In occasione della recente Giornata Internazionale per la Sindrome di Dravet del 23 giugno, l’Associazione Gruppo Famiglie Dravet ha reso pubblici i primi risultati di un sondaggio effettuato a livello nazionale sulla riabilitazione nella sindrome di Dravet. Lo studio, presentato al congresso nazionale della LICE (Lega Italiana Contro l’Epilessia) è stato condotto in collaborazione con la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma.
«La sindrome di Dravet – spiegano dal Gruppo Famiglie Dravet –, che è considerata la più comune sindrome encefalopatica dello sviluppo, è una forma di epilessia farmacoresistente di origine genetica, cui si associano altri sintomi, tra cui deficit cognitivi, compromissione delle capacità visuomotorie e di esecuzione, disturbi del linguaggio espressivo, disturbi motori e vari disturbi comportamentali. Nonostante tutti i pazienti necessitino di riabilitazione in diversi àmbiti, attualmente mancano evidenze riguardo al tipo di trattamento e alla sua efficacia rispetto alle problematiche legate alla sindrome».
È dunque al fine di colmare tale lacuna, che il Gruppo Famiglie Dravet ha condotto appunto un’indagine nazionale sul panorama della riabilitazione, coinvolgendo anche pazienti e caregiver.
Il sondaggio ha raccolto dati nel periodo pre-Covid (febbraio-novembre 2019), che sono stati successivamente suddivisi per fasce d’età, al fine di valutare l’approccio riabilitativo in relazione alla situazione anagrafica e alla residenza geografica, nonché per analizzare gli aspetti educativi, la frequenza scolastica e la partecipazione a gruppi integrativi.
«I risultati di questo studio – informano dall’Associazione promotrice – rivelano una carenza nell’attuale panorama italiano riguardo all’approccio riabilitativo nei confronti delle persone affette dalla sindrome di Dravet. Per garantire un adeguato approccio multidisciplinare alle loro esigenze, quindi, si rende necessaria un’integrazione basata sul profilo neuropsicologico e neuromotorio. Di conseguenza, l’indagine suggerisce la necessità di sviluppare linee guida specifiche, basate sulle esigenze dei pazienti, al fine di ottimizzare il follow-up e i risultati della riabilitazione, migliorando così la loro qualità di vita e quella dei loro caregiver».
«Auspichiamo – concludono dal Gruppo Famiglie Dravet – che questi importanti risultati contribuiscano a sensibilizzare l’opinione pubblica, i professionisti del settore e le istituzioni sulle necessità e le sfide affrontate dai pazienti con la sindrome di Dravet, nonché a promuovere una maggiore attenzione e un impegno concreto verso l’elaborazione di un approccio riabilitativo più efficace e personalizzato». (S.B.)
A questo link è disponibile il poster di presentazione dell’indagine condotta dal Gruppo Famniglie Dravet. Per ulteriori informazioni: gruppofamiglie@sindromedidravet.org.
La sindrome di Dravet
Si tratta di una malattia rara che colpisce neonati sani nel loro primo anno di vita e che comporta una grave forma di epilessia farmacoresistente, associata a diversi altri disturbi, quali problematiche del linguaggio, ritardo psicomotorio, problemi ortopedici e della deambulazione, disturbi del sonno e problematiche comportamentali.
Circa il 17% dei pazienti non raggiunge l’età adulta a causa di incidenti o diverse complicazioni.
La sindrome colpisce una su 22.000 persone e la causa di essa è una mutazione genetica la quale, nella maggior parte dei casi, è de novo, cioè non ereditata dai genitori.
Il primo sintomo sono le gravi crisi epilettiche che esordiscono in età infantile, poi le persone con Dravet continuano a soffrire di epilessia per tutta la loro esistenza. In alcuni casi, inoltre, le crisi provocano un grave rischio per la vita, dato che possono determinare uno stato di male epilettico (crisi che si ripetono senza recupero o crisi prolungata, oltre i 30 minuti).
E ancora, le persone con Dravet possono essere colpite dalla morte improvvisa e inaspettata in epilessia (SUDEP), rischio, questo, che insieme alle altre problematiche di cui si è detto, ha un enorme impatto sulle famiglie che convivono quotidianamente con la malattia.
A quarant’anni dalla descrizione della sindrome, non esiste ancora una cura risolutiva, cosicché le persone assumono combinazioni di diversi farmaci antiepilettici al fine di contenere l’epilessia, che tuttavia resta farmacoresistente.
Mancano infine sul territorio specifici percorsi diagnostico-terapeutici e riabilitativi, così come adeguati percorsi che possano gestire la transizione dall’età pediatrica all’età adulta.
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