Grazie Ferrari! Da appassionato di quella che è storia elevata a mito e da rappresentante delle persone con disabilità, la gioia è smisurata nell’annunciare che da qualche giorno è possibile visitare il Museo Enzo Ferrari di Modena da casa propria! Non una ricostruzione virtuale, ma una visita vera e propria, pilotando un avatar robotico a distanza. È un successo a favore di tante persone con disabilità di cui voglio raccontare lo sviluppo e dare gli strumenti per effettuare ognuno la propria visita personalizzata.
Tutto è iniziato diversi anni fa. Attraverso il «Corriere della Sera» cercavo contatti per far conoscere l’avatar robotico inclusivo in campo sportivo. Mi hanno segnalato la Ferrari e qui sono stato proiettato sull’area museale, condotta dal dottor Michele Pignatti Morano, ormai diventato un amico. Persona resiliente alla mia feroce insistenza nel portare l’avatar presso il Museo Enzo Ferrari di Modena.
L’avatar robotico inclusivo è uno strumento di cui ho parlato più volte, anche su queste pagine, ad esempio quando è sbarcato al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano. Ho sempre appoggiato questa tecnologia perché convinto che possa favorire la partecipazione sociale delle persone che non possono uscire di casa o faticano a farlo, come tante persone con disabilità.
Collegati con un computer da casa si prendono i comandi di quello che è un piccolo robot con le ruote dotato di uno schermo dove si vede la propria immagine e altoparlanti da dove si sente la propria voce. Con il proprio mouse, la propria tastiera e qualunque dispositivo per accedere al computer, ci si muove nell’ambiente dove si trova l’avatar inclusivo, venendo visti e scegliendo dove andare e guardare. Udendo e vedendo le cose e le persone a destinazione.
La sensazione è fortemente immersiva: sembra di essere lì e le persone che sono lì dopo poco ti percepiscono come se fossi con loro. Inclusione assoluta.
In anteprima, avviluppato nella magia che da Milano mi ricolloca a Modena, girare fra le macchine del Museo Ferrari è una vertigine. Ci sono le auto che hanno popolato, e popolano, i miei sogni e i miei fanciulleschi ricordi: la prima Ferrari turbo, la prima con il motore posteriore, la prima Ferrari in assoluto… Le guardo emozionato da casa sgranando gli occhi. Avvicinandomi, scegliendo la posizione migliore per godermele, scattando foto e chiacchierando con Felipe, guida del museo che mi accompagna.
Incontro lo stato maggiore del museo e Michele, il direttore. Scatto una foto con loro e me ne faccio scattare una dove si vede l’avatar. Non sia mai che qualcuno abbia bisogno di una prova concreta della mia reale presenza al museo.
È il coronamento di un percorso che ha visto il pieno impegno sulla strada dell’inclusione del museo e della società che produce il software BrainControl che rende l’avatar pilotabile dalle persone che possono muovere poco del proprio corpo, al limite anche nulla. Persone con disabilità, compagni di viaggio, che possono adesso godere della mia stessa esperienza, scrivendo all’indirizzo museo@ferrari.com. Presto ci sarà una pagina dedicata, intanto è sufficiente segnalare per posta elettronica al museo il desiderio di visitare i suoi spazi. Scrivete, ne vale la pena.
Ma come funziona la visita? Contattato il museo si ricevono per e-mail le istruzioni per l’uso, con tanto di piccolo software da installare sul proprio computer. Leggerle è d’obbligo, altrimenti non si sa come pilotare l’avatar. In effetti il pilotaggio è molto intuitivo, ma senza leggere le istruzioni si perdono elementi fondamentali per riuscire bene nell’esperienza.
Sempre per e-mail si prenota la visita, negli orari proposti dal museo, in modo da trovare il personale preposto che durante la visita stessa fa da guida, illustrando quanto esposto e aiutando a fare manovra. Opzione utile soprattutto per i meno esperti ai comandi.
Sul monitor del proprio computer si vede ciò che vede la telecamera dell’avatar robotico e in trasparenza ci sono sovrapposte quattro frecce disposte come punti cardinali: posizionandosi sull’una o sull’altra si procede in una direzione o nell’altra. Ci vuole un po’ di pratica per muoversi in scioltezza, ma subito si capisce come operare.
Sicuri che non avrei fatto danni – per altro l’avatar è dotato di un sistema anticollisione, per evitare che investa persone o cose – mi è stato concesso un privilegio da giornalista. Oppure da amico. Oppure un premio finale per tacere in perpetuo la mia petulanza.
Conclusa la visita, durante la quale si può assistere alla proiezione di un emozionante corto su Enzo Ferrari, mi hanno concesso di visitare l’officina dove la Ferrari è nata, anche questa adibita ora a museo, ma al momento non visitabile da casa per ragioni tecniche. È stato incredibile passeggiare nel cortile Ferrari, dove peraltro era esposta una 330 P4, una delle macchine più emblematiche e costose della Leggenda.
Ma il colpo al cuore è arrivato alla porta dell’ufficio del Grande Vecchio, contiguo con l’officina. Da una parte, alle spalle della sua scrivania, la foto del figlio Dino. Ingegnere. Persona con disabilità, anche lui.