Quello dell’albinismo e delle discriminazioni ad esso legate è un tema di cui ci siamo già occupati varie volte sulle nostre pagine. Torniamo a farlo oggi, 13 giugno, che è la Giornata Internazionale dell’Albinismo, proclamata il 18 dicembre 2014 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite tramite la Risoluzione 69/170, per richiamare l’attenzione sui diritti delle persone albine in tutto il mondo e in particolare nell’Africa Subsahariana, dove questa condizione è prevalente, se è vero che in essa si conta una persona albina ogni 1.400 abitanti, mentre nel resto del mondo le stime variano da uno su 5.000 a uno su 15.000.
«Le persone con albinismo che vivono in queste aree – afferma Massimo Maggio, direttore di CBM Italia, la nota organizzazione umanitaria impegnata nell’inclusione delle persone con disabilità in Italia e nella prevenzione e cura delle disabilità visive nei Paesi del Sud del mondo – sono spesso escluse e isolate dalle loro comunità, diventando invisibili e vivendo la loro disabilità come una colpa e uno stigma».
Ma che cos’è esattamente l’albinismo? Si tratta di una condizione genetica, non contagiosa e rara, che si manifesta con l’assenza o la riduzione del pigmento della melanina, che protegge dal sole e dona il colore agli occhi, alla pelle e ai capelli. Essa comporta molteplici conseguenze, da un’estrema sensibilità al sole a un rischio elevato di cancro della pelle, fino a problemi legati alla vista. A questo si aggiunga, come sottolineato dal direttore di CBM Italia, lo stigma che affligge le persone con albinismo le quali, in alcune zone del mondo dove la maggioranza della popolazione è di pelle scura, subiscono atti discriminatori e violenti oppure vengono isolate perché oggetto di superstizioni e false credenze. Gli stessi genitori di bambini con albinismo, in particolare le madri, sono soggetti a stigma, isolamento e ostracismo. In tutto il mondo, infine, le persone con albinismo incontrano molteplici barriere al pieno godimento dei loro diritti alla salute, all’istruzione e al lavoro.
Tra i vari progetti promossi da CBM Italia, ve n’è uno riguardante il Paese africano dell’Uganda, un’iniziativa che integra cure oculistiche, sostegno economico e attività di tutela, dedicate a migliorare la vita di 1.250 persone nei Distretti di Kyegegwa e Kamwenge, di cui il 20% sono persone albine. Due di loro sono Aisha e Akram di 4 e 2 anni, bambini albini nati da genitori dalla pelle scura. Dopo la loro nascita il padre ha abbandonato la famiglia e la comunità ha isolato la mamma Faith e i bambini stessi, indicandoli come “il frutto di una maledizione”.
Faith vive del guadagno ricavato da una bancarella di frutta, ma teme per il sostentamento della sua famiglia, poiché la gente non si avvicina per comprare se accanto a lei ci sono i suoi bambini. CBM ha dotato Aisha e Akram di occhiali speciali con lenti scure per poter vedere meglio, oltreché di cuffie e creme solari per proteggere la pelle sensibile. In tal modo Aisha potrà frequentare la scuola e imparare a leggere e scrivere come tutti gli altri bambini.
«Grazie al nostro progetto in Uganda – spiegano da CBM Italia – viene garantita da un lato assistenza sanitaria oculistica attraverso ambulatori sul territorio, che permettono di migliorare la salute della vista. Dall’altro un supporto socioeconomico attraverso la formazione professionale ai giovani, per aumentare il proprio reddito e imparare a gestirlo, tramite il coinvolgimento di 25 Associazioni di Risparmio e Prestito di Villaggio (VLSA) in ogni Distretto, composta ognuna da venticinque membri in cui sono presenti anche persone con albinismo, persone con disabilità e caregiver. Azioni concrete, dunque, per la cura della vista e il miglioramento del benessere socioeconomico delle persone albine, ma anche impegno per creare in loro la consapevolezza dei propri diritti, lavorando a stretto contatto con l’Associazione Albinism Umbrella Uganda». (S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Caterina Argirò (caterina.argiro@leacrobate.it).