Il 31 gennaio scorso è venuto a mancare Glauco Perani. Colpito da una grave forma di disabilità in età adolescenziale, non si perde d’animo e, anche grazie al sostegno dei familiari, si laurea in Sociologia e intraprende la carriera nel pubblico impiego, fino a diventare dirigente amministrativo della ASL Rieti 1, ruolo che ricoprirà fino al 2015, quando, a causa di un fortuito incidente stradale che ne peggiorò le condizioni di salute, non fu più in grado di condurre l’attività lavorativa.
Partendo dall’assunto che il maggior contributo che una persona con disabilità può dare all’emancipazione di chi vive questa condizione è il proprio esempio di vita, basterebbero queste poche righe per tracciare le proporzioni del valore del suo percorso esistenziale, considerate la condizione fisica estremamente difficile e l’epoca storica in cui esso si è dipanato. Glauco, infatti, apparteneva a quella generazione di persone con disabilità che, volenti o nolenti, sono state pioniere dell’inclusione, quando le tutele legislative per l’integrazione scolastica e l’inserimento lavorativo erano assenti o in stato embrionale. Capacità di sfidare lo stigma sociale, impegno e dedizione etica, sono le caratteristiche sulle quali ha fondato il suo percorso per uscire dall’emarginazione e dall’assistenzialismo passivizzante.
E tuttavia, accanto alle lezioni che oggettivamente si potevano trarre dal suo approccio alla vita, egli ha mostrato anche una soggettiva volontà e capacità di impegno sociale che, partendo dall’àmbito della disabilità, si è andata negli anni generalizzando e radicalizzando nella consapevolezza della comune matrice della discriminazione che colpisce persone con disabilità, migranti e persone che vivono in condizioni di povertà estrema.
Anche questo percorso coscienziale non era per nulla scontato in un contesto locale e nazionale condotto politicamente sull’onda della contrapposizione ideologica tra i vari settori della società, ma diventa intellegibile alla luce della sua capacità di generalizzazione dell’esperienza personale e di assunzione soggettiva conseguente. Molti dei/delle suoi/sue assistenti personali sono stati/e persone migranti dall’Est Europa, integrati nel suo concetto di famiglia e con i quali ha condiviso gioie e dolori, senza mai cedere a rancori indiscriminati. Corollario inevitabile è la consapevolezza della profonda comunanza di due realtà sociali che si sostengono vicendevolmente.
Infine è bello ricordare di Glauco Perani, accanto alla determinazione con cui segnalava elementi di discriminazione delle persone con disabilità nel contesto reatino, anche la sua attitudine costruttiva.
Fondatore e presidente negli Anni Ottanta dell’ARFH (Associazione Reatina Famiglie Handicap), punto di riferimento per tante famiglie di Rieti e Provincia, nel ’90 fondò l’Associazione Sportiva Atletica Sport Terapia Rieti di cui era particolarmente orgoglioso, convinto com’era del benessere psicologico generato dall’attività sportiva e dalle opportunità di socializzazione e scambio affettivo che essa fornisce ai bambini e ai ragazzi con disabilità cognitiva.
Attraverso un processo di identificazione proiettiva, nell’amore per lo sport e nella costruzione di opportunità per gli altri, Glauco aveva trovato un modo alternativo di realizzarsi negli àmbiti di vita a lui negati dalla patologia. Trascesa l’autoreferenzialità del proprio destino avverso, aveva compreso che il dono è un potente fattore di emancipazione dal proprio dolore e rifugio dalla ruminazione depressiva e rabbiosa.
Questa la lezione che anche chi scrive cerca di rinnovare ogni giorno nel proprio modo di essere, questo il mio ricordo di un amico che è stato un punto di riferimento nell’età giovanile in bilico tra diversità e accettazione.