Proprio all’indomani della Giornata Mondiale per la Consapevolezza sull’Autismo del 2 Aprile ricevo nel mio studio una giovane coppia di genitori di un bimbo autistico di 9 anni.
Premessa doverosa: non li ricevo in qualità di pazienti, per i quali ho l’obbligo di mantenere il segreto professionale, ma quali testimoni diretti, loro malgrado, della scarsa efficacia e dell’intempestività dei servizi socio-sanitari nel supportare le famiglie nella cura dei bambini con autismo.
Nel loro caso specifico, si può parlare di vera e propria latitanza delle Istituzioni: l’ASL non eroga né terapia ABA [Analisi Comportamentale Applicata, N.d.R.], né terapia logopedica, inoltre nel 2022 sono risultati idonei in lista di attesa per mancanza di fondi, in ben tre bandi per il sostegno delle famiglie di persone con disabilità e dei bambini autistici.
Lungo e sofferto è stato anche l’iter per ottenere una diagnosi differenziale corretta: chiesta una prima visita nel 2016 al TSMREE (Tutela Salute Mentale e Riabilitazione dell’Età Evolutiva), avendo notato segni di uno sviluppo atipico, solo nel 2018 hanno ricevuto la conferma che le problematiche del figlio erano riconducibili all’autismo, ma hanno dovuto aspettare ancora un anno per essere indirizzati verso la terapia ABA come trattamento d’elezione. Considerando che si raccomanda di intervenire già in età prescolare, si può immaginare come quei tre anni di incertezze da parte dei servizi abbiano pesato negativamente sulle potenzialità dello sviluppo del bambino, nonostante i genitori si siano applicati diligentemente a dare seguito a indicazioni terapeutiche che però non rispettavano i protocolli dettati da evidenze scientifiche.
Con rabbia ed esasperazione mi raccontano che dagli addetti ai lavori non hanno ricevuto indicazioni per procurare al figlio le terapie adeguate. Tutto quanto di buono è stato fatto in questi anni, è scaturito dai loro sacrifici per pagare le terapie di tasca propria e dalla loro iniziativa per racimolare qualche briciola di finanziamento pubblico, districandosi fra bandi pubblici disorganici.
Ovviamente raccontiamo la loro esperienza in quanto rappresentativa della condizione di migliaia di famiglie.
Troppo spesso le Istituzioni non informano né in merito ai diritti, né in merito alle risorse messe a disposizione. Le informazioni circolano per iniziativa individuale o da parte dell’associazionismo e così capita che le Leggi, seppur nella loro imperfezione, rimangano lettera morta, mentre le risorse, già sottodimensionate, non arrivano capillarmente a tutto il tessuto degli aventi diritto. Peggio ancora, a volte si ricevono informazioni non veritiere che depistano e scoraggiano.
La denuncia di questi genitori diventa così l’occasione per ribadire ciò che è garantito per legge in merito alle terapie ABA e che dovrebbe essere già noto, soprattutto agli addetti ai lavori.
Cominciamo col dire che fin dal 2011 la Linea Guida n. 21 dell’Istituto Superiore di Sanità sull’autismo nei bambini e negli adolescenti riporta che l’Applicated Behavioral Analisys (Analisi Applicata del Comportamento, l’ABA, appunto) è la metodologia più accreditata di efficacia nel migliorare le competenze sociali e comunicative del bambino autistico e nel ridurre comportamenti disfunzionali.
Importante è sottolineare che l’efficacia dei programmi di terapia ABA è ottimizzata quando vengono svolti con una frequenza tra le 20 e le 40 ore settimanali.
Una prima conseguenza dell’inserimento del metodo ABA nelle Linea Guida è che essa rientri nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) e che quindi sia a carico del Servizio Sanitario Nazionale.
Seppure con grave ritardo, la Regione Lazio ha promulgato la Legge Regionale 7/18 con la quale riconosce, all’articolo 74, la terapia ABA come trattamento d’elezione per i bambini fino ai 12 anni affetti da autismo, dando indicazione di iniziare il trattamento già in età prescolare e stanziando un milione di euro annui per il triennio 2018-2020, oltre a individuare un regolamento che: stabilisce i criteri per l’iscrizione nel registro regionale degli operatori e supervisori; fissa il tetto di 5.000 euro per il rimborso delle spese; individua la priorità nelle famiglie con più figli affetti da autismo e con ISEE al di sotto degli 8.000 euro.
Sebbene questa Legge abbia il merito di tracciare delle buone prassi per l’erogazione di fondi per il sostegno economico per le terapie ABA, lo stanziamento è insufficiente. Inoltre, il meccanismo del rimborso tramite partecipazione al bando rende incerto e macchinoso l’accesso alla misura.
Per dare un’idea dei costi a cui vanno incontro le famiglie, si può ricordare che essi possono variare dai 15 ai 30 euro all’ora, più costi forfettari periodici per la rivalutazione del caso e per apporre eventuali variazioni al programma i quali possono variare tra i 350 e gli 800 euro (fonte: disabili.com). Ciò fa sì che sia necessario anticipare ingenti somme che nella migliore delle ipotesi verranno rimborsate mesi dopo. Ovvio, che non tutti hanno il margine economico-finanziario per vivere e pagare le terapie.
A rendere ulteriormente difficoltoso l’accesso alle terapie, c’è inoltre la possibilità di rimanere esclusi per mancanza di fondi o per un errore nella compilazione delle domande di partecipazione, nonché la necessità di contattare professionisti accreditati che non sempre sono disponibili sul territorio. È evidente, dunque, come il diritto alla salute dei bambini autistici sia oggetto di discriminazione. I genitori di un bambino che non ha questo disturbo scelgono infatti il pediatra di riferimento che viene direttamente retribuito dal Servizio Sanitario Nazionale. Non ci sono spese da sostenere e per le quali si deve chiedere rimborso.
I bambini autistici hanno diritto a crescere al meglio delle loro possibilità come ogni altro bambino. Se per farlo hanno necessità di cure particolari, come la terapia ABA, esse devono essere fornite secondo le stesse modalità. Diversamente, si pregiudica il loro diritto fondamentale alla salute.
Sulla base di quest’ultimo principio, negli anni più recenti ci sono state Ordinanze che hanno condannato le ASL a somministrare direttamente la terapia ABA o a rimborsare ai familiari le spese sostenute per eseguire i protocolli intensivi raccomandati dalla citata Linea Guida n. 21. Così, ad esempio, il Centro Studi di Diritto Sanitario e Farmaceutico sintetizza l’ordinanza del Tribunale del Lavoro di Roma del 25 giugno 2020: «Il trattamento con metodologia ABA è un trattamento riabilitativo compreso nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) e che è riconosciuto dalle più recenti evidenze scientifiche e, quindi, come tale, rientra nei trattamenti sanitari che il Servizio Sanitario Regionale eroga. La ASL, pertanto, è tenuta a somministrare a tutti gli assistiti il trattamento medesimo, purché sussistano le condizioni richiamate dal disposto del D.lgs. n. 502/1992 e conseguentemente sussiste la legittimazione passiva della ASL».
Ridurre la garanzia del diritto fondamentale alla salute dei bambini autistici ad onere in capo alla famiglia, mortifica la titolarità di cittadinanza che viene svuotata di senso e mina l’appartenenza di questi ultimi alla società. La consapevolezza che lo stato di disabilità non intacca minimamente la legittimità ad esercitare diritti fondamentali anche attraverso misure speciali, consente di lottare senza esitazione e con la massima dignità per essi. Il benessere psicologico nelle avversità passa anche attraverso l’assunzione profonda e la condivisione di questi princìpi.