Gli eventi susseguitisi in questi ultimi anni ci hanno travolto per portata, complessità e velocità: sullo sfondo di una situazione ambientale in costante cambiamento, abbiamo attraversato la pandemia mondiale, viviamo tuttora la crisi economica e un conflitto ogni giorno più cruento, pericoloso, mortale per migliaia di persone. Eventi che, a pensarci bene, erano già presenti anche se con minori impattati sui nostri territori: Ebola con SARS e MERS; la crisi del 2008; le tante guerre (ben 59 in atto nel 2022!) tra cui Afghanistan, Yemen, Siria ecc.
Sommandosi l’uno all’altro, diventa difficile capirli a fondo, saperne le cause e le conseguenze sulla nostra vita. Comprenderli è però di vitale importanza, per orientarci nelle idee e nelle scelte, anche politiche.
Certo, non tutti sono preoccupati da queste tematiche che, apparentemente, non riguardano tutte le persone con disabilità; ma da genitore non posso non chiedermi quali risvolti avrebbe su mia figlia con disabilità uno scenario di repentina, profonda crisi economica o, peggio, di guerra: che impatto sulle sue fragilità? Ci saranno gli ausili fondamentali per la vita sociale e lavorativa? Memori del passato, le fragilità non verranno segregate o peggio?
Ci impegnamo ogni giorno per rendere il contesto di vita più inclusivo, con passi avanti a volte microscopici, altri enormi. Ma il cambiamento delle condizioni di fondo può buttare all’aria tutto quanto in pochissimo tempo?
Mi chiedo spesso come una persona con disabilità viva questo periodo… Se riesce difficile, se non impossibile, poter influire personalmente nella gestione di un conflitto armato, molto però si può fare sulla sensibilizzazione delle persone, per ragionare in particolare sui motivi che hanno portato alla guerra: siamo sicuri che non possano presentarsi anche da noi? Siamo tranquilli per i risvolti economici, sulla situazione politico/sociale nel nostro Paese?
Dovremmo tutti chiederci se non si stia consolidando quel «modo di pensare e di comportarsi in sintonia con la logica della guerra: l’indifferenza alle sofferenze altrui e il cinismo nel provocarle», che Gino Strada descriveva nel suo ultimo libro Una persona alla volta.
In Lombardia tra qualche giorno, il 12 e 13 febbraio, ci sarà l’elezione del Governo Regionale. Strano questo periodo dove appare imperante un solo credo politico, del tutto analogo a quello nazionale. Eppure non possiamo scordare quanto accaduto pochissimo tempo fa: nella Regione simbolo dell’efficienza, la diffusione del virus invisibile ha fatto collassare miseramente il sistema sanitario, sociale, lavorativo. La protezione di massa è diventata paravento per mascherare l’inefficienza di un sistema sanitario pubblico distrutto a favore della speculazione privata. Le carenze emerse con la pandemia sono state drammatiche. Per citarne alcune: terapie intensive inesistenti perché diventate troppo costose da mantenere, per poi moltiplicarle a emergenza ormai rientrata; farmaci insufficienti, introvabili; personale sotto organico, tardiva corsa a rimpolparlo con finale amaro di mancata stabilizzazione. Per tornare in crisi con l’influenza stagionale…
Il confronto con l’estero, più ricco ed efficiente (non solo a parole), è impietoso quanto imbarazzante. I tanti medici che in piena pandemia invocavano, dimostrandola, una cura efficace basata sui farmaci da sempre disponibili per tutti e in grado di guarire dalla malattia se aggredita subito secondo le regole basilari della prevenzione, sono stati zittiti ed emarginati. Nel frattempo, protocolli inadeguati facevano aumentare la somma dei morti. E al termine dell’emergenza, sembra che tutto sia dimenticato.
La disabilità ha pagato un prezzo altissimo per la pandemia, sia in termini di decessi che di segregazione: è bene ricordare che i centri per le persone con disabilità sono stati gli ultimi a tornare alla normalità. Anche dopo mesi rispetto a qualsiasi altro àmbito erano vietate visite e uscite. Segregati nelle strutture in nome di una sicurezza sanitaria ormai inutile, sacrificando la socialità di persone già discriminate dal contesto.
Poi arriva il cambio dell’assessore regionale della Lombardia alla Sanità: nei primi giorni del 2021 viene compiuto l’ennesimo mascheramento della realtà, dove il “capro espiatorio” Gallera segna il ritorno di Letizia Moratti. Sembra di essere allo stadio: tifare sì, ma zitti, buoni e soddisfatti del risultato finale. Personaggi che si presentano per coalizioni anche opposte, ma con la stessa idea di fondo. Non è poi così difficile leggere tra le righe il fine della ricetta: privatizzare la sanità e l’assistenza, aree per ingenti guadagni se lasciati nelle mani del privato. Peccato che l’umanità non possa essere contemplata nel tornaconto economico. Dimenticando che l’attuale sistema sanitario deriva da una visione legata strettamente all’idea politica da cui Gallera, Moratti e ancor prima Maroni (pace alla sua anima) e compagnia derivano.
Chissà come si divertono a prenderci per i fondelli. E chissà se i lombardi avranno memoria e buon senso. Se anche questo fattore ha influito nelle elezioni nazionali, lo stesso ribaltone dovrebbe a maggior ragione accadere in questa tornata regionale.
Dal locale al nazionale le cose seguono un andamento simile. Se è vero che oramai i governi nazionali si occupano solo degli “affari correnti”, l’informazione dei media stordisce su argomenti quali l’esportazione dell’efficienza lombardo/veneta che si realizzerà con l’“autonomia differenziata”, distraendo dai motivi di fondo di una guerra alle nostre porte. Carneficina che l’Europa concorre a rinvigorire senza cercare le soluzioni di mediazione pacifica più efficaci. Tra Ucraina e Russia si parla solo di riarmo, militarizzazione europea, di fornire armi sempre più offensive, di volere la vittoria, di sterminare il nemico. Ignorando i fatti storici che dimostrano che non c’è mai una vittoria, un vincitore, ma solo morte, distruzione e miseria per i popoli. Ignorando perfino i motivi che han creato questa guerra. Governano persone che fomentano odio speculando sul business delle armi e della successiva ricostruzione: da noi va a rotoli l’economia delle famiglie, sui confini di guerra le famiglie stentano o perdono la vita. In tutto ciò, dov’è la diplomazia, la mediazione politica? Perché gli organi di informazione non guidano le persone a coltivare la convivenza pacifica per influenzare i propri rappresentanti? Evidentemente, la cultura dell’odio conviene. Lo stesso generato dalla divisione, dalla differenziazione dell’Italia. La disabilità ci insegna che è con la misura opposta, l’inclusione, che si costruisce la cittadinanza, l’unione. Nell’autonomia nasce solo malaffare e discriminazione.
Infatti, nel mentre, la società nei suoi aspetti più critici implode nell’indifferenza. Non solo i casi di caregiver familiari che uccidono il proprio caro/congiunto aumentano giorno dopo giorno. Nasce anche il sospetto che non essendo notizie succulente, ne accadano assai di più. Ed è un obbligo morale quello di aprire gli occhi a tutti, politici in primis, sulla drammaticità di questa situazione.
Non è per altro da oggi che viene denunciata. È da anni che vengono reclamate le soluzioni per prevenirla. Lasciare le tragedie sottotraccia per non disturbare la sofferenza o per pudore di accostamenti, di per sé impropri, porta inevitabilmente alla loro reiterazione. Dobbiamo con lucidità e coraggio fare tutto il possibile per cambiare il contesto che li provocano, non certo speculare su di essi o stare zitti.
Oltre ad avere interessato il Parlamento Europeo, Alessandra Corradi e il sottoscritto hanno scritto un libro sui caregiver familiari [“L’esercito silenzioso. I caregiver familiari”, N.d.R.] proprio con il fine di far emergere e conoscere il contesto dei caregiver familiari, riportando fedelmente parole e richieste di aiuto dei caregiver.
La soluzione per porvi rimedio sembra abbastanza chiara: il caregiver è un lavoratore per ventiquattr’ore su ventiquattro e come tale deve essere riconosciuto e supportato, anche economicamente, con adeguate strategie riportate nel libro stesso.
Esiste però un limite, una barriera che è in tutti noi e si specchia nella politica e nella società. È nella cultura che bisogna lavorare, valorizzando il vivere assieme pacificamente, guidando le persone a riflettere sul fatto incontrovertibile che la salute “normale” prima o poi cambia o viene meno, ed è nelle criticità che un sistema emerge nelle sue storture o qualità. Invece, si sta guidando la nazione lontano dalla cultura, dalla pace tra simili, dal bene comune. E purtroppo, questa tendenza non è solo degli ultimi governi nazionali/locali.
Sono quindi le persone che devono riprendere in mano il proprio futuro. Svegliandosi dal torpore generato da un’informazione a senso unico distribuita dai “leader”, dai media e dalla politica, rifilando politiche divisive come mezzo per assicurare lo status quo. Mascherando, invece, un futuro ancor più orrendo.
La disabilità offre la possibilità di osservare e capire il mondo che ci circonda: dal punto di vista di una condizione percepita e gestita dal mondo “normale” come cosa a parte, separata, “dis-giunta”, “dis-prezzata”, si comprende come sia il “normale” a generare la “dis-abilità”. Voler, invece, far parte del mondo in un contesto che non sia barriera è il fine dell’inclusione. Cosa c’è di meno inclusivo di una guerra? Di scelte basate sullo sfruttamento della cosa pubblica a danno della popolazione e, in particolare, dei più fragili?
«Tutte scelte precise fatte “digerire” ai cittadini con la complicità cosciente di molti mezzi di “informazione” – scriveva ancora Gino Strada-. Così tanti crimini sociali sono stati presentati come cose buone e giuste, tante scelte contrarie all’interesse delle persone sono state chiamate riforme, o progresso. La guerra è stata chiamata missione di pace, gli ospedali aziende, i licenziamenti ristrutturazioni. Un modo di pensare, una logica di guerra condivisa da tutti coloro – di sinistra, centro, destra e variazioni sul tema – che sono disposti e disponibili a barattare i diritti con il proprio tornaconto».