«Le parole sono importanti», ammoniva Nanni Moretti in Palombella rossa. Attraverso le parole ci definiamo nei nostri valori, descriviamo e comprendiamo la realtà che ci circonda. Una questione delicata che diventa cruciale quando si parla di disabilità, un argomento sul quale pesano decenni di stereotipi non ancora del tutto superati che quando riemergono tra le righe fanno compiere qualche passo indietro sulla strada dell’inclusione.
Per capire meglio le implicazioni di un linguaggio sbagliato e imparare cosa dire, e soprattutto non dire, è uscito in questi giorni Comunicazione efficace inclusiva. Tecniche di conversazione e comunicazione assertiva quando si incontra la disabilità, un prontuario che, partendo da dieci storie tratte da episodi realmente accaduti, ci racconta le gaffe, talvolta anche gravi, in cui chiunque può incappare, e illustra i motivi che possono creare tensioni.
L’autrice è la giornalista Elisa Bortolini, consulente in comunicazione e redazione testi sulle tematiche legate all’inclusione e alla disabilità, co-autrice Cristina Lavizzari, avvocata esperta in difesa di soggetti fragili, vittime di violenza e in amministrazione di sostegno; la prefazione è a cura di Marco Rasconi, presidente nazionale della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare).
«Essere propositivi sui temi dell’inclusione e dell’equità è il modo per rispondere a una società sempre più attenta all’impatto sociale – spiegano Bortolini e Lavizzari -, questo significa anche saper parlare alla e della disabilità conoscendo le regole di una comunicazione efficace».
Le autrici non salgono in cattedra e non puntano il dito ritenendosi detentrici di una verità assoluta, bensì prendono per mano il lettore alla scoperta di un “mondo”, quello della disabilità, che per la maggior parte delle persone si ferma al semplice concetto di abbattimento delle barriere architettoniche, allargandolo in una visione più ampia che abbraccia ogni aspetto della socialità. Non a caso abbiamo scritto “mondo” tra virgolette, perché ancora si considerano i cittadini con disabilità come una categoria a parte e non una parte attiva.
Prendiamo il tema del lavoro, ad esempio, trattato in uno dei capitoli del libro (disponibile su Amazon sia in formato cartaceo che digitale). Quando si scopre che una persona con ridotta autonomia ha un impiego retribuito «molti reagiscono come se fosse una fortunata coincidenza e una parentesi momentanea dell’esistenza». Insomma, quando si tratta di persone con disabilità «il lavoro viene visto quasi come un passatempo per distrarsi dalla quotidianità».
Viene raccontata la storia di Antonella, neo praticante avvocato, che riceve una paternalistica carezza sulla testa da una sorridente signora che si congratula per il traguardo raggiunto, una carezza che di norma non è il gesto di congratulazioni con cui ci si rivolge ad un “principe del foro”. Come ci si deve rapportare con la disabilità in un caso come questo? «Evitare stupore o encomi eccessivi rispetto a quanto accadrebbe se le stesse informazioni venissero da una persona normodotata», consigliano le autrici. «La professionalità di una persona non dipende dalle sue condizioni personali: vale per l’età, il genere, l’etnia e anche per i requisiti fisici. Questa storia racconta di come si fatichi nel mondo aziendale ad andare oltre il concetto di categorie protette e di come ancora ci si stupisca di trovare professionisti disabili. Serve prima di tutto un cambio di mentalità piuttosto che concentrarsi sempre sulle barriere e gli accessi».
Per Bortolini e Lavizzari l’inclusione non è un’opportunità ma un imperativo, e al nodo del lavoro hanno dedicato Storiecocciute – Inclusive culture, un progetto che diffonde la cultura dell’inclusione, con specifico riferimento all’àmbito della disabilità.
Nato dalle rispettive competenze professionali e personali, Storiecocciute si rivolge alle aziende che desiderano avere un impatto sociale importante in un’ottica partecipativa, capace di coinvolgere clienti e dipendenti. Il supporto offerto va dalla realizzazione di percorsi formativi ed eventi culturali per condividere conoscenze, alla ricostruzione di circostanze tipiche per toccare con mano come generalmente si accoglie la disabilità negli ambienti lavorativi; non mancano inoltre sessioni formative personalizzate sulle necessità dell’azienda per fornire soluzioni più mirate.
Occuparsi di disabilità, del resto, non è soltanto un modo per apparire più “buoni”. Negli Stati Uniti, infatti, il 75% dei consumatori si aspetta che i marchi prendano posizione su tematiche sociali e il 34% dei dirigenti considera l’impatto sociale un fattore primario per lo sviluppo dei brand, una tendenza che sta prendendo piede anche in Italia.
Storiecocciute si muove anche sul binario dell’istruzione attraverso La Scuola Inclusiva, uno sportello di consulenza informativa e legale gratuita per famiglie di alunni e alunne con disabilità, e la pubblicazione di libri per bambini (ne hanno già tre all’attivo), con disegni, storie e giochi che offrono un diverso modello di inclusione. Infine ci sono il blog #storiemirabili che racconta la disabilità concentrandosi sulle soluzioni e le opportunità, bandendo ogni forma di pietismo, e i podcast, centrati su approfondimenti riguardanti grandi temi legati all’inclusione, dall’empatia alle opportunità tecnologiche.
Insegnare a relazionarsi con le diversità senza sentirsi a disagio, è questo l’obiettivo di Elisa Bortolini e Cristina Lavizzari: «Non sapere come rapportarsi alla disabilità e come accoglierla nei luoghi che si frequentano ogni giorno crea le barriere più difficili da superare. Una società inclusiva è la somma della cultura di ogni persona. Ci si troverà sempre più spesso ad affrontare la disabilità, una delle sfide di un mondo sempre più diversificato che quindi deve imparare ad essere inclusivo». È una delle tappe, aggiungiamo, per arrivare a scrivere mondo senza virgolette.