Il mondo sta attraversando un momento di forte crisi: senza pace e senza giustizia sociale, senza un’educazione e un’abitazione decente, senza un ruolo da svolgere nella società e senza un reddito adeguato, non ci possono essere salute né crescita reale né sviluppo sociale. Si tratta di un fenomeno allarmante che sta diventando sempre più visibile, oramai da alcuni anni, attraverso manifestazioni che inneggiano alla violenza contro chi sta peggio, contro il diverso.
In questo scenario è tornata in auge la parola uguaglianza. Il problema è che l’obiettivo dell’uguaglianza andrebbe declinato in modo corretto. Ciò a cui bisognerebbe mirare è l’uguaglianza delle condizioni di partenza e non di arrivo. Occorrerebbe saper distinguere tra privilegi e meriti, tra rendite e profitti.
La letteratura giuridica in tema di uguaglianza e pari opportunità è sterminata. Di disuguaglianza e discriminazione si è scritto e studiato sotto vari profili: etnia, sesso, religione, opinioni politiche, condizioni sociali ed economiche. Quando però questi temi, vitali per ogni democrazia, vengono presi in esame sotto la lente ingombrante della disabilità, allora tutte le costruzioni teoriche si scombinano, tutte le utopie di uguaglianza sociale crollano, perché la disabilità rappresenta di per sé un enorme elemento di disuguaglianza. Di fronte alla persona con disabilità, infatti, alle sue giornate, alle sue difficoltà, si avverte fortissima la scarsa aderenza della legislazione al mondo reale, nonostante le ottime intenzioni e le altrettante ottime leggi.
Non succede per nessun’altra forma di discriminazione, sia che si parli di etnia oppure di sesso: pur in una realtà orribile di discriminazione, la vita quotidiana di una persona nera, di uno straniero o di una donna comunque potrebbe andare avanti perché potrebbe muoversi in autonomia, mangiare da solo, andare al cinema, intrattenere rapporti sociali. Il tutto si restringerebbe alla sfera ideologica e normativa nella quale ogni persona conserva la propria autonomia e la propria indipendenza. Se un giorno il razzismo scomparisse e le donne potessero occupare le stesse posizioni di partenza degli uomini, il problema della discriminazione razziale e di quella tra i sessi sarebbe risolto.
Per le persone con disabilità, invece, anche se venissero loro riconosciuti i diritti, anche se fossero eliminate le barriere architettoniche e quelle sociali, rimarrebbe aperta comunque un’enorme questione di disuguaglianza e la ragione sta nel fatto che le criticità poste dalla disabilità travalicano la dimensione dell’ideologia o dell’assetto normativo e affondano invece le proprie radici nella dimensione materiale: alzarsi la mattina, vestirsi, andare al lavoro o a scuola o al cinema. Per rendere possibile tutto questo occorrono certamente delle buone leggi, ma non bastano. Occorrerebbe infatti sostenere da una parte il principio costituzionale di uguaglianza e dall’altra il dovere inderogabile di solidarietà.
La disabilità rappresenta un ostacolo che limita la libertà e l’uguaglianza delle persone che ci convivono, impedendo il pieno sviluppo della personalità. Quindi diventa necessario sottolineare che si tratta di uno di quegli ostacoli che non possono essere facilmente rimossi. Occorre un impegno permanente che non può essere solo quello del Legislatore, ma deve appartenere a tutte le formazioni sociali in cui si svolge la personalità di chi vive con una disabilità. Vale a dire che diventa necessario l’impegno del Parlamento, quello del Governo, quello della scuola, quello dei Comuni, quello dei datori di lavoro. Tutti devono contribuire, secondo le proprie possibilità, a rimuovere o quanto meno a ridurre quell’ostacolo permanente che è la disabilità.
Come sappiamo, le persone, attraverso l’esercizio del diritto di voto, costruiscono il proprio destino e disciplinano le proprie Istituzioni e tra queste persone ci sono anche quelle che vivono con una disabilità.
È venuta l’ora di battersi affinché le persone con disabilità rivendichino la loro sovranità perché è la Costituzione che ci vuole sovrani. Oltre a reclamare le nuove tecnologie per migliorare la qualità delle nostre vite, oltre ad esigere l’accessibilità in ogni dove, dobbiamo diventare padroni del nostro destino nelle decisioni della vita politica, nell’organizzazione della vita sociale e nelle scelte individuali della vita quotidiana.