Tutte le Convenzioni Internazionali sono dotate di meccanismi di monitoraggio e di un organo composto da soggetti indipendenti preposto a verificarne attuazione. Nel caso della Convenzione di Istanbul, ovvero la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, questo organo si chiama GREVIO.
Le Istituzioni italiane, avendo rarificato quella Convenzione con la Legge 77/13, si sono impegnate a produrre e a trasmettere al GREVIO dei rapporti periodici sulle azioni poste in essere in ottemperanza degli impegni presi, ma anche diversi soggetti della società civile producono delle relazioni – i cosiddetti “Rapporti Ombra” –, nelle quali esprimono il proprio punto di vista sul fenomeno considerato, in questo caso la violenza contro le donne, da trasmettere al GREVIO.
Da qualche anno anche il FID (Forum Italiano sulla Disabilità) ha iniziato a produrre dei Rapporti Ombra sulla violenza nei confronti delle donne con disabilità. Il primo è stato elaborato nel 2018, il secondo, datato 6 aprile 2023, e già trasmesso al GREVIO, è disponibile, anche in traduzione italiana, a questo link. Esso è stato redatto da un gruppo di lavoro composto da figure ben note a chi si occupa di disabilità: Luisella Bosisio Fazzi, Donata Vivanti, Silvia Cutrera, Laura Abet, Giulia Grazioli, Patrizia Cegna e Giampiero Griffo. Per ragioni di sintesi, in questo spazio di approfondimento verranno considerati solo alcuni dei temi trattati nel Rapporto.
Sebbene le questioni sollevate nel Rapporto Ombra del 2018 in tema di contrasto alla violenza nei confronti delle donne con disabilità siano rimaste inalterate, e molte delle Raccomandazioni rivolte all’Italia dal GREVIO su questa materia rimangano disattese (si veda il Rapporto di valutazione del 2020, e il testo di commento), ci sono dei piccoli cenni positivi di cambiamento. Costituisce, ad esempio, espressione di una sinora inedita attenzione al fenomeno, il fatto che il 3 dicembre 2022 l’OSCAD (l’Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori della Direzione centrale della polizia criminale che fa capo al Ministero dell’Interno) abbia pubblicato la brochure divulgativa intitolata La violenza contro le donne con disabilità (se ne legga una presentazione a questo link).
I dati OSCAD, pochi per numero, registrati nel biennio che va dal 1° ottobre 2020 al 30 settembre 2022, in realtà rappresentano la punta dell’iceberg di un fenomeno che nasconde storie difficili da raccontare, come quella di una giovane donna con una grave disabilità intellettiva che, ricoverata in una struttura sanitaria in Sicilia, durante il lockdown introdotto per contenere la pandemia da Covid, ha subìto ripetute violenze sessuali da parte di un operatore alle cui cure era affidata, violenze mai scoperte o denunciate fino a quando la ragazza indifesa è rimasta incinta (se ne legga a questo link). Le diverse le storie di violenza nei confronti delle donne con disabilità che si riescono a reperire concorrono a dimostrare che «la violenza perpetrata nei loro confronti è particolarmente odiosa in quanto quasi sempre invisibile e sommersa, verificandosi in contesti di cura e assistenza o comunque all’interno di ambienti relazionali in cui la vittima – a causa della sua disabilità – viene spesso considerata incapace di decidere autonomamente, inaffidabile, non idonea a costruire una propria vita affettiva e sessuale in autonomia» (come si legge nella brochure dell’OSCAD, a pagina 7).
Uno dei problemi riscontrati nel nostro Paese è dato dal fatto che l’attuazione del Piano Strategico Nazionale sulla Violenza Maschile contro le Donne 2021-2023 è affidata alle Regioni, che queste disciplinano la materia in modo disomogeneo, e che solo in pochi casi è menzionata la discriminazione intersezionale che colpisce, tra le altre, anche le donne con disabilità. La qual cosa, è osservato nel Rapporto, crea disuguaglianze e discriminazioni delle ragazze e delle donne con disabilità anche su base territoriale.
Inoltre, non sono stati assunti impegni specifici chiari, né sono state fornite finora indicazioni operative sia a livello nazionale che regionale in merito ad azioni di sensibilizzazione rivolte a gruppi svantaggiati/emarginati (come le donne con disabilità) che sono vittime di violenza di genere ma che intendono emanciparsi.
Per quanto riguarda poi le strutture di supporto e assistenza, il FID sottolinea la loro inaccessibilità ambientale/fisica, attitudinale e comunicativa a donne e ragazze con disabilità. Le eventuali campagne di sensibilizzazione e prevenzione non si rivolgono a ragazze e donne con disabilità, in particolare quelle con disabilità intellettive e/o psicosociali, né sono fornite con linguaggi e supporti differenziati e adeguati alle diverse esigenze comunicative.
E ancora, alle persone con disabilità (non solo alle donne) non è riconosciuto il diritto costituzionale all’uguaglianza davanti alla legge, giacché sono tuttora vigenti gli istituti giuridici dell’interdizione e dell’inabilitazione, basati sull’assunzione della sussistenza di condizioni individuali di totale o parziale incapacità di intendere e di volere. Questi istituti, come anche l’amministrazione di sostegno, introdotta con la Legge 6/04, si fondano su un concetto di tutela dell’interesse superiore della persona, e sono in contrasto con l’articolo 12 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che dispone il riconoscimento della piena capacità giuridica e di agire di tutte le persone con disabilità senza eccezioni, nonché di garantire un supporto al processo decisionale nel rispetto della volontà della persona stessa. Nel testo sono citate, a titolo esemplificativo, diverse storie di degenerazioni nell’applicazione di questi istituti di tutela: la storia di Alice, che ha subito l’istituzionalizzazione e altre forme di violenza sistemica grazie alle decisioni prese dal suo amministratore di sostegno, e avallate dal Giudice Tutelare (se ne legga a questo link); e la storia di Yaska, una giovane donna con disabilità psicosociale che, su richiesta della sua tutrice, oltre alla segregazione contro la sua volontà (che prosegue tuttora), ha subito anche un aborto forzato (se ne legga ampiamente a questo link).
Un’altra delle criticità ben evidenziata nel Rapporto del FID è data dal fatto che nel Piano Strategico Nazionale 2021-2023, in merito alla raccolta e all’analisi dei dati statistici sul fenomeno della violenza di genere, non è prevista la disaggregazione dei dati anche per la disabilità delle vittime; mentre per quanto riguarda la mappatura dei centri antiviolenza e delle case rifugio, non viene richiesto che sia rilevata l’accessibilità dei servizi, che continuano ad essere inadeguati, e dunque preclusi, alle vittime di violenza con disabilità.
C’è inoltre un problema di coinvolgimento e di partecipazione delle Associazioni che rappresentano le persone (donne) con disabilità, giacché nei due Osservatori con Comitato Tecnico Scientifico (CTS) sulla Violenza di Genere e sulla Parità di Genere, sono presenti le rappresentanti dei Centri Antiviolenza e quelle delle Associazioni femminili, ma non quelle delle Associazioni di persone con disabilità.
Va per altro osservato che se da un lato le Associazioni di persone con disabilità a livello nazionale e internazionale sottolineano la mancanza di considerazione delle vittime di violenza con disabilità, e sollecitano sempre la necessaria attuazione della Convenzione di Istanbul e della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, dall’altro lato negli àmbiti politico e legislativo, che cominciano timidamente a prendere coscienza della particolare situazione delle ragazze e delle donne con disabilità, non solo manca la consapevolezza, ma al tempo stesso manca la reazione ai continui richiami dal mondo dell’associazionismo. Infatti, sono rari i momenti in cui i due mondi (associazionismo e politica) si incontrano, sempre e solo a livello locale, mai a livello nazionale, dando vita ad esperienze, strumenti operativi e pratiche virtuose di presa in carico di ragazze e donne con disabilità che sono vittime di violenza.
Già nel 2018 il FID segnalava la mancanza di attenzione dei media, sia privati che pubblici, al fenomeno della violenza su ragazze e donne con disabilità, e come l’AGCOM (Autorità Nazionale per le Comunicazioni) non prevedesse nella propria azione di regolamentazione, analisi e monitoraggio alcun riferimento specifico alle ragazze e alle donne con disabilità. Purtroppo, osserva il FID, nulla è cambiato se non in peggio. Infatti le persone con disabilità corrono un rischio maggiore di essere vittime di azioni e parole di odio anche nel mondo digitale, come già confermato dalla settima Mappa dell’Intolleranza di VOX – Osservatorio Italiano sui Diritti, che fotografa l’odio online, dove le donne, insieme alle persone con disabilità, restano le categorie più colpite.
In merito a questi aspetti vengono citati due casi particolarmente emblematici, quello dello youtuber Sdrumox, pseudonimo di Daniele Simonetti, che lo scorso gennaio ha pubblicato un video, ora rimosso, nel quale ha preso di mira la sessualità delle persone con disabilità, soprattutto quella delle ragazze con sindrome di Down (se ne legga a questo link); e quello accaduto nel novembre 2022 durante una puntata del podcast Muschio Selvaggio con Fedez, Luis Sal ed Emanuel Cosmin Stoica (quest’ultimo un tiktoker con disabilità), dove, mascherato da un registro ironico, si veicolava il messaggio che le donne con disabilità siano sessualmente passive, e si pongano in posizione subalterna rispetto all’uomo. Una puntata del podcast (la n. 104) che, nonostante le proteste, è ancora online (se ne legga a questo link).
Ci sono molti ulteriori aspetti trattati nel Rapporto del FID. L’ultimo che ci sembra particolarmente importante segnalare riguarda l’accesso alla giustizia, un’area nella quale le donne con disabilità incontrano una particolare difficoltà ad essere credute, e si ritrovano spesso esposte alla “vittimizzazione secondaria”. «Nel caso di donne con disabilità che hanno denunciato la violenza subita – si legge nel Rapporto –, un’ulteriore discriminazione si riscontra nel corso del procedimento per l’affidamento dei figli, a seguito di denunce penali. Le donne con disabilità sono spesso sottoposte a valutazioni delle proprie capacità genitoriali senza considerare la condizione di disabilità, utilizzando invece parametri standard in modo indifferenziato, con conseguenti esiti negativi. Le donne con disabilità che si rivolgono ai servizi antiviolenza hanno spesso difficoltà cognitive o intellettive e psichiatriche, ma queste non sono tenute nella giusta considerazione dalle Istituzioni, che dovrebbero fornire loro il supporto necessario per esercitare al meglio il ruolo di madre, tenendo con sé i propri figli» (se ne legga a questo link).
Il quadro della violenza nei confronti delle donne con disabilità tratteggiato nel Rapporto Ombra del FID è molto nitido e dettagliato. Il FID ha fatto un ottimo lavoro. Ci auguriamo che il GREVIO, e soprattutto le Istituzioni italiane, lo assumano come base per definire le politiche su questa materia, giacché anche alle donne con disabilità, al pari delle altre, va garantito il diritto di vivere libere dalla violenza.