«Una passeggiata narrativa nel quartiere, con i luoghi che incontreremo i quali diventeranno tutti uno spunto per raccontare quello che abbiamo visto e ascoltato durante un anno. L’inclusione in àmbito di disabilità, infatti, è un tema complesso, spesso ambiguo e contraddittorio: affrontarlo nella cornice di un quartiere aiuta però a riportarlo in una dimensione pratica e concreta»: così l’antropologo Stefano Onnis, presidente dell’Associazione romana Come un Albero, presenta l’iniziativa conclusiva del progetto Il QUID in più. Per un quartiere inclusivo con la disabilità, promosso dalla stessa Associazione Come un Albero, grazie a un finanziamento della Regione Lazio, nell’àmbito del bando Comunità Solidali 2020. Un’iniziativa di chiusura, programmata per la mattinata di dopodomani, 25 febbraio (a partire dal Museo Bistrot di Come un Albero, Via Alessandria, 159, Roma, ore 10), che sarà centrata sostanzialmente sulla presentazione delle diverse attività svolte durante un anno, ma basandosi appunto su una passeggiata durante la quale incontrare altre realtà del territorio, scoprire alcune storie e, soprattutto, ragionare sui cambiamenti necessari a rendere il quartiere un po’ più inclusivo.
«Sono argomenti – spiega Onnis – che durante le attività del progetto sono stati affrontati a più livelli, coinvolgendo innanzitutto quindici persone con disabilità intellettiva e con autismo. La modalità è stata quella classica dei laboratori, ma questi sono stati proiettati sempre in una dimensione esterna, il quartiere appunto. Un laboratorio di mappatura, di fotografia, di comunicazione e di illustrazione che hanno interagito attivamente con il territorio, dialogando anche con i tre ricercatori antropologi che hanno avuto il compito di intervistare residenti e negozianti del territorio. Inoltre, grazie anche al supporto di Solidarius Italia e delle Associazioni Persone Comuni e Murequal, sono stati svolti anche degli incontri di animazione culturale nel quartiere, sempre con l’obiettivo di stimolare una riflessione sul tema dell’inclusione».
«Non ha senso parlare di inclusione – conclude il Presidente di Come un Alberto – se non in una visione di sfida, di processo, di scambio continuo. Un quartiere per essere inclusivo non deve solo modificarsi in termini di progettazione urbanistica, ma anche in termini di immaginario culturale. Pensarsi accoglienti vuol dire, in sottotraccia, pensare di essere buoni nei confronti di qualcuno considerato altro, diverso. Il che potrebbe pure essere un buon primo passo, forse, sicuramente non escludente. Ma l’inclusione è un cambio di prospettiva totalmente diverso. È decidere di fare un passo indietro, decidere di riorganizzare il proprio ambiente e il proprio atteggiamento, perché stiamo in uno spazio comune, come lo è, appunto, un quartiere, che appartiene a tutte e a tutti. E quindi è una questione di diritti, non di favori». (S.B.)
Per ogni informazione e approfondimento: info@comeunalbero.com.
Articoli Correlati
- Scuola: Gruppi di Lavoro per l’Inclusione e strumenti operativi da modificare «I GLO (Gruppi di Lavoro Operativi per l’Inclusione) hanno tra i propri compiti anche quello di proporre la quantificazione delle risorse per gli alunni/alunne con disabilità e servirebbe una procedura…
- Associazioni, attivisti, federazioni, tra “seduttivi immaginari e plausibili realtà” «La disabilità vive indubbiamente una fase di transizione, con il rischio spesso che non si parli di disabilità, ma della rappresentazione che i media, social e non, generalisti e specializzati,…
- Perché servono servizi territoriali integrati e creativi «Il primo passo da fare - scrive Fausto Giancaterina -, quale fondamentale cambiamento per i servizi rivolti alle persone con disabilità, è l’ormai irrinunciabile integrazione tra il settore sanitario e…