Sentiamo spesso il termine “istituzione”, ma che cosa significa veramente questa parola?
Secondo la definizione concordata dai membri del Gruppo Europeo di esperti sulla transizione dall’istituzionalizzazione all’assistenza comunitaria o di prossimità [European Expert Group on the transition from institutional to community-based care, N.d.R.], un istituto è un ambiente di cura che presenta una delle seguenti caratteristiche:
° i residenti sono isolati dalla comunità e/o costretti a vivere insieme;
° i residenti non hanno un controllo sufficiente sulla loro vita e sulle decisioni che li riguardano;
° le esigenze dell’organizzazione stessa tendono a prevalere sui bisogni individuali dei residenti.
Ma è consentito stanziare Fondi Europei per sostenere l’assistenza in un istituto?
L’Unione Europea, attraverso i finanziamenti che distribuisce ai propri Stati Membri, vieta che i fondi comunitari siano destinati all’assistenza in istituto. Questo emerge chiaramente dal Regolamento sulle Disposizioni Comuni, il testo giuridico che stabilisce le regole per l’utilizzo di Fondi come il FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale) e l’FSE+ (Fondo Sociale Europeo Plus), entrambi molto importanti per gli investimenti nell’inclusione sociale.
Questo Regolamento contiene un elenco di quelle che vengono definite come «condizioni di abilitazione», ovvero delle regole da seguire affinché un’azione possa essere ammessa al finanziamento. Ebbene, la Condizione 4.3 chiarisce che gli investimenti effettuati attraverso il FESR e l’FSE+ devono presentare «misure per il passaggio dall’assistenza istituzionale a quella familiare e comunitaria». Per quanto poi riguarda specificamente il FESR, che è il Fondo con il maggior rischio di essere utilizzato per finanziare le istituzioni (può infatti essere utilizzato per lo sviluppo e la ristrutturazione di infrastrutture ed edifici), le condizioni di abilitazione affermano la necessità di «misure per il passaggio da un’assistenza istituzionale a un’assistenza familiare e comunitaria» e di «misure per promuovere servizi basati sulla comunità e sulla famiglia attraverso la deistituzionalizzazione, compresa la prevenzione e l’assistenza primaria, l’assistenza domiciliare e i servizi basati sulla comunità». In altre parole, se si sta finanziando un’assistenza istituzionale, è chiaro che questo non soddisfi i criteri di ammissibilità e non si dovrebbero ricevere i Fondi Europei.
Fin qui, dunque, le cose sembrano piuttosto semplici. Abbiamo una definizione di cosa sia un istituto e una formulazione specifica nei regolamenti di finanziamento dell’Unione Europea che spiega come i Fondi debbano essere utilizzati per abbandonare questi ambienti a favore di servizi basati sulla comunità. Purtroppo, però, questo da solo non basta a impedire che i fondi comunitari vengano destinati alla ristrutturazione o alla costruzione di nuovi istituti.
In alcuni casi, infatti, ci si scontra con una palese inosservanza dei regolamenti di finanziamento. È quanto accaduto ad esempio di recente in Polonia, dove è stato approvato l’utilizzo di quei Fondi per la creazione di istituti, in alcuni casi realizzati all’interno di vecchi edifici scolastici, che ospitano un numero molto elevato di persone in locali segregati e controllati. Nei fatti un modello di istituzionalizzazione nel suo senso più tradizionale.
In altri casi, l’uso improprio dei finanziamenti è più sfumato e quindi più difficile da contrastare. Uno dei principali problemi è che la definizione di istituzioni, come quella fornita sopra, è facile da manipolare e quindi aperta all’interpretazione da parte delle autorità che decidono dove allocare i Fondi Europei. La definizione di cui abbiamo detto, infatti, fa riferimento al carattere dei servizi come fattore decisivo per definire un’istituzione, elementi che possono essere facilmente nascosti e difficili da decifrare quando vengono presentate le domande di finanziamento.
La risposta della Commissione Europea a questi problemi è stata quella di proporre agli Stati Membri dell’Unione una guida su Vita indipendente e inclusione nella comunità, la cui pubblicazione è prevista per la fine di questo 2023, il cui obiettivo è di chiarire meglio quali siano gli aspetti che le autorità di gestione devono tenere in considerazione quando valutano le proposte di finanziamento.
Per assistere la Commissione in questo compito, il citato Gruppo Europeo di esperti sulla transizione dall’istituzione all’assistenza comunitaria (o di prossimità) ha prodotto parallelamente una propria guida [disponibile in lingua inglese a questo link, N.d.R.] che definisce una serie di “segnali d’allarme” di cui le autorità di gestione dovrebbero essere consapevoli i quali indicano che la proposta di finanziamento probabilmente favorirà l’istituzionalizzazione. Allo stesso modo, viene anche presentato un elenco di caratteristiche positive cui prestare attenzione, che indicano come l’azione proposta sarà basata sulla comunità, portando a una maggiore autonomia e inclusione sociale per gli utenti dei servizi.
Nel dettaglio, la guida del Gruppo Europeo è suddivisa in sei sezioni didattiche, ognuna con criteri specifici a cui prestare attenzione, vale a dire:
° Come individuare un’istituzione e assicurarsi che i finanziamenti non vadano al mantenimento dell’assistenza istituzionale.
° Come investire i fondi in servizi che promuovano una vita indipendente e l’inclusione nella comunità.
° Come adattare i servizi alle esigenze specifiche di bambini e minori e come offrire sostegno alle famiglie.
° Promuovere la vita indipendente e l’inclusione attraverso ambienti accessibili.
° Come evitare spese che rafforzino indirettamente la segregazione.
° Come monitorare al meglio i miglioramenti nella fornitura di assistenza personale e nell’inclusione nella comunità.