È stato appena dato alle stampe Monitoraggio e ricognizione nazionale delle esperienze di amministratore di sostegno, numero monografico della rivista «Studi Zancan. Politiche e servizi alle persone» (settembre-dicembre, n. 5/6, 2022, 172 pagine, volume liberamente scaricabile a questo link previo inserimento del proprio indirizzo e-mail). Lo studio è stato svolto da un Gruppo di ricerca composto da Maria Bezze, Cinzia Canali, Devis Geron, Elena Innocenti, Silvia Sguotti ed Elena Vivaldi.
Nell’editoriale di Tiziano Vecchiato, intitolato L’amministrazione di sostegno: una strada lunga e promettente, viene messo in rilevo come la norma che ha introdotto questo istituto di tutela nel nostro ordinamento giuridico, la Legge 6/04, abbia proposto un cambio di paradigma nell’approccio alla tutela giuridica. Un paradigma in virtù del quale la capacità giuridica degli individui non possa essere limitata dalla condizione di disabilità, e ogni persona affiancata da tale figura possa «esprimere piena capacità di esercitare i propri diritti costituzionalmente garantiti. Ma, come spesso succede, la soluzione dei problemi non viene solo dalla norma, ma da una paziente costruzione delle condizioni necessarie perché l’autodeterminazione possa prendere la forma in sistemi di fiducia necessari a realizzarla» (pagina 3, grassetti nostri in questa e nelle successive citazioni testuali). La qual cosa, significa, nella sostanza, facilitare il processo decisionale della persona con disabilità, aiutandola a realizzare le proprie volontà, ponendosi in ascolto e incoraggiandola nell’espressione della volontà stessa.
Da quando è stato inserito nel Codice Civile, l’istituto dell’amministrazione di sostegno, pur essendo stato applicato in modo disomogeneo nelle differenti Regioni, ha riscosso una certa fortuna, passando da 12.583 amministratori di sostegno nel 2005 a 58.929 nel 2021, vale a dire «da 0,26 per 1.000 residenti maggiorenni nel 2005 a 1,18 per 1.000 nel 2021» (pagina 3).
Davanti alla crisi del nostro sistema di welfare, servono «attenzioni capaci di valorizzare le capacità di ogni persona, con pratiche generative basate sul “non posso aiutarti senza di te”», argomenta ancora Vecchiato, che individua in una «reciprocità radicale» la modalità più idonea per «bilanciare i poteri e le capacità di ogni persona, evitando l’assistenzialismo costoso e pericoloso» (pagina 4).
La monografia si propone come uno studio apprezzabile, corposo e ben strutturato. Esso è articolato in tre parti nella prima delle quali viene proposto un monitoraggio dell’attuazione, a livello regionale, della Legge 6/04, con particolare riferimento a sette Regioni (Abruzzo, Emilia-Romagna, Liguria, Marche, Sardegna, Umbria e Veneto), analizzando atti, provvedimenti e pratiche poste in essere sui territori.
In questa sezione è ospitato anche il quadro intertemporale che evidenzia una tendenza nella quale al crescere delle amministrazioni di sostegno corrisponde la decrescita delle interdizioni e inabilitazioni (pur non essendo queste scomparse). Nello specifico la decrescita dei provvedimenti di interdizione ha toccato il suo valore minimo nel 2020 (2.214), per poi registrare una nuova crescita nel 2021 (2.393). I dati proposti riguardano l’arco temporale 2005-2021, e sono disaggregati anche per Regioni.
Nella seconda parte del volume l’effettività della norma sull’amministrazione di sostegno e le criticità riscontrate nell’applicazione di essa vengono esaminate attraverso una ricognizione della giurisprudenza costituzionale e di merito. In particolare, oltre ad approfondire lo stato di diffusione e l’utilizzo dell’istituto, vengono analizzate le principali questioni interpretative emerse nella pratica ordinaria di tribunali e servizi.
Qualificanti sono anche i due approfondimenti qualitativi inseriti in questa sezione: una bibliografia tematica, e gli esiti di numrose interviste semistrutturate rivolte a nove «testimoni privilegiati», ossia esperti/e e operatori/trici di area giuridica e sociale attualmente impegnati sul tema nelle sette Regioni coinvolte nell’indagine; testimoni che hanno proposto anche delle raccomandazioni per migliorare l’attuazione dell’istituto e superare le criticità riscontrate.
L’ultima parte, infine, è dedicata a individuare il «valore aggiunto» che scaturisce dall’esercizio della funzione dell’amministratore di sostegno, così come emerge da un’indagine alla quale hanno partecipato 738 persone: 465 amministratori di sostegno, 255 assistenti sociali e 18 giudici tutelari operanti nelle sette Regioni coinvolte nello studio. Anche a costoro è stato chiesto di esprimersi in merito alle criticità e alle possibili migliorie da apportare all’istituto.
Essendo impossibile dar conto di tutte le suggestioni che scaturiscono dalla lettura della monografia, proponiamo una riflessione sull’impostazione dello studio nel suo complesso, prendendo spunto dal fatto che la norma sull’amministrazione di sostegno è stata emanata nel 2004, dunque prima che, nel 2006, venisse approvata la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, e che l’Italia la ratificasse con la Legge 18/09). Alla ratifica avrebbe dovuto fare seguito un monitoraggio e la conseguente eliminazione o modifica delle norme incompatibili con essa. Monitoraggio che non è mai stato fatto, il che comporta il fatto che ancora oggi la Legge 6/04 sia in contrasto con la Convenzione ONU sia dal punto di vista formale che da quello sostanziale, come opportunamente segnalato nel volume stesso (pagine 13-15).
Sotto il profilo formale, infatti, possiamo osservare che all’interno del Codice Civile l’amministrazione di sostegno è connotata come «una misura di protezione», un’espressione paternalistica che mal si concilia con il concetto di autodeterminazione della persona con disabilità che informa il dettato della Convenzione. Mentre sotto un profilo sostanziale, l’istituto è stato frequentemente applicato come regime decisionale sostitutivo della persona con disabilità, e non come strumento di supporto alle decisioni liberamente espresse dalla stessa, un aspetto per il quale, nel 2016, l’Italia è stata specificamente richiamata dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
Tali questioni vengono approfondite anche nella monografia degli «Studi Zancan», che tuttavia propone dei dati e un’analisi tutti centrati sulla capacità di risposta delle Istituzioni e della Comunità alle esigenze della persona con disabilità, o comunque fragile, e non sugli effettivi benèfici che tale risposta dovrebbe arrecare sulla persona beneficiaria della misura, ed eventualmente anche alla sua famiglia.
Con grande onestà intellettuale, sono gli stessi Autori e Autrici a segnalare tale criticità, e tuttavia non è adeguatamente argomentato perché né nelle interviste ai nove «testimoni privilegiati» (della seconda parte), né nella più corposa indagine che ha coinvolto 738 persone (della terza parte), non sia stata interpellata nemmeno una persona beneficiaria.
Il problema non è che i soggetti coinvolti non siano sufficientemente autorevoli – lo sono certamente –, quanto, piuttosto, che se, ad esempio, volessimo sapere se un servizio di ristorazione funziona, oltre a cuochi/e, camerieri/e e fornitori/trici, sarebbe utile anche sapere cosa pensano gli/le utenti del ristorante. Infatti questi soggetti, pur non essendo tenuti a sapere di cucina e servizio al tavolo, sono certo in grado di dire come hanno mangiato e se si sono sentiti accolti/e.
In ogni caso, questa monografia contiene una quantità di informazioni e analisi tale da farne comunque un supporto utile e aggiornato per conoscere molti aspetti teorici e pratici dell’amministrazione di sostegno, nonché le numerose criticità rilevate in sede applicativa e le proposte avanzate per superarle. Tuttavia, invitiamo caldamente la Fondazione Zancan ad intraprendere un ulteriore studio finalizzato ad esplorare anche il gradimento delle persone beneficiarie, visto che l’amministrazione di sostegno nasce proprio per dare risposte effettive ai loro bisogni, desideri ed esigenze, nonché per garantire loro il godimento dei diritti, e non per dare risposte che magari gratificano/soddisfano chi le dà, ma non è detto siano adeguate per chi le riceve.
Ha ragione Vecchiato quando, in risposta alla crisi del sistema di welfare, auspica «pratiche generative basate sul “non posso aiutarti senza di te”», infatti l’espressione ricorda molto il motto mondiale delle persone con disabilità, Nulla su di Noi, senza di Noi ed è verosimile ritenere che tale concetto si applichi anche ai lavori di ricerca. (Simona Lancioni)
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.