Un pronunciamento che riguarda una lavoratrice part-time, di ente pubblico, unica caregiver di due familiari con disabilità e conviventi, sarà senza dubbio emblematica [di tale pronunciamento si legga ampiamente anche su queste pagine, N.d.R.], ma la realtà dei caregiver familiari (e non) in Italia è assai più complessa.
Se io non lavoro perché assisto ventiquattr’ore su ventiquattro mio figlio dalla nascita e sono coniugata, non rientro nella casistica contemplata da quella pronuncia. Così come se lavoro ma non per un ente pubblico, così come se assisto un solo congiunto. Quindi quel pronunciamento, per quanto altisonante, provenendo dalle Nazioni Unite, per me e per decine di migliaia di caregiver familiari italiani non vale.
Le tutele per i caregiver familiari devono comprendere tutto ciò che riguarda lo status di lavoratore: l’assicurazione per infortuni, uno stipendio che ti permetta di vivere dignitosamente, le ferie, la malattia, la pensione, il che implica che ad una certa età puoi riposarti finalmente e qualcuno prenderà il tuo posto.
Il caregiver è un lavoratore, non sceglie di assistere, ma vi è costretto per la lacuna esistente nel nostro sistema sociosanitario discendente da un vuoto normativo, e solo grazie a questo lavoro il familiare assistito e amato vive una vita dignitosa.
Esiste di tutto, è vero, ma continuare ad insistere sugli abusi che potrebbero patire gli assistiti, come viene fatto, è qualcosa di malsano e offensivo nei confronti di chi si sacrifica in tutto e mai si sognerebbe di nuocere al proprio caro.
Facciamo invece un check-in di RSA e RSD [Residenze Sanitarie Assistenziali e Residenze Sanitarie Disabili, N.d.R.] dalle quali abbiamo quasi quotidianamente notizia di maltrattamenti e abusi! Come Genitori Tosti l’abbiamo detto fino a perdere la voce e l’abbiamo scritto nel saggio L’esercito silenzioso. Caregiver familiari: attorno ai caregiver familiari va costruita una rete di servizi e operatori attraverso gli Enti Locali, sia pubblici che privati, sui territori. E questa organizzazione dei servizi dovrebbe essere normata da una Legge Regionale, cioè ogni Regione dovrebbe, in base alla Legge Nazionale, stabilire il protocollo sul proprio territorio.
È chiaro che se la Legge Nazionale latita, le Regioni si trovano senza base di partenza e non si capisce perché ad esempio la Conferenza Stato Regioni non abbia mai fatto pressione su chi di dovere per ottenere la norma nazionale.
Da quando uscì quel nostro saggio (fine gennaio 2022) due Regioni hanno emanato la loro Legge, Lombardia e Friuli Venezia Giulia. Nel primo caso abbiamo letto della protesta di Associazioni che non erano nemmeno state interpellate, mentre nel secondo tutto tace.
Siamo nel 2023, i signori politici si devono aggiornare e smetterla di pensare che un bonus mensile risolva tutto. Niente può risolvere il grande vulnus psicologico e sociale che produce l’essere soli a doversi occupare di un congiunto stretto non autosufficiente! Sollecitiamo perciò di tralasciare le elucubrazioni letterarie e si affronti concretamente la questione: se tu lavori e vivi a casa tua e ti puoi pagare la badante oppure hai un Comune che ti offre certi servizi a domicilio e vai dal tuo congiunto (anche tre volte al giorno poniamo), non sei un caregiver familiare come chi vive nella stessa casa, rinunciando al reddito da lavoro per assisterlo ventiquattr’ore su ventiquattro da solo!. Quindi non si possono dare le stesse cose (tutele) a due situazioni totalmente differenti.
Sono concetti semplici, basici, eppure si fatica a recepirli; anzi più le persone sono colte e competenti più questi concetti sono aborriti! E le soluzioni pensate e che si impongono sono sempre a danno delle categorie più fragili nel settore del caregiving familiare: in oltre dieci anni che ci occupiamo come Associazione del tema, sentiamo parlare solo di diritti di chi lavora e perciò il prepensionamento, i contributi figurativi e ultimamente la possibilità di reinserimento lavorativo come OSS (Operatore Socio Sanitario); poi sempre e solo dei caregiver degli anziani genitori, che magari nemmeno coabitano con il caro assistito. Perché? Manca la rappresentanza delle altre categorie oppure ci si gira dall’altra parte, verso zone che si conoscono e che si sanno affrontare?
Tuttavia, i risultati del sondaggio contenuto nel nostro citato saggio L’esercito silenzioso dimostrano che ai caregiver familiari la situazione è chiarissima, tanto quanto dovrebbe essere il riconoscimento come lavoratori. Più di 2.000 persone lo hanno confermato.
Infine: nessuna Legge che tratti altro può contenere articoli dedicati ai caregiver familiare, perché deve uscire una Legge Nazionale che si occupi solo dei caregiver familiari e del loro riconoscimento.
Che nei Decreti Attuativi della Legge Delega sulla Non Autosufficienza [Legge 33/23, N.d.R.] vi possano essere disposizioni per i caregiver familiari è una grande discriminazione, perché esistono caregiver di ogni tipo di familiare e l’anziano è solo una delle tante tipologie. Chiunque proponga soluzioni diverse dal riconoscimento come lavoratore attenta, a parer nostro, ai diritti di tutte queste persone che gratuitamente, al di sopra delle loro forze e risorse, assistono da soli un congiunto.
È comprensibile che in un Paese come il nostro, dove da trent’anni gli stipendi non vengono aggiornati al costo della vita, dove si sono gravemente erosi i diritti dei lavoratori, dove pare un’ignominia avere il salario minimo e dove per le donne è implicito che lascino qualsiasi ambizione lavorativa e degradino il loro status economico per assistere un familiare, parlare di riconoscimento del caregiver familiare come lavoratore sia un argomento “punk” e quindi da non prendere sul serio, ma forse sarebbe il caso che lo Stato del nostro Paese decidesse di vivere nel presente e accettasse che uomini e donne debbano avere pari diritti, applicando interamente vari articoli della nostra Costituzione (1, 3, 35, 36 e 37).