Abbiamo “toccato con mano” la Tunisia

di Flavio Lucchini*
È stato uno dei più apprezzati eventi cultural-sportivo-turistici fra quelli organizzati in 40 anni dall’ADV (Associazione Disabili Visivi). L’hanno chiamata “Settimana Gialla”, per richiamare il colore delle sabbie del Sahara, e anche perché l’ADV organizza già Settimane di altri colori e molti altri non ne restavano a disposizione! Questo è il “diario di bordo” del viaggio in cui un nutrito gruppo di persone con disabilità visiva ha “toccato con mano” la Tunisia, tra oasi, parchi archeologici e notti nel deserto, a fianco del set di film come “Guerre stellari” o “Il paziente inglese”
Zona archeologica di Cartagine
Nella zona archeologica di Cartagine

È stato uno dei più apprezzati eventi cultural-sportivo-turistici fra i moltissimi organizzati negli ultimi quarant’anni dall’ADV (Associazione Disabili Visivi). L’hanno battezzata Settimana Gialla, non soltanto per richiamare il colore delle sabbie del Sahara, ma anche perché, nella vasta gamma delle attività turistiche e sportive organizzate dall’ADV, i colori cominciavano a scarseggiare: Bianca è la classica settimana di sci di discesa e di fondo, Verde quella delle passeggiate e del trekking nelle foreste dolomitiche e del rafting sul Brenta, Blu, quelle che comprendono l’esplorazione subacquea delle barriere coralline nei mari del Sud, Azzurre, quelle nelle calde acque tropicali con sport acquatici.
L’ADV ha anche fornito due espertissime accompagnatrici, Laura e Francesca, ormai veterane in tutte queste manifestazioni, nonché due giovanissimi ed entusiasti volontari, Luca e Yasin, che si sono dimostrati molto capaci e sempre disponibili.
Si ringrazia in particolare l’Associazione italiana di Geologia e Turismo e la dottoressa Barbara Aldighieri alla cui perfetta organizzazione si è dovuta l’ottima riuscita dell’evento.
E questo è dunque il “diario di bordo” della Settimana Gialla in Tunisia, vissuta dal 27 ottobre al 3 novembre 2022.

Giovedì 27 ottobre
Partiamo in due comitive separate, da Milano e da Roma, tutti emozionati per questa vacanza itinerante attraverso la Tunisia. Abbiamo aderito con entusiasmo a questo trekking multisensoriale, realizzato grazie alla generosa sponsorizzazione dell’ADV, promosso dall’Associazione Geologia e Turismo e splendidamente organizzato dalla nostra amica Barbara Aldighieri, presidente di tale Associazione, nonché geologa del CNR, che da anni segue le oasi della Tunisia per lavoro.
Il tour attraverserà la regione meridionale della Tunisia, parte del deserto del Sahara, i dintorni di Tozeur (antica oasi a sud-ovest di Tunisi) nella regione di Matmata e di Tataouine (nel sud-est), fino a risalire a Djerba (l’isola situata di fronte alla Tunisia, collegata con un ponte alla terraferma).

Arrivo a Tunisi
Purtroppo per noi, provenienti da Milano e arrivati qualche ora più tardi, non è stato possibile visitare i resti archeologici dell’antica Cartagine (nei sobborghi di Tunisi), oggi situati all’interno del territorio della moderna Cartagine, città tunisina a 16 chilometri a nord-est della capitale. Ci raccontano i compagni di viaggio che l’hanno visitata della presenza delle Terme di Antonino, costruite nel II secolo, che hanno rappresentato uno degli stabilimenti termali più importanti per le Province africane dell’Impero.
Oggi costituiscono uno dei punti di maggior rilievo dell’intero sito archeologico di Cartagine, poiché conservano fregi e mosaici di grande bellezza. È inoltre possibile farsi una chiara idea del piano terra delle Terme, destinato agli ambienti di servizio e ammirare la grandiosità dell’intero complesso, potendo percorrere una fedele ricostruzione del sito.
Passeggiando, si possono calpestare, in parte, le antiche strade di Cartagine, disposte secondo la rigida e geometrica urbanistica dell’Impero. Nell’area del parco archeologico si trovano anche i resti di numerose tombe puniche.
Proseguendo nell’itinerario, si può visitare l’area delle ville romane. Antiche dimore dell’aristocrazia cartaginese che conservano, ancora oggi, tracce dell’originaria bellezza; attraverso una parziale ricostruzione avvenuta nel XX secolo, è possibile ammirare il tradizionale giardino interno circondato da porticati, il classico peristilio romano. Qui, sono conservate anche sculture e mosaici di grande valore, mentre a poca distanza si trovano i resti di un Odeon – letteralmente “luogo cantante” – un piccolo teatro dedicato alla rappresentazione di opere musicali.
Costruito sulle pendici di una collina, il teatro romano di Cartagine si trova a poca distanza dall’Odeon ed è uno dei più grandi delle Province d’Africa. Ristrutturato con attenzione, oggi è ancora la sede di numerosi eventi culturali.
Nella zona archeologica di Cartagine è possibile visitare, inoltre, i resti della basilica di Damous El Karita, chiamata così dall’espressione latina domus charitatis. le iscrizioni antiche sono adatte ai ciechi! Pompea, infatti, legge con le dita le lettere romane incavate su un rudere di architrave.
Proseguendo si trovano le rovine della Basilica di San Cipriano e i resti della Basilica Maiorum e di quella di Bir Ftouha, a testimonianza della diffusione del culto cristiano nella regione.
Ritornando verso la collina di Byrsa, possiamo incontrare l’acquedotto di Cartagine di cui restano oggi solo alcuni tratti. Le imponenti arcate, alte anche più di dieci metri, sostenevano il canale su cui scorreva l’acqua che dalla sorgente di Zaghouan giungeva in città. Le frequenti ristrutturazioni cui è stato sottoposto fin dai tempi antichi sono visibili nei diversi materiali utilizzati, e nelle vicinanze si trovano anche le cisterne di la Malga.
Nell’area verde è possibile ammirare ancora un anfiteatro e le rovine di quello che fu il “circo di Cartagine”. Di questo grande ippodromo è visibile solo la spina centrale che permette, però, di intuirne le notevoli dimensioni.
Costruita in un luogo strategico, Cartagine offre ancora oggi panorami mozzafiato e dalla collina di Byrsa si può ammirare l’intero Golfo di Tunisi. Sulla collina stessa si trovano anche i resti più antichi del quartiere punico, oltre alla Cattedrale di San Luigi, costruita in stile bizantino e oggi sede ideale per concerti di musica tunisina od occidentale. Sempre sulla collina di Byrsa c’è anche il Museo Nazionale di Cartagine, ideale per una sosta se si vuole approfondire la storia di questa antica città, fondata nell’ottavo secolo avanti Cristo e distrutta e ricostruita più volte. È un museo archeologico che può competere con il Museo Nazionale del Bardo di Tunisi e che custodisce reperti punici, romani e bizantini emersi durante gli scavi.
Nella zona è presente anche il Palazzo Presidenziale di Cartagine, residenza e sede ufficiale del presidente della Tunisia e la Moschea Mâlik ibn Anas, maestoso luogo di culto.
Raggiungiamo per un pranzo frugale il resto del gruppo in un locale dal nome indubbiamente creato in onore della cucina italiana il Pavarotti pasta, dove il profumo di aglio si diffonde in tutto l’ambiente. Molti di noi non si conoscono, quindi le presentazioni sono opportune.
Nelle voci dei compagni di viaggio percepisco gioia, ma anche molta emozione e un pizzico di preoccupazione per l’esperienza unica che stiamo per affrontare.
Dopo la pausa, tutti sull’autobus per un tour nella capitale tunisina. Ci hanno posticipato il volo per Tozeur, quindi la nostra guida locale ha rimediato con una gita nei dintorni.
Visitiamo i quartieri residenziali con ville di lusso, fino alla periferia dove le abitazioni sono più spartane. Raggiungiamo Sidi Bou Said, cittadina situata nel nord della Tunisia, a poco meno di 20 chilometri a nord-est della capitale Tunisi.
Il luogo prende il nome da una figura religiosa musulmana che visse in questa città, Abou Said ibn Khalef ibn Yahia Ettamini el Beji (prima dell’arrivo di quest’ultimo era chiamata Jabal el-Menar).
La cittadina è un’interessante attrazione turistica, conosciuta per l’intenso utilizzo dei colori blu e bianco ovunque sugli edifici. Ci racconta la guida che in questo paese risiedono gli artisti, i quali rendono il luogo molto esclusivo e poco economico per abitarci.
Nelle stradine in salita con la pavimentazione in ciottoli troviamo botteghe che vendono ceramiche di ogni tipo e manifatture di artigianato in cuoio. Trent’anni fa, quando la visitai da vedente, era completamente diversa e le botteghe vendevano soprattutto tessuti e quadri di artisti locali.
Veniamo ospitati nel bar più antico della Tunisia, dove ci offrono tè alla menta con mandorle tritate e caffè turco, seduti su stuoie e tappeti caratteristici.
Ancora un giro nel paese e poi tutti verso l’autobus per raggiungere l’aeroporto con destinazione Tozeur. Tramite un piccolo aereo dalla stabilità discutibile, arriviamo a destinazione e veniamo accompagnati al primo albergo per sistemarci in camera.

Verso l'oasi di Chebika
Verso l’oasi di Chebika

Venerdì 28 ottobre
Sveglia di buon’ora e dopo la colazione ci aspetta la giornata forse più impegnativa. Sono pronte davanti all’albergo le auto 4×4 per raggiungere un’oasi di montagna. Il viaggio è molto divertente, complice la guida avventurosa degli autisti che spesso fanno del fuoristrada saltando da una parte all’altra della careggiata, se così vogliamo chiamarla, allo scopo di farci provare l’ebbrezza del saliscendi sulle dune sabbiose.
Destinazione Chebika, oasi situata nell’estremo ovest del Paese, a nord del lago salato Chott el Gharsa e a pochi chilometri dal confine con l’Algeria.
Ad Speculum, era questo l’antico nome dell’oasi: prima avamposto romano e solo in seguito rifugio di montagna del popolo berbero. Oggi l’antico villaggio di Chebika è semidistrutto e disabitato a causa di una violenta alluvione che, alla fine degli Anni Sessanta, costrinse gli abitanti a ricostruire il villaggio più a valle.
L’escursione ad anello non è agilissima, con scaloni sconnessi e con vari livelli in salita, dove spesso le strettoie ci costringono a camminare in fila indiana. Attraverso il villaggio antico di Chebika, ci mostrano gli strati di carbonati con noduli di selce, strati costituiti da conchiglie. È impressionante accarezzare le pareti di queste rocce con incastonati i gusci dei molluschi ormai fossilizzati. Possiamo toccare con mano i diversi minerali estratti da queste rocce, dai colori variopinti da sembrare pietre preziose.
Anche in questo contesto percepiamo la cortesia degli abitanti, che ci offrono una spremuta di melograno nel villaggio dove sostiamo per rifocillarci.
Ci spostiamo poi in una sorgente di montagna con una bellissima cascata, dove diversi canali del lago naturale distribuiscono le acque all’oasi di fondovalle.
Impressionante e inaspettato è trovarci davanti una vegetazione tanto rigogliosa, con una flora e fauna anomale, considerando il luogo in cui ci troviamo. Rane e uccelli ci accompagnano con i loro canti, libellule svolazzano intorno a noi quasi per rendere la nostra escursione meno impegnativa.
Continuiamo il nostro percorso verso l’oasi di Tamaghza. Cambiamo le calzature, mettendoci dei sandali perché cammineremo dentro un corso d’acqua; l’escursione prevede una camminata risalendo il fondovalle del corso fino alla cascata, un tratto sul fondo della gola di Bougemann.
Ci sembra di essere in un canyon con rocce altissime che ci circondano, notevole l’effetto scenico dell’erosione che un torrente ha creato in questa insenatura. Dove stiamo camminando, la larghezza è di circa sei metri, per poi stringersi in alto a non più di due, con le pareti inclinate dove l’acqua fuoriesce gocciolando sulla gola che stiamo percorrendo.
Malgrado la stanchezza per la giornata impegnativa, le risate non mancano: solo a metà percorso ci accorgiamo che un gregge ci ha preceduto, ho l’impressione che stiamo calpestando escrementi di pecora; ma se ci penso non è nulla, probabilmente nel corso d’acqua vengono scaricati anche i liquami del paese soprastante, che immagino non abbia una rete di fognature, ma ormai siamo in ballo e balliamo e non ci resta che ridere, nonostante le sbucciature alle ginocchia e qualche leggera ferita a causa di rami o foglie sporgenti accidentalmente urtati nel percorso.
In alcuni tratti possiamo toccare la vegetazione, ci sono anche alberi di melograno dai frutti grossi come arance.
Siamo ospiti per il pranzo da un amico del posto. Una variopinta tavola imbandita ci aspetta; il tipico cibo tunisino piccante e speziato che ci siamo abituati a consumare, che malgrado qualche effetto collaterale per alcuni compagni di viaggio, ci sazia lo stomaco.
Ormai è il tramonto quando raggiungiamo il sito Mos Espa, villaggio ricostruito del set di Star Wars, (Guerre stellari). La guida tunisina ci racconta le vicissitudini accadute in quel set cinematografico e l’importanza che ha nel mantenerlo integro come attrattiva per il turismo che costituisce una voce importante per l’economia del Paese.
Nel tragitto di ritorno per la cena ancora tante risate in macchina, complice la guida avventata dei nostri autisti con le 4×4 sul percorso accidentato.
Ceniamo in un nuovo locale, musicisti ci accompagnano con musiche tradizionali con canti e balli, forse a un volume troppo alto per noi che abbiamo nell’udito un punto di fondamentale utilità per l’orientamento.
Il consueto cibo locale ci attende sulle tavole imbandite in nostro onore. Quasi abituati a quei sapori, malgrado siano sempre gli stessi, ch ci accompagneranno per il resto del viaggio.
Torniamo in albergo un po’ infreddoliti, di notte, infatti, la temperatura si abbassa notevolmente.

Sabato 29 ottobre
Dopo colazione, si parte in calesse verso l’oasi e il Museo del Dattero Eden Palm. I calessi sono spartani, ma il viaggio è breve e la nostra guida ci descrive il paesaggio circostante.
Tutto intorno a noi è vegetazione, palme di dattero e qualche pianta di fico accompagnano il nostro tragitto sul calesse. La guida tunisina ci istruisce su queste piante. La palma da dattero, nota anche con il nome di Phoenix dactylifera, è originaria delle regioni del nord dell’Africa. Essa appartiene alla famiglia delle Aceracee e presenta un fusto molto dritto in grado di raggiungere dimensioni massime di 30 metri; la corteccia ha una struttura ruvida, dovuta alla presenza degli accenni di tronconi delle foglie cadute durante la sua crescita. Il fogliame si trova esclusivamente sulla cima ed è composto di un numero massimo di circa trenta foglie verdi, pennate, lineari e in grado di raggiungere dimensioni massime di circa cinque-otto metri di lunghezza. Le infiorescenze sono dioiche (alberi che sviluppano fiori maschili e alberi che sviluppano solo fiori femminili), di piccole dimensioni, di colore bianco e crescono all’ascella delle foglie. I fiori maschili sono presenti in numero inferiore rispetto a quelli femminili, i quali vengono impollinati attraverso i venti e gli insetti, ma spesso, per velocizzare il procedimento di impollinazione, questa pratica viene fatta manualmente dall’uomo. I fiori femminili, dopo l’impollinazione, producono dei frutti, i datteri, che col passare del tempo tendono a scendere verso il basso. Ogni grappolo può raggiungere dimensioni di circa 50 centimetri e pesare addirittura 25 chili circa.
Il proprietario della piantagione ci propone una degustazione dei prodotti derivati dal dattero, che vengono confezionati in diverse creme, confetture e sciroppi, ma anche utilizzati in cosmetica. Naturalmente ne approfittiamo per fare acquisti.
Dopo questa tappa ci spostiamo in un atelier. Ci sono dei musicisti che ci danno il benvenuto con musica tradizionale; all’interno incontriamo le donne artigiane che con i telai creano tappeti variopinti e che con le foglie di palma fabbricano cestini, borse e oggetti ornamentali. Ci offrono il tipico tè alla menta, mentre i musicisti ci intrattengono.
Visitiamo successivamente il Musée Souad per comprendere la tipologia di costruzione di Tozeur, con i suoi mattoni tipici giallo ocra che caratterizzano le costruzioni locali dalle facciate simili a mosaici.
Il pranzo a Dar El Hadir, su una bellissima terrazza in una casa tipica di Tozeur, tra cortili, giardini, fontane e vasche.
Nel pomeriggio ci trasferiamo in bus presso Douz. Nel tragitto ci fermiamo a vedere o meglio toccare una delle meraviglie della natura: il deserto di sale, anche se è più opportuno definirlo il lago salato, vista la sua circoscritta dimensione.

Presso il set del primo "Guerre stellari"
Nei pressi del set del primo film della saga di “Star Wars” (“Guerre stellari”)

Visivamente ci dicono che sembra una distesa di neve, ma al tatto si percepisce chiaramente l’immensa pianura di sale. Un luogo meraviglioso che si estende per oltre 5.000 chilometri tra la zona ovest di Hèzoua e quella ad est di Kebili.
Chott El Jerid è un immenso lago salato che d’estate si presenta come una vera e propria distesa di sale, tanto da sembrare ghiaccio, mentre d’inverno si presenta con una sottile coltre d’acqua che lo rende simile ad uno specchio. Il lago si snoda attraverso la P16, la via che unisce Tozeur e Douz.
In passato si è creduto che il Chott El Jerid fosse il leggendario “bacino di Tritone”, che è stato spesso menzionato sia da Plinio che da Erodoto, anche se non si capisce come abbiano fatto a descriverlo senza conoscerne la giusta posizione.
Il Grande Lago Salato è così affascinante perché i visitatori non vedranno mai la stessa faccia. È un lago composto da cristalli di sale che si stendono su un fondo di sabbia e argilla. La sua caratteristica principale è proprio il cambiamento dei colori, conseguenza delle alte temperature che in questi luoghi possono superare i 50 gradi. In estate, difatti, il lago si prosciuga e, se visto dalla strada che lo costeggia, lo si può ammirare in tutta la sua maestosità di deserto bianco. Qui, inoltre, le precipitazioni scarseggiano e questo influisce su tale fenomeno. Con le rare piogge si scioglie lo strato superficiale di sale che, cristallizzandosi rapidamente e trasportato dal vento, ricopre la sabbia, tingendo la superficie del lago di sfumature diverse. La cristallizzazione del sale, quindi, regala al visitatore un’immagine davvero pittoresca del luogo: infatti, grazie ai venti che soffiano in diverse direzioni, si formano grandi figure ottagonali in rilievo di cristalli di sale percepibili al tatto e sotto i piedi, che richiamano l’immagine di un immenso alveare.
Nei mesi invernali, invece, si deposita, come detto, uno strato di acqua sulla superficie, rendendo il Chott El Jerid una specie di specchio in cui si riflettono le montagne che lo circondano, rendendo lo spettacolo ancora più immenso.
Questo è un posto tanto particolare da attirare l’attenzione di artisti e registi, come è accaduto per il regista americano George Lucas che ha deciso di utilizzare anche questo lago di sale per ambientare la scena dell’atterraggio delle astronavi nel primo Guerre stellari.
Ripartiamo col nostro autobus per raggiungere un altro fenomeno inspiegabile, a Eau Chaudes Fatnasa, una sorgente di acqua calda, o meglio quasi bollente, che tramite un impianto rudimentale di raffreddamento e depurazione viene utilizzata per fini agricoli.
In pratica questa acqua calda, tramite pompe, viene spinta in alcune vasche posizionate a circa venti metri di altezza e dalle quali fuoriescono diversi tubi, ove l’acqua dovrebbe raffreddarsi raccogliendosi in una sorta di piscina sottostante. All’interno della piscina, se così vogliamo chiamarla, molti canaletti piramidali fanno fluire questa acqua salmastra verso l’esterno per l’irrigazione delle coltivazioni.
Molto probabilmente questo processo viene attivato durante la notte, quando le temperature calano, per non rischiare di bruciare le coltivazioni, ma questa è solo una mia supposizione.
Molti di noi, come alcuni ragazzi del posto presenti, si sono immersi in questa grande piscina, e qualche temerario si è anche azzardato a bagnarsi sotto la cascata creata dai tubi di raffreddamento.
In qualsiasi altra parte del mondo occidentale si sarebbe sfruttato questo fenomeno naturale per creare un centro termale e farne un business, ma in Tunisia le coltivazioni di palme da dattero sono economicamente più importanti.
In serata raggiungiamo Douz.

Domenica 30 ottobre
Siamo a Douz, Sahara. Si unisce a noi il signor Ali Abdel Moula, che ci accompagna a vedere la raccolta dei datteri in una piantagione privata. Questa è la stagione ottimale per tale operazione. Veniamo nuovamente istruiti su queste coltivazioni e proviamo a sollevare i rami per verificarne il peso; in effetti, come ci avevano detto nei giorni scorsi, sono molto pesanti.
Uomini in gruppi da tre con roncole rudimentali si arrampicano sulle palme imbragati con cinghie di sicurezza e tagliano i rami carichi di frutti. Le donne sotto li staccano dai rami, li selezionano in base alle dimensioni e ai colori. Questa è la “catena di montaggio” della raccolta.
Della palma di dattero non si butta niente, anche le foglie, infatti, vengono utilizzate per confezionare cestini, tappeti e borse.
Proviamo ad arrampicarci anche noi sulle piante, utilizzando gli scalini naturali formati dai rami tagliati e come per ogni turista che si rispetti, le fotografie sono d’obbligo, facendo attenzione a non inquadrare le donne del posto, che non gradiscono di essere immortalate nei nostri ricordi digitali. Poi partiamo nuovamente con destinazione il Sahara.
Con le auto 4×4 raggiungiamo il luogo dove ci aspettano i dromedari. Un’altra esperienza che non dimenticheremo facilmente: circa due ore in groppa al dromedario; questo animale millenario che dai nativi viene anche chiamato “nave del deserto”, per la sua capacità di percorrere lunghe distanze su terreni abbastanza accidentati e in carenza di alimenti solidi e liquidi [il soprannome lo merita comunque, dato il dondolio che subisce il passeggero, molto simile a ciò che si prova su una barca sul mare mosso, N.d.A.].
Il dromedario non è a rischio di estinzione. Pur vivendo in cattività o al di fuori del suo contesto originale, troviamo spesso infatti gruppi di dromedari sui nostri percorsi allo stato brado. Qualche componente del gruppo, dopo il primo tratto, rinuncia alla cavalcata, ma la gran parte dei temerari prosegue, impavida, fino alla prossima meta. Naturalmente si pranza nel deserto e il primo contatto con la sabbia dorata emoziona tutti.

In groppa ai dromedari
In groppa ai dromedari, le “navi del deserto”

La sensazione forte che sto vivendo mi fa pensare che “non stiamo noi entrando in Africa, ma è l’Africa che sta entrando in noi!”.
Dopo pranzo gli autisti con le 4×4 ci raggiungono per accompagnarci all’accampamento per la notte nel deserto. Le tende sono più confortevoli di quanto ci aspettavamo, abbastanza grandi e con il bagno all’interno. Tutto intorno a noi dune di sabbia.
Malgrado l’età media del gruppo vacanza sia piuttosto alta, si torna un po’ bambini, corriamo nella sabbia, ci rotoliamo e facciamo capriole nelle dune divertendoci un sacco. Intanto il sole sta per calare, il tramonto è qualcosa di spettacolare. Ci descrivono i colori e il silenzio che ci circonda suscita in ognuno di noi sensazioni diverse. Questo emozionarsi davanti a un tramonto così breve, sapendo che il giorno dopo, comunque andrà, ce ne sarà uno apparentemente identico, ma dalle sfumature inedite…
All’accampamento ci aspettano per il rito della cottura del pane nella sabbia. Tutti intorno al braciere assistiamo a questo magico rito accompagnati da musiche tradizionali, mentre Laura ci descrive il procedimento: il cerimoniere amalgama nella bacinella l’acqua, la farina e il sale, fino a ottenere l’impasto per il pane. Crea un piccolo rialzo di sabbia che copre con un canovaccio. Ci stende sopra la pasta, premendola e allargandola in modo da formare una spianata rotonda. Intanto gli sterpi arsi dal fuoco sono braci ardenti e caldissima è la sabbia sotto il fuoco. Crea nel fuoco con un bastone uno spiazzo circolare per posare la spianata di pasta. Lascia un po’ di brace nello spiazzo e ammucchia il resto della brace mista alla sabbia calda sul bordo del circolo, prende delicatamente la spianata di pasta e la lascia cadere sullo spiazzo tondo. Ora ricopre bene la pasta, aiutandosi con il bastone, con la sabbia e le braci depositate ai margini del tondo. Sotto, tra le due coltri ardenti di sabbia e brace, cuoce la pasta del pane, l’impasto sbuffa, soffia e sfrigola cuocendo.
Attendiamo incuriositi, il momento è giunto, con il bastone spazza via la sabbia mista a carbonella, che ricopre il pane. Estrae con le mani la pagnotta a forma di ruota. La pulisce dai piccoli carboni attaccati e la percuote vigorosamente da entrambi i lati con il canovaccio per staccare le scorie della cottura.
Ecco che, una volta tagliato, ci viene servito, croccante e caldo.
La cena viene consumata nel cortile all’aperto e Barbara ci distribuisce i datteri che abbiamo ordinato. La serata procede intorno al fuoco, tra musica tradizionale e la deliziosa voce dell’amica Michela, che ci intrattiene con il suo canto. Alcuni si allontanano dal chiarore del fuoco per andare ad ammirare il cielo stellato.
Una sola cosa allora voglio: tornare in Africa. Non l’ho ancora lasciata, ma ogni volta che mi sveglio di notte, tendo l’orecchio, pervaso di nostalgia!

Lunedì 31 ottobre
La mattina non possiamo perderci l’alba nel deserto: alle 6:30 tutti sulle dune più alte per ammirare questo suggestivo cambiamento di colori. Nel totale silenzio che ci circonda, Laura ancora una volta ci fa rivivere le sensazioni ed emozioni della natura. «Il respiro del panorama – dice – è immenso. Ogni cosa da un senso di grandezza, di libertà, di nobiltà suprema. Sulla cima di queste dune si respira bene, si sorbisce coraggio di vita e leggerezza di cuore. Ci si sveglia la mattina, nel deserto, e si pensa: “Eccomi qui, è questo il mio posto”».
Ci descrive strane tracce sulla sabbia di animali notturni che scompaiono al nostro arrivo, ma preferisco non sapere di cosa si tratti…
Dopo la colazione tutto il gruppo assiste alla nascita di una palma da dattero, la prima di tante altre, piantata in nostro onore. Tutti ci auguriamo possa attecchire, e con lei altre centinaia, realizzando il sogno del proprietario dell’accampamento, per la nascita di una nuova oasi in questo tratto di deserto.
Ripartiamo con le auto per Ksar Ghilen, oasi nel cuore del Sahara tunisino, del grande Erg Orientale. Un panorama magnifico, quasi surreale, con giochi di luci e ombre sulle dune al tramonto.
Ksar Ghilane ha fatto da sfondo anche a molte scene del film Il paziente inglese.
Nuovamente una sosta sulle dune, dove raccogliamo un po’ di sabbia del deserto; ne approfittiamo per scattare alcune foto ricordo. “L’Africa – penso – incarna i nostri bisogni insoddisfatti, la nostra esigenza di avere la sabbia sotto le scarpe al posto dell’asfalto”.
L’oasi di Ksar Ghilane è l’avamposto più visitato del Grande Sud. Troviamo sul percorso i resti di un antico forte, un tempo guarnigione sul Limes Tripolitanus (una linea difensiva romana), in un suggestivo paesaggio di alte dune. Ci dicono che è l’ultimo avamposto romano rimasto quasi intatto. Ne scaliamo il fortino e ammiriamo il paesaggio circostante.
In seguito ci trasferiamo a Douiret, villaggio troglodita berbero arroccato sulla montagna nel Governatorato di Tataouine (Tunisia meridionale). Situato su una collina vicino al moderno villaggio con lo stesso nome costruito negli Anni Sessanta, Douiret è formato da piccole abitazioni chiamate ghiren (plurale di ghar, “grotte”), ognuna delle quali porta il nome della famiglia proprietaria.
La costruzione del villaggio sulla collina ha molteplici funzioni: La cittadella, ksar o kalâa (“fortezza”) protegge il villaggio stesso e funge da rifugio inespugnabile per i nemici. I granai collettivi ad uso familiare o di più tribù, permettono la conservazione nei ghorfas di grano, datteri, olio d’oliva e altri prodotti per gli anni di secca. Piccoli spazi vuoti tra i ghorfas permettono di custodire oggetti di valore. È anche un luogo d’incontro per un gioco chiamato kharbga (una variante della dama), e per impreziosire di mistero i racconti tunisini. Viene usato anche come posto per le transazioni commerciali.
Le popolazioni che hanno costruito questi tipi di villaggi fortificati (ksour) sono chiamate Jbaliya (“gente della montagna”).
La moschea all’interno della cittadella fortificata è simile alla ben più nota e poco distante Moschea dei Sette Dormienti di Chenini. Ci sistemiamo in queste grotte, dove l’unico spiraglio d’aria arriva dalla porta che non chiudiamo mai, anche perché i nostri compagni per la notte dormiranno con noi nella parte più profonda del cunicolo, dove non esistono finestre e il caldo è soffocante. Anche il pranzo e la cena li consumiamo in una di queste ghiren, dall’arredamento decisamente bucolico.
Se devo essere sincero, questa è la sistemazione più spartana che abbiamo trovato in questo viaggio, ma è anche il luogo dove ci siamo divertiti di più. Sarà stato per il contesto primitivo, per la complicità che si è creata tra i compagni di viaggio. Sarà per l’escursione a guardare il tramonto e poi le stelle, oppure per la fumata in compagnia con il narghilè. La notte trascorsa a Douiret non la dimenticheremo mai.
“Questo paese è un pensiero, un’emozione, quasi una preghiera: lo sono i suoi silenzi infiniti; i suoi tramonti; quel suo cielo che sembra molto più vicino del nostro, perché si vede e si sente di più, perché le sue stelle e la sua luna, dall’inclinazione diversa da come siamo abituati a vederla, sono più limpide, nitide, pulite, brillano di più”.

Ci si prepara alla notte nel deserto
Ci si prepara alla notte nel deserto…

Martedì 1° novembre
Visita di Chenini, unico villaggio berbero di montagna abitato della regione, villaggio rupestre nel distretto di Tataouine nella Tunisia meridionale.
Situato su un altipiano vicino al moderno villaggio con lo stesso nome costruito nel 1960, Chenini era un granaio fortificato (ksar, plurale ksour). Come gli altri ksour creati dalle comunità berbera nordafricana, Chenini è costruita tra due picchi montuosi, per ripararla dalle incursioni.
Le strutture più antiche sul lato della collina risalgono al dodicesimo secolo e alcune costruzioni sono ancor oggi usate come depositi per il grano per gli abitanti della valle sottostante.
Ci accompagnano a visitare un frantoio per produrre l’olio, manovrato dai dromedari, i quali vengono bendati per non perdere l’equilibrio girando in cerchio per ore. Purtroppo per loro non è stata una stagione molto proficua, causa la siccità che ha colpito molti Paesi, compresa la Tunisia.
Continuiamo il nostro percorso trekking del paese in salita, circondati da cespugli di Timo che profumano l’aria, fino a raggiungere vecchi granai e ascoltarne la storia.
Scendendo per tornare all’ autobus che ci aspetta, ci stupisce il fatto che in tutte le case siano presenti le parabole per le TV satellitari, considerando che in questo paese è evidente il degrado della vita quotidiana, come la discarica a cielo aperto, i servizi igienici delle abitazioni nei cortili e le automobili al limite della rottamazione. La nostra guida a domanda risponde: «Sono berberi moderni!».
In seguito il pranzo sarà consumato in una casa ipogea a Tijma.
Si riparte più tardi per la prossima meta, Matmata.
Al tramonto raggiungiamo il nostro albergo, il quale è una riproduzione delle case ipogee, molto suggestivo, anch’esso utilizzato in scene cinematografiche.
Ci attendono le donne artigiane per presentarci i loro lavori. Cestini, sottopiatti, tappeti, miele e prodotti cosmetici che alcuni di noi acquistano.

Mercoledì 2 novembre
Partenza dall’Hotel Matmata verso l’isola di Djerba, che raggiungiamo in battello per rendere il percorso più suggestivo, nonostante essa sia collegata tramite un ponte alla terraferma. Nel viaggio ci descrivono il paesaggio che continua a cambiare.
Arrivati a Djerba pranziamo a base di pesce in un ristorante vicino al mare e poi una breve passeggiata nella medina. Ultimi acquisti veloci per poi raggiungere l’aeroporto per rientrare a Tunisi.
L’albergo a cinque stelle con piscine è immenso, situato in una zona turistica e ci permette di concludere questa vacanza in bellezza. Piuttosto che dormire poche ore, poiché la partenza per Milano è all’alba, alcuni di noi preferiscono, dopo cena, uscire e trascorrere le ultime ore fuori per un giro nella Tunisi notturna. L’aria è festaiola e dai diversi locali ci giunge il suono di musica di ogni genere.
Dopo avere girovagato per la città, entriamo in una discoteca nella quale ci divertiamo molto ballando in gruppo e con i ragazzi del posto. Veniamo accolti come se non fossimo stranieri, ci coinvolgono e ballano con noi tutta la notte.
Si torna in albergo, stanchi ma felici, appena in tempo per la partenza.

In questo “diario di bordo” ho cercato di descrivere le tantissime emozioni che ho provato durante il viaggio, anche se purtroppo qualcuna l’avrò senz’altro omessa in quanto sono state veramente tante e alcune così intense e particolari da risultare indescrivibili. Ognuno di noi si sarà portato a casa proprie ed indimenticabili sensazioni, con la felicità di avere vissuto in prima persona un Paese lontano da noi culturalmente, ma vicino geograficamente e umanamente e anche la felicità di avere condiviso questa avventura con compagni di viaggio piacevoli che, grazie a questa esperienza di gruppo, sono diventati nuovi amici.
Ringrazio nuovamente Barbara che ce l’ha proposto e ci ha accompagnati. E grazie ai nostri meravigliosi accompagnatori, che ci hanno fatto vedere tramite i loro occhi e vivere intensamente questi luoghi incantevoli.
Sono sicuro che siamo tornati con una sensazione che accomuna tutti quanti, il “mal d’Africa!”. Il mal d’Africa, infatti, esiste davvero. Io non lo considero affatto un luogo comune, un semplice detto, ma la concentrazione in un’unica frase di tutto ciò che l’Africa scatena nella fantasia e nei ricordi. L’intenso azzurro del cielo, la particolare gradazione del verde, il riverbero del sole, i colori forti e penetranti dei tessuti, la natura più vera, i sorrisi della gente, la sensazione di leggerezza che si prova. Tutte sensazioni vive e pulsanti che si fissano nella mente per sempre.
La suprema forza dei magnifici colori e i profumi africani generano nei miei pensieri un senso di pace e beatitudine inconscio che lascerà per sempre un segno indelebile.
L’immensità della natura, che purtroppo stiamo annientando troppo velocemente, mi fa sentire piccolo e insignificante al cospetto di tanta bellezza. Non ha più valore il conto in banca, lo smartphone nuovo, il prossimo appuntamento. L’invadente sensazione di benessere che suscita l’essere un tutt’uno con la madre terra è un qualcosa di inspiegabilmente profondo e bellissimo.
Di fronte all’alba di un nuovo giorno o ad un tramonto nel deserto, nei pressi del lago salato o in una gola tra le montagne, posso riscoprire un eccesso di emozioni che mi fanno sentire a casa.
Sono sicuro che chi ha avuto la fortuna di vivere la Tunisia da vicino, come l’abbiamo fatto noi, almeno una volta, ci tornerà ancora. Diventa un bisogno quasi fisico rivivere quegli attimi!.

Socio dell’ADV (Associazione Disabili Visivi). Il presente contributo è già apparso (con il titolo “Tocchiamo la Tunisia, con Foto”) nella testata telematica «Notizieaccessibili.it» e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.

Share the Post: