Trasformare i servizi, per una reale vita indipendente, inclusa nella comunità

Presentato da Gerard Quinn, Relatore Speciale dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità, il rapporto “Trasformazione dei servizi per le persone con disabilità” evidenzia tra l’altro come «i modelli tradizionali di servizio e supporto spesso perpetuino la dipendenza e la mancanza di libero arbitrio, concentrandosi sulle menomazioni e considerando le persone con disabilità come destinatari passivi di cure». Lo studio offre quindi una serie di indicazioni su come “re-immaginare” i servizi, rendendo effettivo il diritto a vivere in modo indipendente e ad essere inclusi nella comunità

Giovane con disabilità che ride, seduto presso un tavolo di cucinaIl 13 marzo scorso è stato presentato a Ginevra un rapporto elaborato da Gerard Quinn, relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, dal titolo Trasformazione dei servizi per le persone con disabilità (disponibile, in lingua inglese, a questo link).
In tale documento, presentato al Consiglio dell’ONU per i Diritti Umani, Quinn fornisce una panoramica delle attività intraprese nel 2022 e presenta uno studio tematico su come «re-immaginare» i servizi del ventunesimo secolo, per rendere effettivo il diritto delle persone con disabilità a vivere in modo indipendente e ad essere incluse nella comunità.

Nel proprio studio, il Relatore Speciale sottolinea come «i modelli tradizionali di servizio e supporto spesso perpetuino la dipendenza e la mancanza di libero arbitrio, concentrandosi sulle menomazioni e considerando le persone con disabilità come destinatari passivi di cure. Questo approccio è in contrasto con la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che si fonda sulla personalità, l’autonomia e l’inclusione nella comunità» (grassetti nostri in questa e nelle successive citazioni). E tuttavia, in questo stesso contesto, «sta emergendo una filosofia del servizio e del supporto completamente nuova che richiede un’articolazione più chiara in àmbito giuridico e politico».
Nel rapporto viene illustrata l’ampia gamma di strumenti politici a disposizione degli Stati per attuare il cambiamento, evidenziando le principali sfide politiche e il ruolo strategico che potrebbe giocare il settore imprenditoriale.

Secondo Quinn, dunque, il sostegno necessario per consentire alle persone con disabilità una vita comunitaria può essere fornito direttamente dallo Stato, attraverso l’economia sociale senza scopo di lucro o attraverso le forze di mercato. L’esatta combinazione dipenderà dalle scelte politiche e dalle circostanze locali e includerà sempre un mix tra servizi formali (a pagamento) e informali (basati sulla famiglia o sulla comunità). Non si tratta, ovviamente, di sostituire il settore pubblico con il settore privato, ma di focalizzare come il settore delle imprese possa essere una forza positiva per il cambiamento, «se opera in modo condiviso e attivo con la società civile per creare prodotti e servizi che promuovono veramente i diritti».

Va per altro osservato come il rapporto sottolinei l’importanza di utilizzare un approccio intersezionale, giacché «i servizi [di cui si occupa il rapporto stesso] sono sensibili al genere» e «riguardano l’agire morale e l’inclusione sociale, che sono gravemente colpite dal patriarcato. Di particolare interesse è anche la disponibilità di servizi per rifugiati e richiedenti asilo. Solo i flussi di popolazione dovuti ai conflitti e ai cambiamenti climatici ne faranno un problema davvero urgente. Altrettanto importante è affrontare [temi quali] il reddito, la salute, l’alloggio e altre disparità vissute dalle persone con disabilità appartenenti a minoranze etniche e razziali».
Nella sostanza il rapporto «adotta un approccio trasversale alla disabilità, sottolineando l’importanza critica della riprogettazione del servizio per gruppi particolari (ad esempio, per le persone con disabilità psicosociali)».
«In un momento di crisi globale del costo della vita senza precedenti – si legge ancora –, i sistemi e i servizi di supporto basati sui diritti umani per le persone con disabilità devono avere la priorità per garantire che nessuno venga lasciato indietro».

Riassumendo, quindi, le conclusioni del rapporto, si deve innanzitutto parlare della chiara necessità di adottare una nuova filosofia per governare la progettazione e l’erogazione del sostegno alle persone con disabilità, basata sul loro agire morale, sull’autonomia e sull’inclusione sociale. Gli Stati devono perciò abbandonare i modelli di servizio basati esclusivamente sulla menomazione.
Servono inoltre nuovi tipi di partnership, per realizzare questa nuova filosofia. Gli Stati devono ridefinire l’“interesse pubblico” e determinare come investire e plasmare la fornitura di servizi, siano essi basati sul mercato o meno. Il sostegno deve passare da sistemi dominati dal punto di vista medico, che si basano sulla coercizione, a un sostegno liberamente scelto. È quindi necessaria una consultazione attiva con le persone con disabilità, per determinare ciò di cui esse hanno bisogno e vogliono. Dal canto suo, il settore delle imprese deve assumersi le proprie responsabilità in materia di diritti umani e diventare un partner per il cambiamento.
E ancora, un reale cambiamento richiede anche un nuovo lessico che rifiuti etichette come “cliente”, “consumatore” e “utente del servizio” e si concentri sui diritti fondamentali della cittadinanza.
Gli strumenti politici per gestire il cambiamento includono modelli decisionali supportati, al fine di creare supporto individualizzato, reti di supporto tra pari, centri di vita indipendente, standard per gli appalti pubblici e la conformità dei contratti, il diritto della concorrenza per creare spazio per nuovi operatori del mercato e nuove tecnologie, compresa l’intelligenza artificiale. Sono altresì necessari l’erogazione di sostegno alle famiglie, la raccolta di dati sulle performance del sistema, l’incentivazione di nuovi fornitori di sostegno, l’adozione di standard per i fornitori di servizi e il potenziamento del presidio e del monitoraggio.
Infine, i Paesi donatori e le Agenzie di Assistenza allo Sviluppo devono rivedere la loro programmazione, per garantire che i fondi, specialmente nel Sud del mondo, non prolunghino i servizi antiquati. I donatori dovrebbero cioè sostenere iniziative che diano priorità all’inclusione, anziché alla separazione e alla stigmatizzazione. (Simona Lancioni)

Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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