Ne parliamo spesso, sulle nostre pagine, di interventi di emergenza e azioni umanitarie nei confronti delle persone con disabilità, in caso di catastrofi naturali o di disastri causati dal genere umano. Lo facciamo per sensibilizzare e diffondere cultura in termini di prevenzione, sperando che quando poi accade, la consapevolezza sia cresciuta e la situazione di coloro che a buona ragione vengono definiti come “i più vulnerabili tra i vulnerabili” venga affrontata nel modo giusto e non come ad esempio successe ad Haiti nel 2010, dove, per riportare le parole di Giampiero Griffo, «ben 4.000 persone furono amputate solo perché non vi erano sufficienti unità sanitarie, mettendo in evidenza che esse non avevano sufficienti sostegni, non solo in termini di protesi e ortèsi, ma anche nessun supporto psicosociale adeguato a ricostruire una vita all’improvviso diversa».
Poi accade, ed è il “peggio del peggio”: tra Turchia e Siria uno dei sismi più violenti degli ultimi decenni, in una zona del mondo al centro da anni di situazioni gravemente conflittuali, che colpisce direttamente anche milioni di persone rifugiate, letteralmente “accampati” già prima del terremoto in condizioni di vita drammatiche. Come sperare, allora, che in una situazione del genere si possa tenere conto di convenzioni, trattati e di altri documenti internazionali? Quale utile contributo potremmo dare?
Ci viene solo in mente di continuare a dare ancora spazio a quel che si dovrebbe fare e che quasi mai si è fatto, nei confronti delle persone più fragili, quando si verificano catastrofi naturali come quella di questi giorni, se di sola catastrofe naturale si può parlare, vedendo interi palazzi costruiti certamente troppo in fretta, crollare come “castelli di carte”.
Per questo riteniamo comunque utile riprendere un ampio estratto di quanto il già citato Giampiero Griffo, componente del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International) e coordinatore del Comitato Tecnico-Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, scrisse qualche tempo fa, producendo un testo da tenere sempre a mente, insieme a tutti gli altri contributi da noi pubblicati su questi temi (se ne legga al box in calce), con l’augurio che nelle prossime settimane si possa agire “nel modo giusto” anche lì dove in questi giorni continua ad aumentare il numero delle vittime. (Stefano Borgato)
La questione riguardante le persone con disabilità negli interventi di emergenza e umanitari è stata oggetto di riflessione solo a partire dalla guerra nella ex-Jugoslavia, in cui il mondo intero vide per la prima volta la drammatica situazione nei campi di raccolta degli sfollati in Kosovo, dove il trattamento delle persone con disabilità ne violava spesso i diritti umani.
Ad Haiti, a seguito del terremoto del 2010, ben 4.000 persone furono amputate solo perché non vi erano sufficienti unità sanitarie, mettendo in evidenza che esse non avevano sufficienti sostegni, non solo in termini di protesi e ortèsi, ma anche nessun supporto psicosociale adeguato a ricostruire una vita all’improvviso diversa. Questa incapacità di proteggere e di assistere in maniera competente le persone con disabilità si è evidenziata in tanti disastri naturali ed umani, anche nei terremoti e nelle inondazioni verificatisi nel nostro Paese.
L’articolo 11 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (Situazioni di rischio ed emergenze umanitarie) obbliga gli Stati che l’hanno ratificata ad adottare «tutte le misure necessarie per garantire la protezione e la sicurezza delle persone con disabilità in situazioni di rischio, incluse le situazioni di conflitto armato, le emergenze umanitarie e le catastrofi naturali».
Il tema della protezione e della sicurezza delle persone con disabilità è stato approfondito negli ultimi anni dal dibattito internazionale, per garantire a tali soggetti uguaglianza di opportunità e non discriminazione.
La cosiddetta “Carta di Verona” del 2007 (Carta di Verona sul salvataggio delle persone con disabilità in caso di disastri) è stato il primo documento a definire i princìpi generali su cui basare gli interventi di emergenza per queste persone. Sono poi seguiti articoli e manuali in àmbito internazionale, curati dalle organizzazioni non governative e da quelle di persone con disabilità: se ne veda a tal proposito la bibliografia contenuta in Aiuti umanitari e disabilità. Vademecum (Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Roma, 2015), comprendente anche il Vademecum sugli aiuti umanitari e la disabilità, pubblicato dalla Cooperazione Italiana allo Sviluppo, primo documento organico di un Governo in materia.
Anche le Nazioni Unite hanno licenziato una serie di documenti sul tema degli aiuti umanitari e degli interventi di emergenza: il Sendai Framework for Disaster Risk Reduction del 2015 e la Charter of Istanbul for Inclusion of Persons with Disabilities in Humanitarian Action del 2016. In base a quest’ultima, nel mese di luglio del 2019 un gruppo di lavoro dello IASC (l’Interagency Standard Committee, il principale meccanismo delle Nazioni Unite per il coordinamento tra le Agenzie di Assistenza Umanitaria, foro unico che coinvolge i partner chiave dell’ONU e di altri Enti Governativi e della Società Civile, costituito nel giugno 1992, sulla base della Risoluzione 46/182 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite) ha emanato le Guidelines for Inclusion of Persons with Disabilities in Humanitarian Activities, dopo un lavoro di due anni che ha coinvolto i maggiori esperti nel campo, tra cui, per l’Italia, anche un rappresentante della RIDS (Rete Italiana Disabilità e Sviluppo).
Il filo rosso di tutti questi documenti è la necessità di garantire che l’aiuto umanitario e di emergenza sia rispettoso dei diritti umani di tutti. L’approccio umanitario si fonda da sempre su un intervento rapido sul modello dei corpi militari o delle organizzazioni caritatevoli (Esercito, Croce Rossa ecc.) con il primo modello che si basa sulla limitazione delle perdite, il secondo sull’idea che i beneficiari degli interventi siano inabili e bisognosi unicamente di assistenza.
Si parla, inoltre, di un intervento a due tempi, nel primo dei quali vanno garantiti gli elementi essenziali per il salvataggio e la prima accoglienza (cibo, salute e un luogo di ricovero), mentre solo in un secondo momento si cerca di garantire altri bisogni ritenuti “speciali”. Tali modalità, pertanto, non tengono conto delle persone con disabilità che sono appunto considerate come “speciali”.
È un meccanismo cui si rifà anche l’approccio del triage, termine francese che sta per “cernita”, “smistamento”, caratterizzando un sistema utilizzato per selezionare i soggetti coinvolti in infortuni secondo classi di urgenza/emergenza crescenti, in base alla gravità delle lesioni riportate e del loro quadro clinico. Ebbene, le persone con disabilità coinvolte in disastri naturali e umani spesso non sono assistite prioritariamente, anche se non sono state ferite, e vengono soccorse dopo le altre.
La prevenzione e la riduzione dei rischi derivanti da disastri devono essere basate su approcci multirischio e multisettoriali, inclusivi e accessibili in termini di efficienza e di efficacia. A tal proposito i documenti internazionali consigliano ai Governi di coinvolgere e impegnare le comunità e i suoi più importanti attori, tra cui donne, bambini e giovani, persone con disabilità, anziani, volontari, nella progettazione delle politiche, dei piani e degli standard, in una parola nella capacità di resilienza. Inoltre, tutta la società deve agire come partner impegnata, con una partecipazione basata sull’empowerment [crescita dell’autoconsapevolezza, N.d.R.] e sull’inclusione, sull’accessibilità e sulla non-discriminazione, prestando speciale attenzione alle persone colpite in maniera sproporzionata dai disastri, specialmente le fasce più povere della popolazione.
In tutte le fasi emergenziali vanno considerati il genere, l’età, la disabilità e le culture locali; deve inoltre essere promossa la partecipazione di donne e giovani, coinvolgendo e rafforzando le Associazioni volontarie della cittadinanza.
Anche l’Unione Europea e il Consiglio d’Europa sono intervenuti sul tema dell’emergenza inclusiva delle persone con disabilità: il Consiglio, dopo una serie di consultazioni con gli attori del settore, nel 2016 ha definito un manuale specifico come contributo del programma EUR-OPA; l’Unione ha emanato il Consenso europeo sull’aiuto umanitario, e ancora, dal Consiglio sono arrivate le Conclusions on Disability Inclusive Disaster Management, e dalla Commissione Europea, più recentemente (2019) la guida operativa The Inclusion of Persons with Disabilities in EU-funded Humanitarian Aid Operations, con la messa in campo, successivamente della ben nota Strategia sulla Disabilità 2021-2030, che si occupa anche delle attività relative agli aiuti umanitari e di emergenza.
Giampiero Griffo
Per approfondire ulteriormente la materia delle persone con disabilità di fronte ai vari tipi di emergenze, è possibile accedere al nostro testo intitolato Soccorrere tutti significa soccorrere meglio (a questo link), al cui fianco vi è il lungo elenco dei contributi da noi pubblicati in questi anni, riguardanti anche l’impatto dei cambiamenti climatici.