Recita un mio aforisma: dov’è finito il buonsenso? In via d’estinzione. Non è ancora estinto e per una campagna di salvaguardia basterebbe rivolgersi ai “rimedi della nonna”. Perché ai tempi delle nonne il buonsenso era diffuso, pur fra discrete controversie.
Sulla via del recupero dei valori portanti della nostra società, commento oggi la faccenda dei bambini che non hanno proseguito la gita perché il loro compagno in carrozzina non poteva scendere dall’autobus per la pedana rotta [se ne legga già anche sulle nostre pagine, N.d.R.]. Bravi, bravissimi ma niente medaglia!
Racconta il tutto un articolo del «Mattino». Ecco i fatti. Gita dall’Aquilano a Roma per una scolaresca di alunni fra gli otto e i nove anni e, quando l’autobus si ferma per farli scendere, la pedana per consentire lo sbarco di quello in carrozzina si blocca. In attesa di provvedimenti, gli insegnanti propongono di continuare la gita, magari senza spostarsi troppo dall’autobus, ma la classe si rifiuta. Sono un gruppo e non vogliono rinunciare a esserlo, A costo di tornare indietro senza gita. Come poi è successo. In due parole: Nessuno escluso.
Uso intenzionalmente l’espressione “nessuno escluso” in conflitto con il suo uso volgare. Spesso, e molto volentieri, diventa uno slogan. Io propendo per l’autenticità. E mi avvalgo dello spirito di questi bravi bambini. Il loro “nessuno escluso” non ha niente a che vedere con l’Inclusive Washing, cioè “l’inclusione di facciata”. Le cose che fai per seguire la scia, ma senza mettere contenuti. Loro, i bambini, l’inclusione l’hanno praticata veramente. Mi piacerebbe esser loro accanto per gridare insieme: nessuno escluso!
Non hanno escluso nessuno e mi domando se ai miei tempi sarebbe successa la stessa cosa. Io avrei fatto la loro stessa cosa, sicuro. E credo anche molti miei compagni di classe. Era naturale comportarsi così. Come era naturale prendere in giro i compagni che non sapevano leggere e facevano una fatica immane a mettere insieme due parole. Che ne sapevamo, noi, di disturbi dell’apprendimento?
La società è cambiata. Ora abbiamo molti più strumenti per comprendere la disabilità. Anzi i bisogni delle persone. Quelle sfumature proprie della propria condizione umana che devono essere comprese e soddisfatte, naturalmente quando lecite. Dalla diversità di genere a quella di etnia. L’inclusione comprende una serie infinita di sfaccettature. Nessuna esclusa.
Stiamo meglio di quando stavamo peggio, se ne siamo consapevoli. Il tempo passa, la storia si sviluppa e si va avanti. Il passato, senza il quale non saremmo qui, in qualche modo ci ha determinati. Ma non sempre la Storia, che è costituita dagli atti dell’essere umano, evolve in positivo. Le due guerre mondiali del secolo scorso dovrebbero averci insegnato che non è scontato che è tutto bene quello che facciamo, e pensiamo, ora.
Dalle due guerre ci hanno salvato valori come la pace, la solidarietà, la libertà, la dignità: l’umanità. Nella conflittualità di un tempo che tende ad andare nelle mille direzioni che gli uomini determinano, bisogna ricorrere ai valori umani, per evitare una deriva distopica, o apocalittica, che si voglia dire. Ma anche meno, comunque dannosa. Se perdiamo l’orientamento rispetto alla direzione dei valori umani siamo finiti. Prendi il passato, aggiorna il suo lascito buono e procedi sulla rotta dell’umanità.
I bambini di quella scuola ci hanno dato una lezione di valori umani. Bravi. Altri bambini forse non l’avrebbero fatto. Mi vengono qui in mente tante storie di classi che partono per le gite escludendo le persone con disabilità. Dove, invero, le responsabilità sono genitoriali. Come in questo caso, a ben vedere. Perché se i “cattivi” lo sono per i genitori, i “buoni” non possono che rispondere alla stessa logica.
Quello dei bambini è stato uno splendido atto. Un bell’esempio. Ma niente medaglia. Prendiamoli a modello. Le altre scuole lo facciano. Lo facciano i bambini e gli adulti di ogni dove. Ma quei bambini non hanno fatto nulla di speciale, se non quello che andava fatto. E non ci sono medaglie per chi non fa nulla di straordinario. Si chiama buonsenso.