Ci sono prìncipi e prìncipi. Quelli vissuti nei secoli scorsi li troviamo sui libri di storia per il ruolo politico che hanno ricoperto, quelli di oggi riempiono le pagine di cronaca e gossip, complice il peso meno influente della nobiltà nelle questioni degli Stati. Vogliamo qui parlarvi di un principe che non si colloca in nessuna di queste categorie, un aristocratico dimenticato quasi completamente che venne tuttavia molto amato dal popolo per la forza d’animo, il carattere amabile e la generosità.
È Sua Altezza Reale Oddone Eugenio Maria di Savoia, duca di Monferrato, figlio quartogenito di Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia, e di Maria Adelaide d’Asburgo Lorena. Ebbe una vita brevissima, ma i problemi di salute e una grave forma di disabilità non gli impedirono di far emergere una vivace intelligenza e un’intraprendenza che lo fecero apprezzare negli ambienti culturali per la sua attività di instancabile collezionista, nonché studioso di materie artistiche e scientifiche.
Alla nascita, l’11 luglio 1846 a Racconigi, Oddone era un bambino in perfetta salute. Intorno ai due anni iniziarono a manifestarsi i primi segni di una probabile malattia degenerativa caratterizzata da nanismo e rachitismo. Nessun altro in famiglia presentava la medesima patologia, malgrado Vittorio Emanuele e Maria Adelaide fossero primi cugini, quindi fosse possibile un problema causato dalla consanguineità. Alla luce delle odierne conoscenze mediche, si è ipotizzato che Oddone avesse l’osteogenesi imperfetta, malattia genetica rara che può presentarsi sporadicamente, anche senza ereditarietà.
Lunghe e dolorose terapie, continui interventi chirurgici che lo costringevano a convalescenze in immobilità furono il filo conduttore dei suoi primi anni di vita. Già a otto anni la deviazione della spina dorsale rendeva difficoltoso il cammino, il bambino portava un busto, usava il bastone per stare in piedi, le stampelle per percorrere brevi tragitti, la sedia a rotelle per muoversi sui percorsi più lunghi, spinto dalla mamma, dai fratelli e dalle sorelle.
Si dice che Vittorio Emanuele II rifiutasse quel figlio, era turbato dall’aspetto di Oddone e se ne vergognava, elaborando nei suoi confronti una sorta di rimozione, perché considerato, secondo i “canoni” dell’epoca, un “essere deforme” da tenere nascosto. Può essere una ricostruzione veritiera, ma soltanto in parte; forse il padre sentiva più forte il peso dei preconcetti del XIX secolo, ma senz’altro lo amò, altrimenti non si spiega la presenza di Oddone nelle fotografie di famiglia, insieme ai fratelli e alle sorelle, come un membro a tutti gli effetti di Casa Savoia. A tutti gli effetti, ma con alcuni limiti invalicabili. La fragilità fisica, infatti, non gli consentiva di sostenere la pressione della vita di corte e per questo, anche da adulto, non ebbe mai un ruolo ufficiale; da bambino si ammalava di frequente, per lui nessuna attività fisica o gioco troppo movimentato, da ragazzo non seguì i fratelli nell’addestramento militare. Lo curavano soprattutto la madre e la nonna paterna, Maria Teresa, coadiuvate dalla bisnonna Maria Albertina di Sassonia.
Oddone aveva una personalità malinconica che si contrapponeva ad un’inusuale vivacità intellettuale. Si perdeva fantasticando viaggi nei Paesi lontani di cui leggeva sui libri. Trascorreva le vacanze estive con la famiglia in Val di Susa e in Val Casotto, sulle Alpi Cuneesi, frequentava la Spezia per i bagni di mare utili per rimetterlo in forze e da questi soggiorni nacque uno stretto legame con la Liguria.
A Moncalieri Vittorio Emanuele II aveva istituito una casa di educazione per i figli con i migliori precettori. Oddone eccelleva negli studi, molto più dei fratelli, studiava geologia, disegno, meccanica, astronomia, musica, storia, letteratura e francese, oltre a dilettarsi con sculture e acquerelli. Fino al 1860, escluse le vacanze, trascorse la maggior parte del tempo tra Torino e Moncalieri, anni funestati dalla perdita della madre e della nonna nel 1855. Era sempre più solo, con i fratelli avviati al servizio militare. Strinse legami forti con le sorelle, in particolare con Maria Clotilde, ma vide andarsene anche lei nel 1859, costretta a trasferirsi a Parigi dopo il matrimonio con Napoleone Giuseppe Carlo Paolo Bonaparte.
La proclamazione del padre a re d’Italia, nel 1861, acuì la solitudine del giovane, dal momento che gli aumentati impegni istituzionali diminuirono le premure nei suoi confronti anche da parte dei fratelli Umberto e Amedeo.
Il 1861 fu anche l’anno del primo soggiorno estivo in autonomia: soltanto la sorella Maria Pia, infatti, e non più tutta la famiglia, lo accompagnò a Pegli, centro climatico poco distante da Genova, scelto sia per il clima mite sia perché Oddone aveva un grande amore per il mare.
Abitò a Villa Lomellini Rostan, un bel palazzo con un parco ispirato alla moda inglese che contribuì all’effetto positivo del periodo trascorso in Riviera. Al ritorno in Piemonte era cambiato nel corpo e nello spirito, chiese al padre il permesso di stabilirsi definitivamente a Genova e nell’autunno dello stesso anno, seguito da una piccola corte di accompagnatori, prese dimora in un alloggio al terzo piano nell’ala di levante del Palazzo Reale genovese.
Aveva 15 anni, una disabilità evidente e una salute malferma, ancora oggi sarebbe alquanto difficile immaginare una vita indipendente per un adolescente nelle medesime condizioni, ma allora come oggi è il desiderio di autonomia a prevalere. Iniziarono così gli anni più felici della vita di Oddone. Si dedicò all’approfondimento della scienza, dell’arte, delle lingue, della musica e della geografia. Per la conoscenza della nautica il re lo aggregò alla Regia Marina, nominandolo capitano di vascello.
Palazzo Reale parlava di lui, lo ampliò e lo abbellì con un gabinetto in stile pompeiano e una serra di fiori. L’aria salubre, il contatto con il mare, la possibilità di coltivare i suoi interessi gli diedero impulso per rompere le sbarre della gabbia dorata in cui aveva vissuto fino ad allora; a Genova conduceva una vita normale, frequentava gente, non era inconsueto vederlo al Teatro Falcone e al Carlo Felice. Palazzo Reale diventò il centro nevralgico della cultura cittadina, lo frequentavano scienziati, accademici, autorità civili e artisti, e Oddone diventò promotore e protettore delle opere dell’intelletto.
Le sue giornate erano animate da dibattiti che lo vedevano protagonista; istituì quattro premi annuali per gli studenti dell’Accademia Ligustica di cui fu proclamato socio onorario, così come della Società Ligure di Storia Patria, mentre la Società Promotrice di Belle Arti lo nominò presidente onorario.
Di pari passo cresceva la passione per il collezionismo o, per meglio dire, l’ossessione. Ad alimentarla, un viaggio culturale nell’estate del 1862 insieme ai fratelli, alla sorella Maria Pia e ad un nutrito seguito. A bordo di tre imbarcazioni salpate da Genova il 5 giugno, toccarono le principali città siciliane, Napoli, Pompei, Caserta, Ischia, la Sardegna, si spinsero in Grecia e infine a Costantinopoli. Lo spirito cosmopolita di Oddone ne restò folgorato, iniziò ad acquistare e a raccogliere oggetti antichi e d’arte, reperti archeologici greci e romani, fece acquisti al Gran Bazar nella capitale dell’Impero Ottomano. In chiave moderna si potrebbe parlare di “shopping compulsivo”, se non fosse che Oddone aveva una conoscenza di ogni materia che non si stancava di approfondire, aiutato da esperti come Giuseppe Fiorelli, allora direttore degli scavi di Pompei, e Santo Varni, artista, studioso d’arte e archeologia.
In breve tempo divenne un collezionista di importanza internazionale, la sua raccolta comprendeva perfino reperti etruschi e precolombiani provenienti dal Perù.
Nel 1863 partì per un’altra crociera nel Tirreno che gli diede occasione di finanziare, l’anno successivo, gli scavi archeologici a Cuma e Santa Maria Capua Vetere, in Campania. Pur di ottenere pezzi eccezionali era spregiudicato, arrivò a chiedere a Fiorelli dei calchi originali delle vittime di Pompei che l’eminente archeologo si rifiutò di concedergli, dandogli soltanto delle copie.
Consolidò l’interesse per la numismatica con l’acquisizione e lo studio di testi specialistici che ampliarono la sua biblioteca comprendente migliaia di libri su tutto lo scibile umano. Aveva una collezione di 1.500 monete, soprattutto di età romana imperiale e medievali, oltre a medaglie, gemme, pietre incise e cammei. Non trascurò le scienze naturali, famosa la sua raccolta melacologica, con 1.862 esemplari di conchiglie e alghe provenienti da tutti i luoghi del mondo, quella ornitologica, 63 uccelli e 150 colibrì imbalsamati (andati perduti), senza contare i volatili vivi e gli acquari marini.
Anche in questo caso non era un affastellarsi caotico di animali, non lasciò nulla al caso, avvalendosi di Michele Lessona, noto zoologo e divulgatore scientifico, del quale fu allievo.
L’inventario del suo museo personale, redatto nel 1866 e conservato presso l’Archivio di Stato di Torino, oltre a consentire la ricostruzione dell’ordine originale con cui erano esposti i pezzi, conta opere di arte contemporanea, paesaggi, dipinti di genere e nature morte; lo stesso Oddone, del resto, continuava anche a migliorarsi come artista, prendendo lezioni di disegno.
Lo spazio nella residenza genovese cominciò a scarseggiare e così le collezioni si estesero nella Galleria della Darsena, al terzo piano dello scomparso ponte che collegava Palazzo Reale al mare.
Nel 1864 le condizioni di salute di Oddone peggiorarono improvvisamente, avrebbe voluto partire per nuovi viaggi, ma i medici non glielo consentirono, consigliando piuttosto una cura di bagni di mare.
Quell’estate e quella successiva fu ospite di Villa Durazzo Bombrini a Cornigliano, una cittadina rivierasca che oggi è un quartiere del Ponente genovese. Era un elegante edificio con un accesso diretto alla spiaggia, comodo per le terapie prescritte al giovane, ma forse lui per indole era più attratto dal museo di storia naturale che il palazzo ospitava, dalle opere contemporanee in esso conservate.
Maturò l’idea di un progetto museografico vero e proprio che contenesse le sue collezioni e chiese al padre di acquistare la villa. Il re era riluttante, ma la tenacia del figlio e l’intercessione del suo padrino, il principe Eugenio di Carignano, lo fecero cedere.
Oddone elesse il luogo a proprio dimora definitiva e cominciò ad occuparsi di beneficenza. Sovvenzionava gli asili genovesi che aiutavano i bambini malati e abbandonati, ospitava a Cornigliano quelli che necessitavano della vicinanza del mare per stare meglio. Voleva costruire per loro uno stabilimento balneare, purtroppo l’evolversi in peggio delle sue condizioni gli impedì di dare corpo all’idea.
Incontrò i familiari nel settembre 1865, a Torino. Durante il viaggio di ritorno in Liguria venne colto da una grave emorragia e da un attacco di idropisia (in medicina, termine non più in uso per designare la presenza di liquido nelle cavità sierose, successivamente sostituito da anasarca).
La situazione era molto grave, ormai non riusciva nemmeno più a stare in posizione supina. Trascorse tra queste sofferenze gli ultimi mesi, confortato dall’affetto dei suoi cari che l’avevano raggiunto a Cornigliano.
Lucido fino alla fine, si spense nella notte tra il 21 e il 22 gennaio 1866, non aveva ancora compiuto vent’anni. La Cattedrale di San Lorenzo, a Genova, era gremita di persone il giorno dei funerali, centinaia seguirono il corteo. Esequie degne di un sovrano per un ragazzo che ebbe una vita brevissima, trascorsa per lunghi periodi in isolamento e con un ruolo marginale nella storia politica, che creò intorno a sé amicizie e rapporti umani sinceri, una rete di affetto anche popolare che stupì gli stessi membri di Casa Savoia, che non si aspettavano tanta partecipazione.
La «Gazzetta di Genova» gli dedicò una sentita commemorazione che giunge a noi come il ritratto più veritiero della personalità di Oddone: «Diseredato dalla natura che dotavalo di una costituzione inferma e predestinata a lunghe tribulazioni, quasi a compenso del martirio cui doveva riuscirgli la vita, la Provvidenza volle arricchirlo di un cuore e di una mente che gli aprissero il campo a fruire delle più soavi gioie dell’esistenza in quegli anni in cui la comune degli uomini riesce appena ad iniziarsi alla vita. Breve fu il passaggio del compianto Principe sulla terra, ma fu quale di brillante meteora che lascia dietro di sé durevoli raggi di luce. […] Conscio a persuaso del suo inevitabile fine, l’augusto Principe trovò sempre un’amica parola, un benevolo sguardo per salutare e ringraziare coloro che gli prestavano le loro cure e s’interessavano ai suoi patimenti. Dopo le cinque la prostrazione andò sempre crescendo e poco dopo la mezzanotte avea cessato di essere quel principe, che Genova avea imparato a benedire e la cui memoria conserverà indelebile tra le più care rimembranze».
Oddone riposa a Torino, nella Basilica di Superga, ma il suo spirito e la sua passione sono ancora tra noi. Aveva sempre espresso il desiderio di lasciare le amate collezioni a Genova, la città che lo accolse e gli diede l’opportunità di avere un’esistenza piena. Vittorio Emanuele II dispose il lascito, assecondando l’ultimo desiderio del figlio. I vasi greci, i bronzi, le ceramiche, i vetri e le gemme romane sono visibili nel Museo Archeologico, il Museo di Storia Naturale conserva le raccolte malacologiche. Genova gli intitolò un tratto della circonvallazione a mare, intitolazione cancellata dal governo della Repubblica di Salò il 23 marzo 1944, come tutta la toponomastica dedicata ai Savoia, e mai più ripristinata.
A Torino rimane il prestigioso Corso Principe Oddone, un’ampia strada piena di luce che ha sostituito la vecchia arteria stradale buia e occultata dalla linea ferroviaria, un po’ come il nostro principe fu in grado di rischiarare con intelligenza e volontà un destino che avrebbe potuto essere avverso, volgendo verso il mondo e le persone uno sguardo attento, curioso e sensibile. E Oddone ci guarda ancora, seduto accanto ad un vaso antico di fattura romana, lo sguardo fiero rivolto di lato, la posa pronta al movimento, nella statua di Antonio Orazio Quinzio del 1891 che lo ritrae nella Galleria d’Arte Moderna di Genova, dove sono custodite le opere della sua collezione artistica.