«La S.V. è invitata alla inaugurazione della Biblioteca centro di documentazione promossa da questa Associazione, che si terrà il giorno sabato 26 febbraio 1983 alle ore 16 nella sala del Quartiere Colli, via San Mamolo 24, Bologna»: così recitava l’invito stampato allora dalla sezione AIAS di Bologna (Associazione Italiana Assistenza Spastici) per l’inaugurazione del CDH (…questo è il nome con cui è comunemente conosciuto) che la stessa Associazione ha gestito dal 1983 al 1996 e che poi è diventato un’Associazione autonoma, Associazione CDH, affiancata dai primi Anni 2000 da una Cooperativa (Accaparlante) ad essa strettamente legata.
Chi scrive [Andrea Pancaldi] ha partecipato alla fase fondativa di quell’esperienza, durata pressappoco per tutto il 1982, e vi ha lavorato, prima come AIAS e poi come Associazione CDH fino al 2004, quando, come accade non di rado in molte esperienze vissute intensamente, e spesso nel Terzo Settore, diversità di vedute sul “come andare avanti”, su come “interpretare i segni dei tempi”, su come “gestire i linguaggi” portano ad intraprendere strade diverse.
Oggi il CDH è profondamente diverso da quello di quei primi anni pionieristici, e in larga misura è inevitabile che sia così, come capita a tutti gli organismi viventi, ma mi fa piacere aprire una pagina su quel tempo, una sorta di servizio TV in bianco e nero, come si vedono su RAI Storia o RAI Scuola.
Lo faccio pubblicando tre documenti, anzi quattro con la foto che correda questo articolo, che ripercorrono le ragioni fondative di un gruppo di persone molto giovani (20/25 anni) che si affacciavano, con già alle spalle diversi anni di volontariato (praticato o “subìto”), alle prime esperienze di tipo lavorativo e ad una dimensione di tipo culturale e politico. Alcune sedute su una carrozzina terminate le scuole superiori (1), altri non in carrozzina, ancora all’università o neolaureati e, i maschietti, con davanti anche i venti mesi di servizio civile come obiettori di coscienza.
Mi fa piacere ricordare i nomi di tutti quei compagni di avventura di cui tre sono tuttora al CDH (Claudio Imprudente, Annalisa Brunelli, Nicola Rabbi), uno purtroppo è deceduto ormai da molti anni (Alberto Fazzioli) e altri cinque hanno preso strade differenti (Andrea Tinti, Michele Morritti, Mauro Sarti, MariaCristina Pesci e il sottoscritto).
Storie di salami
Il primo documento, Il salame dell’handicap (a questo link) è una sorta di manifesto programmatico del CDH neonato. Ingenuo, enfatico a tratti, echi donmilaniani, una sorta di dichiarazione di intenti, fatto col ciclostile (!!!). Ma grandi non si nasce, si diventa, e per fortuna ci sono state quelle parole che lette oggi fanno sorridere nel confronto con i corpi non conformi, l’empowerment, le neurodivergenze, il diversity management. Solo pochi anni fa ho scoperto che all’epoca (1987), in occasione del 25° anniversario dell’AIAS, la redazione bolognese di Canale 5 lo usò come parte della sceneggiatura di un video che ancor oggi non sfigurerebbe tra l’armamentario dei vari attivisti e influencer. Da poco AIAS lo ha ritrovato in qualche cassetto, riconvertito dal preistorico formato betamax (tecnologia Anni Settanta) e pubblicato su youtube.
La biblioteca degli handicappati
Il secondo documento riattualizza il lavoro del CDH alla luce dell’esperienza dei primi anni di lavoro, attraverso un articolo pubblicato sulla prima rivista che il CDH editò, «Accaparlante» (2).
Nell’articolo La biblioteca degli handicappati, chi scrive ripercorreva il rapporto tra il CDH e la città in cui era nato, rapporto tra una città simbolo in quegli anni di impegno sulla disabilità, di uno strano oggetto, il CDH, che a volte non si sapeva dove mettere (e forse nemmeno noi lo sapevamo), ma che poi ci permise, negli ultimi anni in cui uscì, di aggiungere il sottotitolo «L’handicap fuori dalla riserva» alla nostra rivista «Rassegna stampa handicap». “Fuori dalla riserva” non solo come costruzione culturale, ma anche frutto delle assurdità che ci venivano dette (riportate nell’articolo, come «noi siamo l’assessorato alla Cultura dovete andare ai servizi sociali»; «la biblioteca sull’handicap significa fare un nuovo ghetto», consigliere comunale PCI», «…bello che vi trasferite al Parco della Lunetta Gamberini così i ragazzi possono prendere aria…») e dei fecondi rapporti di scambio con altre realtà italiane come il Gruppo Abele, la Comunità di Capodarco e, tra le Associazioni, più che le altre AIAS, soprattutto alcune Sezioni della UILDM, l’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare (Milano, Padova, Bergamo, Udine) e alcune figure che hanno fatto la storia della disabilità in Italia come Andrea Canevaro, Gianni Selleri, Rosanna Benzi, Cesare Padovani, Franco Bomprezzi.
Di Rino ed Enrica
Il terzo documento è riservato alla “casa madre”, la Sezione AIAS di Bologna, al presidente dei primi Anni Ottanta, Rino Montanari, che ebbe l’idea di allestire una biblioteca e, soprattutto, alla presidente successiva, Enrica Lenzi, che, resistendo anche a forti critiche interne sul fatto che si spendessero soldi in libri e riviste e non in assistenza, pulmini e vacanze estive, navigando spesso “in direzione ostinata e contraria”, diede slancio alle attività, lasciando, tra incoscienza e coraggio, carta bianca al gruppo di lavoro del CDH di fare e disfare ciò che riteneva giusto senza che questo massacrasse i bilanci dell’Associazione. La parola d’ordine era «data una idea dove troviamo i fondi»… e quasi sempre ce l’abbiamo fatta (50% vendendo i nostri prodotti, 15% dalla Cultura e 35% dall’Assistenza… allora si chiamava così).
Poi nel tempo la parola d’ordine si è ribaltata di centottanta gradi, per varie ragioni, alcune anche comprensibili, ma questa è un’altra storia.
Un servizio mai girato
Il servizio TV in bianco e nero forse più importante non è mai stato però girato, ed è la storia di un fallimento, ma forse, almeno per me, la cosa più significativa prodotta da quella esperienza.
Si tratta di Roberta che aveva cominciato a frequentare il CDH dopo avere abbandonato le scuole superiori dopo la prima o la seconda, non ricordo bene. Roberta decise un giorno che avrebbe voluto riprendere gli studi e tornare a scuola. La famiglia non resse a quel desiderio (desiderio, dal latino de-sidero, camminare in senso contrario a quanto indicano le stelle, il destino) e le impedì di continuare a venire. Di lei non ho mai saputo più niente. E a lei e ad Enrica dedico queste pagine.
Note
(1) Andrea Biancardi, Massimo Manferdini, Gilberto Pellegrini, Luca Viggi, Ti presto un braccio, Edizioni Dehoniane, 1983, Collana “Gli esclusi”, diretta da Andrea Canevaro.
(2) «Accaparlante» (poi «HP-Accaparlante») è uscito per trentasei anni, dal 1983 al 2019. L’altra rivista edita, «Rassegna stampa handicap» (una selezione commentata di ciò che in Italia si pubblicava sulla disabilità) è uscita dal 1985 al 1991 e fu un piccolo miracolo economico/editoriale in quanto tra abbonati paganti (750) e alcune pubblicità riusciva a pagare quasi interamente i costi di produzione.
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