Alla notorietà dei luoghi dove la persona viene privata della libertà personale per l’esecuzione di un provvedimento dell’Autorità giudiziaria si affianca la recente notorietà che, soprattutto in seguito all’esperienza della pandemia, hanno acquisito tutti quei luoghi che accolgono persone disabili e anziane.
Dalla metà del XX secolo, infatti, il tema della libertà personale nel contesto della salute è stato prevalentemente legato ai luoghi della psichiatria: manicomi, Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG), Residenze per le Misure di Sicurezza (REMS) e servizi territoriali.
In Italia, come in altri Paesi, l’attenzione a tutti i temi riguardanti la libertà della persona nell’àmbito della disabilità, anche dopo la ratifica della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità del 2009 [Legge 18/09, N.d.R.], non ha portato a un loro rapido sviluppo e a un approfondimento organico. È anche vero che la traduzione in legge nazionale di una Convenzione internazionale e degli standard in essa contenuti avviene secondo un processo complesso che si realizza attraverso azioni di disseminazione culturale e di messa a punto locale mediante atti normativi e di programmazione.
È noto che il corso del processo differisce nei tempi di realizzazione non solo a seconda dei rispettivi ordinamenti giuridici nazionali, ma anche del milieu politico e culturale nel quale tale processo viene promosso.
A ben vedere, i princìpi contenuti nella Convenzione ONU – declinati, tra gli altri, nei concetti di vita indipendente e libertà di scelta, segregazione e inclusione nella comunità – sono stati introdotti nel dibattito sulla disabilità nel lontano 1972, sulla spinta di alcuni movimenti del mondo dell’associazionismo. Certamente, l’introduzione della Convenzione ha dato impulso all’evoluzione di tale dibattito, per quanto i suoi esiti siano rimasti, sotto alcuni aspetti, incompiute affermazioni di principio. Lo stesso concetto di vita indipendente è stato per lungo tempo carente di un contenuto operativo proprio, tanto che la tendenza a dare risposte alla disabilità è stata quella di costruire nuovi luoghi, nuove realtà specialistiche trascurando, anziché rafforzare, il supporto alla pratica quotidiana delle persone.
L’evidenza dello scollamento tra il piano concettuale e l’operatività ha reso, nel tempo, sempre più necessario focalizzare l’attenzione sui concetti teorici, come istituzionalizzazione, internamento, segregazione e sulla messa a punto degli indicatori delle diverse forme di privazione della libertà e dei loro risvolti incidenti sull’autodeterminazione e rivelatori di condizioni di vita segreganti.
L’istituzione dell’Autorità indipendente del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale e le sue attività di studio e di visita nei luoghi inerenti all’area operativa dell’Unità privazione della libertà nell’ambito delle strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali, hanno perseguito questo obiettivo, permettendo di tematizzare e operativizzare in indicatori alcune dimensioni di questi concetti, oltre ad arricchire la riflessione e la ricerca all’interno del dibattito culturale in corso.
Formalmente istituita alla fine del 2017, l’Unità ha tessuto relazioni interistituzionali e creato tavoli di lavoro che hanno portato all’avvio di una serie di approfondimenti e di studi. Primi fra tutti, quelli previsti nel Protocollo d’intesa per studi e progetti in tema di libertà delle persone con disabilità, sottoscritto il 1° giugno dello stesso anno con “L’Altro diritto – Centro interuniversitario di ricerca su carcere, devianza, marginalità e governo delle migrazioni” (ADIR) del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Firenze, e con il Centre for Governamentality and Disability Studies Robert Castel dell’Università di Napoli Suor Orsola Benincasa(CerRC), cui si è aggiunto il Centro studi del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università della Calabria Atypicalab for Cultural Disability Studies.
Nell’àmbito di tale Protocollo e delle collaborazioni che lo compongono è stata avviata, innanzitutto, la ricerca su Luoghi forme e modi della disabilità, consistente nell’analisi delle forme di incapacitazione e dei meccanismi di tutela della libertà personale, che ha consentito al Garante Nazionale di individuare pratiche determinanti de facto segregazione e istituzionalizzazione delle persone con dipendenza assistenziale e la conseguente definizione di parametri che connotano tali pratiche, oltre che di individuare situazioni a rischio di violazione del principio inderogabile di divieto di tortura o trattamenti crudeli, inumani o degradanti a cui possono essere soggette le persone con disabilità e/o dipendenza assistenziale.
Nello stesso contesto di operatività e di collaborazione è stata realizzata la banca dati Anagrafe nazionale delle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali, registrata come GNPL National Register of Health and Social Care Institutions presso CINECA IRIS (Institutional Research Information System), per la geolocalizzazione delle strutture che rientrano nell’àmbito dell’azione di vigilanza del Garante Nazionale, consentendone una mappatura nazionale continuamente aggiornata. La sua realizzazione ha permesso il superamento delle criticità (che dovrebbero essere risolte nel prossimo futuro con i Decreti Attuativi della Legge Delega sulla disabilità – Legge 22 dicembre 2021, n. 227) che hanno ostacolato l’avvio immediato delle visite del Garante Nazionale nelle strutture che ospitano disabili e anziani.
Tali criticità, segnalate già nella Relazione 2018 del Garante al Parlamento 2018, riguardano la mancanza di dati sistematizzati e adeguati a quanto previsto dalla Convenzione ONU, l’articolazione del sistema socio-sanitario nazionale con la regionalizzazione delle normative relative all’autorizzazione e all’accreditamento delle strutture e, conseguentemente, la loro classificazione frammentata in una molteplicità di tipologie solo parzialmente coincidenti e comparabili su base regionale. Profili critici che determinano la necessità di un aggiornamento continuo dell’Anagrafe con i dati reali delle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali che cambiano in base alla dinamica delle autorizzazioni regionali, diventando di difficile individuazione sul territorio.
Oltre all’Anagrafe, le attività di studio del Protocollo hanno prodotto la Checklist for visits to social care institutions where persons with disabilities and senior citizens may be deprived of their liberty [“Lista di controllo per visite alle istituzioni, socioassistenziali dove le persone con disabilità e anziane possono essere private della libertà”, N.d.R.], utilizzata nelle funzioni di monitoraggio del Garante Nazionale. È nella checklist che ritroviamo l’operativizzazione dei principi della Convenzione ONU in indicatori. Essi sono inerenti a:
(a) struttura e organizzazione;
(b) rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza degli ospiti, dei loro diritti e bisogni nonché di quelli dei loro familiari;
(c) rispetto delle relazioni affettive;
(d) rapporto con il territorio;
(e) cure e assistenza erogata;
(f) consenso informato;
(g) uso di mezzi di contenzione;
(h) rispetto della riservatezza;
(i) accesso alle informazioni.
[…] È grazie alle visite di monitoraggio che il Garante Nazionale ha potuto mettere in evidenza l’esistenza di nuove forme di “circoscrivere l’altro”, disegnandone i confini dell’agire. Nuove forme di istituzionalizzazione che passano attraverso l’erosione di frammenti della libertà e il depotenziamento della dimensione decisionale della persona.
Il continuo lavoro di questi anni con le Istituzioni accademiche all’interno di tavoli di lavoro ha permesso l’individuazione e l’analisi di casi di studio che per la prima volta hanno aperto lo sguardo, anche della collettività, su nuove forme di privazione della libertà.
La forza propulsiva del Garante Nazionale, sprigionata nei diversi consessi culturali sulle tematiche della disabilità, si è espressa, in ultimo, nella partecipazione, a partire dall’anno 2022, al progetto di ricerca Equal. Studio per l’attuazione dell’uguale diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società con la stessa libertà personale e di scelta delle altre persone (ex art. 14 e 19 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità), promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Ufficio delle politiche in favore delle persone con disabilità, finalizzato anche a realizzare azioni di raccordo con le attività dell’Osservatorio Nazionale sui Diritti delle Persone con Disabilità.
Proficuo rispetto alle tematiche inerenti alla salute e alla disabilità è stato l’avvio della collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità.
Come accade per la Convenzioni internazionali, anche per il Garante Nazionale in quest’area operativa c’è stata una lenta, e spesso faticosa, disseminazione della cultura della prevenzione della segregazione delle persone anziane e disabili. Così come è stato lento e faticoso il processo di riconoscimento dell’inclusione nel mandato dell’Autorità di garanzia del potere di monitorare luoghi come le Residenze sanitarie per persone anziane (RSA), le Case di riposo, le Residenze sanitarie per persone con disabilità (RSD).
Il Garante Nazionale, con le sue attività di visita, ha aperto gli occhi dell’opinione pubblica sul mondo chiuso di alcune di queste strutture di assistenza e cura che si trasformano de facto in contesti di privazione della libertà. Perché se è vero che è facile riconoscere la funzione preventiva del Garante Nazionale in quanto meccanismo nazionale di prevenzione (NPM) nell’àmbito dei luoghi che per definizione sono privativi della libertà personale (de jure), è anche vero che riconoscere la rilevanza della funzione e dei poteri di vigilanza che ne discendono in quei luoghi che non nascono per segregare ma per assistere e curare, significa ammettere che nel terzo millennio c’è ancora la necessità di riaffermare che la persona disabile o anziana rimane persona titolare di diritti, e che un luogo di cura e assistenza non deve essere considerato come un collocamento a tempo indeterminato, bensì come uno snodo di un progetto di vita e, quindi, temporaneo.
Non si è trattato di un percorso del tutto lineare; a tratti è stato rallentato dall’avvicendamento delle risorse umane assegnate all’interno dell’Unità operativa competente sulle tematiche della salute, a tratti è stato segnato dalle vicende sociali che hanno colpito il nostro Paese.
Se i primi due anni sono stati prevalentemente anni di studio e di esplorazione per la definizione dei confini di potere dell’Autorità garante in quest’ambito, due punti di cesura e di non ritorno sono stati l’anno 2020 con la chiusura delle RSA a causa della pandemia e il 2021 con il caso studio del signor Carlo Gilardi [se ne legga ampiamente anche su queste pagine, N.d.R.] che ha coinvolto anche alcuni esperti del Garante Nazionale.
Questi due momenti hanno inciso in modo determinante sulla visibilità del Garante Nazionale in quest’area operativa e sulla numerosità e tipologia di segnalazioni che, per questi motivi, è cambiata nel corso degli anni.
Nei primi anni di attività del Garante, infatti, sono pervenute per lo più segnalazioni relative ai Servizi psichiatrici di diagnosi e cura e alle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza. Dopo la pandemia, invece, sempre più numerose sono state le segnalazioni ricevute dal Garante relative alle criticità delle strutture socio-assistenziali per anziani e disabili: in particolare nel 2020, 53 segnalazioni hanno avuto a oggetto le strutture residenziali per anziani e disabili, mentre le restanti, meno di 10, hanno riguardato i Servizi psichiatrici di diagnosi e cura e le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza.
Le problematiche più ricorrenti riscontrate nel corso degli anni dell’emergenza pandemica sono state quelle relative alla difficoltà di mantenimento delle relazioni affettive o, più spesso, all’isolamento degli ospiti delle strutture a causa dell’impedimento dell’accesso, anche con le opportune misure di prevenzione del contagio, di parenti, amici e caregivers.
Espressioni come «per il suo bene», «non deve essere visitata da persone diverse dai propri familiari», «non deve uscire se non accompagnata dagli operatori» sono state frequentemente riportate per giustificare quei confini di sicurezza dei luoghi e delle persone alle quali vengono affidate la cura e assistenza dei disabili o anziani. Luoghi all’interno dei quali il disabile o l’anziano è, di fatto, incapacitato.
Una volta usciti dalla pandemia, mentre le attività sociali venivano riprese con la massima apertura nella società civile, la vita sociale e le relazioni affettive nelle RSA venivano precluse e ostacolate da divieti di contatto con i familiari: «Almeno vorrei poterla incontrare fisicamente e darle io da mangiare e da bere»; «Nonostante la cessazione dello stato di emergenza nel nostro paese, nelle RSA invece nulla è cambiato».
A seguito della pandemia, è stata rafforzata la collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, avviata già nel 2018 con la partecipazione a tavoli di lavoro su diverse tematiche trasversali a quelle di competenza del Garante Nazionale. Si è trattato di gruppi di lavoro tematici dedicati al Covid-19, composti da esperti di lavoro interni ed esterni all’Istituto Superiore di Sanità, con l’incarico di elaborare analisi, fornire informazioni, formulare proposte e produrre documenti pubblicati nella serie Rapporti ISS Covid 19.
[…]
Rispetto al secondo punto di cesura, alla fine del 2021, dopo il clamore del caso studio del signor Gilardi, le segnalazioni relative alle figure tutelari dell’amministratore di sostegno e del giudice della volontaria giurisdizione sono aumentate (pari a 13, il doppio dell’anno precedente).
Esse generalmente denunciano un forte disallineamento tra l’agire delle figure tutelari e la volontà della persona, e una incapacità di ascoltare il tutelato. Nella prassi, il giudice tutelare raramente convoca presso di sé il tutelato, e ancor meno spesso si reca presso la struttura dove è assistito per ascoltare le sue volontà.
In questi casi le scelte dell’anziano o del disabile vengono filtrate dalla parola dell’amministratore di sostegno, dei familiari, spesso in disaccordo tra loro, o dei servizi territoriali.
[…]
In generale, la posizione del Garante Nazionale è stata quella di porre in evidenza quanto sia necessario che i processi di cura e assistenza debbano mirare a sostenere e rendere pienamente partecipi della vita sociale, le persone anziane o con disabilità fisica o psichica, secondo le soggettive capacità residuali.
Tali processi non possono non coinvolgere gli stakeholder [portatori di interesse, N.d.R.], i servizi sociali, i familiari in quanto il raggiungimento dell’auspicato obiettivo della protezione delle persone affidate alle istituzioni, per il suo successo, deve prevedere una fase progettuale e pertanto che i diversi attori si siedano insieme allo stesso tavolo e riconoscano le differenti prospettive, incluso le scelte personali della persona presa in carico.
Questa è la strada da percorrere per arrivare a produrre politiche efficaci per ridurre condizioni di isolamento e prevenire pratiche di re-istituzionalizzazione.