Sono tanti, ma sono ancora pochi: i lavoratori con sindrome di Down sono sempre più presenti all’interno delle aziende, spesso anche con contratti a tempo indeterminato, eppure oltre l’85% delle persone con sindrome di Down non lavora: lo ha ricordato l’AIPD (Associazione Italiana Persone Down), in occasione della Festa dei Lavoratori del Primo Maggio, cogliendo l’occasione per lanciare un appello congiunto alle aziende, agli imprenditori e ai lavoratori stessi, sintetizzato nel motto Forza, lavoro!, che caratterizza la campagna di quest’anno dell’Associazione, nell’àmbito della quale viene anche riproposto lo spot denominato Assumiamoli!, presentato a suo tempo anche su queste pagine, con il quale nel 2009 l’AIPD stessa aveva incitato i responsabili delle aziende ad aprire le porte a questi lavoratori.
«In questi quindici anni – sottolinea Gianfranco Salbini, presidente dell’AIPD -, non solo i numeri delle assunzioni sono significativamente cresciuti, ma anche i settori lavorativi si sono diversificati: oggi, infatti, è facile incontrare lavoratori con sindrome di Down non soltanto in alberghi e ristoranti, ma anche all’interno di grandi catene commerciali, o in uffici amministrativi, o nei servizi pubblici. La crescita che abbiamo registrato in questi quindici anni indubbiamente ci incoraggia e ci fa essere ottimisti, ma al tempo stesso constatiamo che i numeri sono ancora molto, troppo bassi: come evidenziato anche nella recente ricerca che abbiamo condotto insieme al Censis, nell’àmbito del progetto Non uno di meno, circa il 13% degli adulti con sindrome di Down ha un contratto da dipendente o collaboratore: il 35% di questi percepisce un compenso minimo, il 35% un compenso normale. Sono dati che devono farci riflettere e devono impegnarci seriamente per il futuro: dobbiamo fare in modo che le aziende assumano questi uomini e queste donne, consapevoli finalmente del valore umano e professionale che essi possono portare».
Sono dunque sostanzialmente le quattro qui di seguito elencate le proposte dell’AIPD, per migliorare la situazione dell’inserimento lavorativo:
1. Semplificare e accelerare le procedure per l’accertamento della disabilità, previsto dalla Legge 68/99 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili), come necessario per l’iscrizione alle liste di collocamento mirato. «Le commissioni addette alla valutazione si riuniscono con tempi variabili, a seconda del territorio – annota Salbini – e da alcune Regioni ci arrivano segnalazioni di persone che attendono da oltre un anno l’accertamento. È necessario, quindi, che su tutto il territorio nazionale i tempi si riducano».
2. Fondi dedicati ai tirocini: «Quasi tutti i nostri inserimenti lavorativi avvengono a seguito di tirocinio – dicono dall’AIPD -, ciò che evidenzia l’importanza cruciale del tirocinio stesso. Eppure, mentre esistono incentivi per l’assunzione delle persone con disabilità, non esistono incentivi per l’attivazione del tirocinio. Al contrario, l’indennità di partecipazione, che la legge prevede sia riconosciuta a ogni tirocinante per un importo minimo di 300 euro (variabile da Regione a Regione), è a carico dell’azienda. Di qui la difficoltà di attivare tirocini».
«La nostra proposta – dichiara Salbini – è di destinare fondi nazionali a questo scopo, prendendo a modello regioni come il Lazio, che lo ha fatto in passato: una soluzione semplice, ma capace di rendere molto più efficace uno strumento fondamentale per l’inserimento lavorativo».
3. Potenziare i servizi per l’inserimento lavorativo, che hanno specificamente il compito di promuovere l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità, mettendo in comunicazione domanda e offerta e valorizzando le competenze. Si tratta di strumenti fondamentali, soprattutto dopo che la riforma della Legge 68/99, nel 2015 [Decreto Legislativo 151/15, N.d.R.], ha consentito sempre la chiamata diretta, grazie alla quale i datori di lavoro oggi possono scegliere quale lavoratore assumere.
4. Il coinvolgimento delle Associazioni: le nuove Linee Guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità prevedono di fare “ricorso all’esternalizzazione, attraverso il coinvolgimento di Associazioni di categoria o di Enti del Terzo Settore che al loro interno abbiano individuato figure professionali opportunamente formate, in grado di rivestire il ruolo di responsabile dell’inserimento lavorativo e che mettano a disposizione tale servizio tramite forme consulenziali. «Eppure – spiega Salbini – le Associazioni che interagiscono con i servizi pubblici per il collocamento mirato sono a volte mal tollerate nello svolgimento delle funzioni loro attribuite, a volte si trovano a interagire con servizi non adeguatamente competenti. È importante, quindi, che il loro ruolo sia riconosciuto e valorizzato come una risorsa utile per un positivo esito del progetto di inserimento».
Qualche dato in più sui lavoratori con sindrome di Down può essere di utile riferimento.
Nel mese di dicembre dello scorso anno, i lavoratori con sindrome di Down nell’ambito della rete AIPD, risultavano essere 233, di cui 212 a tempo indeterminato e 142 coinvolti in tirocini a norma di legge, con una significativa crescita degli ultimi dieci anni.
Per quanto riguarda i contesti lavorativi, più del 70% degli inserimenti è in aziende private o nel settore pubblico, il resto in Cooperative Sociali di tipo B. Sempre più diversificati sono attualmente i settori coinvolti: uffici, fabbriche, parrucchieri e saloni di bellezza, case di riposo, ospedali, farmacie, bar, pub, ristoranti, fast-food, mense, pizzerie, gelaterie, supermercati, hotel e altre strutture ricettive, negozi, centri commerciali, stazioni, aeroporti, scuole e uffici pubblici e altro ancora.
«“Ingredienti” fondamentali per rendere efficaci e funzionali gli inserimenti lavorativi delle persone con sindrome di Down – sottolineano dall’AIPD -, sono in particolare l’autonomia e le competenze dei lavoratori, l’organizzazione del lavoro secondo linee guida, la comunicazione, la consapevolezza e la cultura dell’inclusione maturate dalle aziende, e soprattutto i servizi d’inserimento nelle Sezioni della nostra Associazione. Al contrario, gli ostacoli e gli errori da evitare sono: la poca sinergia con i servizi pubblici del territorio, i pregiudizi, l’inadeguato accompagnamento nel rapporto tra il lavoratore e l’azienda». (S.B.)
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