato la donna all’agenzia «Redattore Sociale» –. Oggi, 3 febbraio, vi è stata la seconda udienza, ma io non sono stata informata né tanto meno convocata. Vogliono farmi passare per matta, dicono che sono sola ad assistere mio figlio, ma non è vero: ho sempre circondato Simone di amore e di sostegno, di amici e di personale competente. Quello che chiedo da anni è che sia messo fine a questo continuo turnover di infermieri, che non può garantire un’assistenza di qualità a mio figlio. Di qui il contenzioso con la ASL, ora alle battute finali: presto ci sarà la sentenza e ho ragione di credere che sarà a nostro favore. Sarà per questo che la ASL tenta questa mossa disperata? [grassetti nostri in questa e nelle successive citazioni, N.d.R.]».
Bonanno ritiene che l’ASL abbia richiesto al Giudice Tutelare, «sulla base di pure illazioni», che lei venga sostituita da un amministratore di sostegno esterno a scopo ritorsivo per il contenzioso in atto, e per poter ricoverare coattivamente Simone in una RSA (Residenza Sanitaria Assistita). Inizialmente, avendo la coscienza a posto, non ha dato peso alla cosa. Dichiara infatti: «Come mamma, stanca e sfibrata, lascio molto a desiderare. Ma come amministratore di sostegno, sfido chiunque a far meglio e di più. In questo ruolo, posso dire di essere sempre stata esemplare». Ciò che non aveva però considerato è stata l’eventualità che cambiasse il Giudice Tutelare. «Invece, a mia insaputa, l’ASL e il Giudice Tutelare, che è arrivato da poco e non ci conosce, si erano già messi d’accordo per nominare un nuovo amministratore di sostegno. L’ho saputo per caso e per fortuna: c’è stata già un’udienza, seguita dalla seconda: a me non è arrivata alcuna convocazione, né per la prima, né per la seconda. Spero di arrivare in tempo, altrimenti dovrò poi fare ricorso e certamente vincerlo: ma con i tempi della giustizia, che ne sarà nel frattempo di Simone?».
La decisione di denunciare pubblicamente quanto sta accadendo scaturisce proprio dal timore che se Simone venisse trasferito, anche temporaneamente, in una struttura, questo potrebbe essergli fatale: «Ho paura che mi portino via Simone. Se cambieranno l’amministratore di sostegno, il passo successivo sarà il suo ricovero in una RSA. E quindi, la sua fine», dichiara angosciata a «Redattore Sociale».
Bonanno argomenta ancora: «Non ho commesso alcun abuso, negligenza o indegnità che giustifichi una mia sostituzione come amministratore di sostegno. Ho solo chiesto, proprio come amministratore di sostegno, il rispetto dei diritti e della dignità di Simone: lo chiedo da sempre e sempre correttamente. Sono amministratore di Simone da quasi dieci anni: perché il Giudice Tutelare ha deciso di ascoltare il responsabile del servizio che segue mio figlio da appena due anni?».
Esistono prove documentali che confermano le affermazioni di Bonanno, ma queste non sono stare considerate nell’attivazione della procedura di sostituzione: «Ha mai letto i rendiconti annuali nel fascicolo di Simone? Mostrano chiaramente come ogni soldo che entra, compresa la mia pensione, sia speso interamente per l’assistenza di Simone. E neanche basta, tanto che i farmaci li paghiamo grazie all’aiuto di beneficenza che sostiene da tempo me e mio figlio. In quei fascicoli è descritta la vita di Simone, la fitta rete di relazioni che lo ha sempre circondato, la scuola a domicilio, il progetto di alternanza scuola lavoro che lo ha visto protagonista, il sostegno dei professionisti. Se questi fascicoli, che faticosamente e diligentemente compilo, fossero stati almeno consultati, sarebbe stato lampante che la segnalazione dell’ASL andasse fatta cadere. Ora, invece, questo Giudice Tutelare di nuova nomina è pronto a sostituirmi con un estraneo, il quale – ne sono certa – disporrà il ricovero di Simone in RSA. E con ciò lo condannerà probabilmente a morte, viste le condizioni di mio figlio e visto come ha vissuto fino ad oggi, circondato dall’attenzione e dall’affetto di chi si prende cura di lui da quando è nato».
Si tratta di una condotta che suscita indignazione: «Questo è un abuso che non può restare nelle aule di un tribunale: la giustizia lenta e farraginosa diventa vera e propria violenza verso le persone più fragili», prosegue Bonanno. E conclude: «Come può una Legge, nata per tutelare le persone più fragili, trasformarsi in uno strumento così abusante?».
Alla domanda di Bonanno ci permettiamo di aggiungerne un’altra, l’unica da cui dovrebbero discendere tutte le altre: Simone cosa vuole? Il Giudice Tutelare glielo ha chiesto?
Già dal febbraio dello scorso anno abbiamo iniziato a constatare che nell’applicazione dell’amministrazione di sostegno ci fosse qualcosa che non andava per il verso giusto. L’ingenua convinzione che questo istituto, introdotto nel nostro ordinamento dalla Legge 6/04, fosse in grado di superare tutte le rigidità e le criticità riscontrate negli altri due istituti di tutela – l’interdizione e l’inabilitazione – previsti dal Codice Civile, ha avuto come conseguenza una generale sottovalutazione della violazione dei diritti umani a cui talvolta si presta un’interpretazione della norma che, per usare un eufemismo, potremmo definire quanto meno “disinvolta”.
A questo argomento abbiamo dedicato su queste pagine uno specifico approfondimento e in seguito, in collaborazione con Diritti alla Follia, Associazione molto impegnata su tale tema, abbiamo iniziato ad occuparci di alcuni casi concreti di abuso, cercando di far circolare le informazioni.
Il fatto è che finché non ci confrontiamo con le storie reali non riusciamo ad avere la giusta percezione di quanto siano drammatiche e dolorose le vessazioni sia ai danni della persona con e senza disabilità che vi è sottoposta (anche a sua insaputa, e senza che ve ne siano i presupposti), sia, talvolta, anche ai danni dei suoi familiari (come nel caso di Bonanno).
Abbiamo rilanciato ad esempio la storia del professor Gigi Monello di Cagliari, allontanato dalla madre anziana nell’ultimo anno di vita di quest’ultima, accusato di aver maltrattato la genitrice dall’amministratrice di sostegno dell’anziana, accuse per le quali è tuttora in corso un procedimento penale, ma che, allo stato attuale, risultano manifestamente infondate (se ne legga anche a questo link).
Abbiamo raccontato la storia di Alice, una giovane donna con disabilità, e del padre Antonio, che vivono in Toscana, e che, loro malgrado, hanno dovuto fare i conti con le degenerazioni dell’amministrazione di sostegno, e con molte altre forme di discriminazione sistemica che hanno inciso pesantemente sulle loro vite. Ma sono parecchie le altre storie di cui siamo venuti a conoscenza dopo aver pubblicato queste notizie. Persone che ci chiamano perché si sentono letteralmente perseguitate dall’amministratore di sostegno, e che si ritrovano costrette ad adire alle vie legali, con dispendio di energie, denaro e tempo, di cui non tutti e tutte dispongono, senza sovente avere le competenze per capire come liberarsi da una “tutela che diventa ragnatela”, per riprendere l’efficace espressione usata in una campagna di sensibilizzazione su questi temi, lanciata nel 2021 da Diritti alla Follia.
La vicenda denunciata da Bonanno è dunque solo l’ultima in ordine di tempo di una lunga storia di abusi nell’applicazione della Legge che disciplina l’istituto di tutela, abusi ampiamente documentati da un decennio a questa parte (il Dossier – Abusi nelle amministrazioni di sostegno: due anni di indagini, i silenzi scandalosi, le domande, ad esempio, è del 2013). Nel 2016, anche il Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità è intervenuto sulla quesitone, chiedendo esplicitamente all’Italia di abrogare tutti i regimi decisionali sostitutivi, e dunque anche l’amministrazione di sostegno, quando viene inteso in questi termini, e di porre in essere provvedimenti per il sostegno alla presa di decisioni da parte delle persone con disabilità (si veda il punto 28 delle Osservazioni Conclusive al primo rapporto dell’Italia sull’applicazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità).
Dunque la domanda da fare è: cosa si sta ancora aspettando a cambiare la Legge?
A fianco di Sara Bonanno
Con il seguente comunicato, si sono schierati a fianco di Sara Bonanno la FISH Lazio (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), l’Associazione Hermes, l’AVI di Roma (Agenzia per la Vita Indipendente), l’Istituto Luca Coscioni e l’avvocato Laura Andrao, che hanno scritto:
«Il “Dopo di Simone” ragazzo romano gravemente disabile, riguarda tutti, e se andrà come vorrebbero l’ASL Roma2 e il Giudice Tutelare, il rischio che venga strappato dal proprio ambiente (dalla propria famiglia, la mamma, dalla casa a Roma) è altissimo, finendo in un istituto, in una RSA (Residenza Sanitaria Assistita).
Ad oggi l’amministratore di sostegno è, appunto, legalmente Sara Bonanno, mamma e caregiver che ininterrottamente si occupa di Simone. Ora vogliono toglierle lo status di amministratore di sostegno. L’ASL e il Giudice Tutelare hanno chiesto la nuova nomina, a sua insaputa. «Se cambia l’amministratore, sarà il ricovero di Simone in RSA. Cioè la sua fine», dichiara mamma Sara.
Noi diciamo no! Il caregiver familiare è voce, mani, gambe del proprio congiunto che non può autodeterminarsi. Un terzo senza “manuale di istruzione” non può e non deve essere nominato né prendere decisioni così importanti e a volte fatali. Non possiamo accettare un ennesimo tentativo di estromissione di un caregiver familiare.
Il caregiver familiare ha bisogno di un riconoscimento giuridico, con diritti e tutele NON di essere messo all’angolo».