Persone vulnerabili o vulnerate?

«Le sconvolgenti conseguenze del terribile terremoto in Turchia e Siria – scrive Giampiero Griffo – ci danno l’occasione per riflettere a che punto siamo con la protezione delle persone con disabilità in situazioni di emergenza legate a disastri naturali o creati dagli uomini, come chiesto dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Ebbene, secondo una recente ricerca, su 55 Paesi europei e asiatici, solo 5 hanno nella propria legislazione sull’emergenza un’attenzione specifica alle persone con disabilità. In Italia bene i Vigili del Fuoco, meno bene la Protezione Civile»

Terremoto in Turchia e Siria, 6 febbraio 2023 (AP Photo/Khalil Hamra)

Una delle tante terribili immagini pubblicate in questi giorni sui danni provocati dal terremoto in Turchia e Siria (AP Photo/Khalil Hamra)

Le sconvolgenti conseguenze del terribile terremoto in Turchia e Siria ci forniscono l’occasione per riflettere a che punto siamo con la protezione delle persone con disabilità in situazioni di emergenza legate a disastri naturali o creati dagli uomini, come indicato dall’articolo 11 (Situazioni di rischio ed emergenze umanitarie) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
Abbiamo già analizzato in nostri altri contributi [ad esempio a questo link, N.d.R.] la mancanza di applicazione di quell’articolo della Convenzione all’interno delle Protezioni Civili italiane e di altri Paesi. Una recente ricerca dell’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, presentata in occasione di una Conferenza in Portogallo del 2021, nell’àmbito del Forum Europeo sulla riduzione dei rischi da disastri naturali o causati dall’uomo [se ne legga anche sulle nostre pagine, N.d.R.], ha dato il quadro della situazione a livello internazionale.
Ebbene, su 55 Paesi europei e asiatici censiti, solo 5 hanno nella propria legislazione sull’emergenza un’attenzione specifica alle persone con disabilità. Lo abbiamo per altro ben visto durante la pandemia in Italia e in altri Stati. Lo abbiamo constatato durante l’accoglienza degli sfollati dall’Ucraina a causa dell’invasione della Federazione russa. Non vengono raccolti i dati essenziali per programmare gli interventi appropriati in termini di sostegni rispettosi dei diritti umani di queste persone: numero di persone, età, sesso, tipologia della disabilità… Questo impedisce di definire la prima e la seconda accoglienza in termini di accessibilità e risposta ai diritti/bisogni, di identificare i diritti/bisogni di salute, di prevedere i progetti di inclusione (educativa, lavorativa, sportiva…).

In Italia vi è la buona pratica dei Vigili del Fuoco che nel loro specifico Comitato Nazionale hanno inserito tra i componenti la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap). Non così, invece, la Protezione Civile nazionale, che da anni si rifiuta di inserire le due principali Federazioni italiane FISH e FAND all’interno dei cluster dell’emergenza, come indicato dai documenti internazionali sulla materia.

Questa è dunque la situazione che, oltre a richiedere un’urgente attenzione alla protezione di questa fascia di popolazione nei sistemi di protezione civile (sugli 8 miliardi di persone che vivono sulla terra, l’Organizzazione Mondiale della Sanità segnala che sono 1,3 miliardi le persone con disabilità, ossia il 16% della popolazione mondiale), necessita anche di utilizzare una corretta definizione di queste stesse persone. Infatti, i termini “vulnerabili”, “fragili”, assai spesso usati sia dalle Istituzioni che dagli organi d’informazione, vanno modificati: queste persone sono rese vulnerabili e “fragilizzate” da trattamenti di esclusione e invisibilità costruite nei millenni, da stigmi sociali e culturali negativi, che hanno visto, per dirne solo una, la SIAARTI (Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva) proporre nel 2020, all’inizio della pandemia, di escludere dal triage medico le persone molto anziane e con disabilità grave per «massimizzazione dei benefici per il maggior numero di persone» (sic!). La forte reazione della comunità internazionale, che ha condannato come violazione dei diritti umani considerare le persone come categorie, anziché valutarne le condizioni cliniche, ha consentito di limitare i danni.
I termini più corretti, dunque, sono quelli di “persone a maggiori rischi”, se soggette a particolari patologie, o “persone che richiedono maggiori sostegni”, come indica la Convenzione ONU.
Anche le parole usate in maniera inappropriata rinforzano gli stigmi negativi: non ne abbiamo certo bisogno!

Componente del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International).

Per approfondire ulteriormente la materia delle persone con disabilità di fronte ai vari tipi di emergenze, è possibile accedere al nostro testo intitolato Soccorrere tutti significa soccorrere meglio (a questo link), al cui fianco vi è il lungo elenco dei contributi da noi pubblicati in questi anni, riguardanti anche l’impatto dei cambiamenti climatici.

Please follow and like us:
Pin Share
Stampa questo articolo