A seguito dell’incredibile episodio di aggressione di uno studente che ha ferito una professoressa, tutti si interrogano su chi ricada la “colpa” di questo evento mai verificatosi prima in Italia.
C’è chi attribuisce la colpa alla fragilità dei giovani d’oggi che non sanno dominare la crisi di una sconfitta e indirizzano la violenza contro di sé o contro chi, a loro avviso, è causa di tale sconfitta.
C’è chi, come il Ministro dell’Istruzione e del Merito, che attribuisce tale incontrollabile reazione emotiva alla sofferenza psicologica determinatasi a causa della pandemia.
C’è chi addebita tali comportamenti alla competizione tra studenti nelle scuole, esasperata dall’insistenza sul “merito”, divenuto una sorta di parola d’ordine ufficiale.
C’è chi attribuisce la causa al cambio generazionale dei giovani d’oggi, che non sopportano più l’attività valutativa dei docenti circa il loro profitto.
C’è ancora chi sostiene che tale insofferenza venga trasmessa dai genitori che non sanno più educare i figli, preda della dipendenza quotidiana e perenne dai social.
C’è infine chi sostiene che causa di ciò siano gli stessi docenti che non capiscono la psicologia dei giovani d’oggi.
Specie a proposito di quest’ultima ipotesi, che non esclude, sia pure in parte, le possibili interferenze delle altre, mi permetto di avanzare l’ipotesi che la vera “colpa” sia del nostro sistema di formazione dei docenti. Infatti, essi continuano ad insegnare come si è fatto da sempre e cioè con una buona e talora ottima preparazione sulla loro disciplina e nessun obbligo per legge di formazione iniziale su come si insegna e su come si deve essere preparati ad educare i giovani. Tranne che per i docenti delle scuole dell’infanzia e di quella primaria, che hanno una formazione pregressa di carattere pedagogico, psicologico e didattico nei licei pedagogici, i docenti delle scuole secondarie non hanno, per legge, alcun obbligo di avere una formazione adeguata per l’esercizio della professione, ad eccezione dei contenuti disciplinari. E così, ancora molto spesso, essi si limitano a rapportarsi con gli studenti solo con le interrogazioni, addirittura nascondendo i voti assegnati, senza coinvolgere i giovani nell’autovalutazione, mezzo educativo fondamentale. Troppi docenti, specie di scuole superiori non tengono conto della crisi che investe i giovani nel passaggio alla fase adolescenziale e delle loro insicurezze.
Ribadisco, questa impreparazione formativa dei docenti non dipende da loro colpa, ma dalla mancanza di un obbligo formativo per legge.
Solo adesso è stata approvata la Legge 79/22 sulla formazione iniziale dei docenti, che prevede, dopo la laurea, un anno abilitante costituito da sessanta Crediti Formativi Universitari, corrispondenti ad un anno di università, tra i quali però solo un terzo destinati alla pedagogia e sociologia, senza una sufficiente formazione sulla psicologia dell’età evolutiva e sulla pedagogia e le didattiche speciali, per una corretta inclusione degli alunni e degli studenti con disabilità e in situazione di svantaggio.
La SIPeS (Società Italiana di Pedagogia Speciale), ha chiesto di destinare almeno la metà di quei sessanta Crediti Formativi alla pedagogia, alla psicologia ed alle didattiche speciali, aspetti formativi su cui i docenti disciplinari sino ad oggi non sono tenuti per legge ad essere formati, e che sono invece necessari per realizzare una buona qualità dell’inclusione, che da oltre cinquant’anni è divenuta principio generale del nostro sistema costituzionale di istruzione.
Anche la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) ha sostenuto questa richiesta e vogliamo sperare che i prossimi Decreti Applicativi accolgano la richiesta di una maggiore formazione pedagogica, psicologica e didattica dei nostri docenti.
Purtroppo in molte classi gli alunni e gli studenti si annoiano, mentre la scuola dovrebbe essere frequentata stimolando l’emozione di conoscere e la gioia di apprendere, come era solito dire il professor Nicola Cuomo, docente non vedente di Pedagogia Speciale nell’Università di Bologna, purtroppo prematuramente scomparso.