Avrebbe compiuto 50 anni il 28 aprile, ma «ci ha lasciati il 25 aprile», racconta Marina Cometto, madre caregiver di Claudia Bottigelli, una donna con disabilità gravissima della quale si è presa cura per tutta la vita (Disabilità, la mamma caregiver Marina Cometto saluta la figlia Claudia, in «Redattore Sociale»). «Non voglio chiamarla semplicemente Claudia, come fanno i più, per una questione di rispetto, a quasi cinquant’anni sei una donna ed essere chiamata anche per cognome è dovuto».
«Ha combattuto per tanti anni una malattia tremenda e poco conosciuta che le ha minato fisico e anima, si sono aggiunte pesanti complicazioni e ha deciso di arrendersi – ha raccontato ancora Cometto a «Redattore Sociale» –. Ci rimane il conforto di averle reso questo importante passaggio sereno, a casa con noi circondata dal nostro amore, ci manca già tanto e sarà sempre più difficile farsene una ragione, ma i suoi insegnamenti continueranno a essere porto sicuro per noi. Certamente la sua anima è andata via senza rimorsi, forse con qualche rimpianto e spero senza rancori così da guadagnarsi il Paradiso, così come gli esseri innocenti come Lei meritano».
Altre mamme caregiver si stringono attorno a lei. «Descrivere la mancanza di una persona così importante per me è difficile – ha detto Elena Abbate, mamma di Matilde e Margerita, due bambine con disabilità –. Marina e Claudia sono entrate nella nostra vita quando io avevo solo Matilde. Marina mi ha insegnato a lottare, a far valere i diritti delle mie figlie, a guardare avanti, a camminare sempre con la testa alta e Claudia ha insegnato alle mie figlie quanta forza ci vuole per uscire dal circolo vizioso in cui entri per colpa della burocrazia e dei medici che ti condannano a una vita breve e fragile. Claudia ci ha insegnato a crescere, lottare, guardare al futuro».
Sara Bonanno, animo gentile e madre di Simone, giovane uomo con una grave disabilità, riesce ad essere carezzevole: «Non so come mai, ma dentro di me ero convinta che Claudia, la tenera e dolcissima Claudia, con i suoi capelli ramati e gli occhi di velluto, non ci avrebbe mai lasciati e non mi rassegno all’idea, anche se so benissimo, “razionalmente’” che vivere accanto ad una persona con una disabilità molto severa, significa vivere nella nebbia, mettendo un piede dietro l’altro senza sapere, senza nemmeno riuscire ad immaginare cosa c’è oltre». Ed è inevitabile trovare convergenze nelle vicende umane: «È una scelta che dall’esterno sembra totalmente insensata, quella di costruire l’intera esistenza di una famiglia intorno ad una persona come Claudia o come il mio Simone. Solo chi riesce a “sentire dentro” le persone come loro, sa che queste esistenze rappresentano dei profumatissimi pistilli, capaci di creare intorno a loro una brulicante vita. Per questo sono sicura che mamma Marina continuerà a far vivere la sua Claudia ed il suo profumo».
Elena Improta, madre di Mario, anch’egli uomo con disabilità, riflette sulle doti da equilibrista che assumere il ruolo di caregiver comporta. «Viviamo dal primo giorno della loro vita come funamboli – osserva -, li accompagnamo e lottiamo per dare loro una vita dignitosa, una vita piena! Sì, una vita che fin da subito ci colloca come madri “speciali”, quando in realtà siamo madri che ogni giorno si trasformano o meglio trasformano il dolore, il lutto della condizione di diversità e di cura in relazione di amore incondizionato, pur nella consapevolezza che è un viaggio verso un fine vita che ci impegniamo a far sì che sia senza rimorsi e senza rimpianti».
Questo il suo saluto: «Marina e Claudia sono per noi caregiver un grande esempio di vita e di morte, dove la morte è rosa e sorridente, dove l’assenza sarà colma di ricordi, foto, articoli, battaglie e soprattutto di insegnamento per tutte noi mamme funambole resilienti. Buon viaggio Claudia, corri e proteggici».
Non ho mai conosciuto di persona né la madre né la figlia, anche se mi sembra di conoscerle da sempre, perché per rivendicare i diritti negati spesso si è costretti ad esporsi e Cometto lo ha sempre fatto senza indugio. A quest’ultima mi unisce l’esperienza del lavoro di cura e ora anche quella della perdita. Questa comunanza dovrebbe rendere più semplice trovare le parole. Ma non è così.
Cerco rifugio nei gesti. Rivolgo un sorriso alla figlia ed un abbraccio alla madre. Siamo avvolti in un mistero col quale dobbiamo imparare a convivere.