Il digitale è tra noi e non è solo personal computer e smartphone. Attorno a noi è pieno di oggetti digitali, inaccessibili, perché progettati male.
Quante volte, ad esempio, con il caldo di queste settimane, vi siete trovati nel desiderio di poter bere qualcosa di fresco, vi trovate in mobilità e notate la presenza di macchinette distributrici che con colori accattivanti attirano l’attenzione degli utenti… Per molti di noi, però, queste macchinette, purtroppo, non sono utilizzabili, portando quindi da una parte alla perdita di clientela e dall’altra ad una vera e propria discriminazione. E non solo, come spesso capita, l’inaccessibilità riguarda gli utenti con disabilità visiva, ma queste aziende sono riuscite nel difficile intento di rendere inaccessibili questi prodotti anche ad altre disabilità. Vuoi pagare con carta di credito? Posiziona la carta in alto a destra e avrai pure uno sconto del 5 per cento! Peccato che “in alto a destra” è talmente alto che una persona in sedia a rotelle non può raggiungere la funzionalità e pertanto, se è solo in possesso della carta di credito, non potrà acquistare alcunché.
Sicuramente voi siete dei viaggiatori attenti all’ecologia, per una raccolta differenziata dei prodotti. Peccato che anche in questo caso sia i nuovi sistemi di raccolta per strada, sia le nuove funzionalità di raccolta differenziata presso le stazioni dei treni (Roma ne è un esempio), abbiano altezze e utilizzino colori talmente inaccessibili da renderli non percepibili nemmeno a persone che non hanno disabilità visive.
Eppure esistono norme tecniche, non solo per le ICT [Tecnologie dell’informazione e della comunicazione e dell’informazione, N.d.R.], che stabiliscono l’uso di colori adeguati, nonché il rispetto di altezze e di punti di raggiungimento in modo frontale e laterale per non discriminare.
La domanda sorge spontanea: perché ancora oggi ci sono aziende che vendono prodotti che discriminano e soprattutto perché ci sono soggetti, anche pubblici, che comprano tali prodotti? La riposta è una: ignoranza. Si tratta di ignoranza di norme di corretto sviluppo, probabilmente assenti nella formazione dei professionisti (architetti, ingegneri, designer), che però creano discriminazione e successivamente creeranno costi di adeguamento di tali prodotti. Manca la formazione, mancano lauree specifiche, mancano proprio moduli formativi che devono essere integrati nei percorsi ufficiali e senza il superamento dei quali un professionista non dev’essere abilitato ad operare sul mercato perché crea danni sia all’azienda per cui progetta, sia all’utenza destinataria.
Oggi i prodotti accessibili di questo tipo si possono fare. Mi è capitato di vederne diversi in giro per il mondo: dalla macchina distributrice di caffè con display che consentiva di posizionare in basso con un tocco le scelte (garantendo quindi l’altezza massima prevista per evitare la discriminazione di persone in sedia a rotelle), così come la possibilità di scegliere dei prodotti premendo il numero accanto (se in piedi) oppure tramite tastiera numerica (se in sedia a rotelle).
Il massimo si è raggiunto negli Stati Uniti – ma via via arriverà anche nel mercato europeo – con iniziative come quelle di McDonald’s che, trasformando il software presente nei suoi schermi touch, consente anche agli utenti non vedenti di poter ordinare i prodotti in autonomia.
Quindi alla fine è tutto legato al tema della progettazione, tecnicamente si può fare, ma bisogna saperlo fare. Mi piacerebbe che gli ordini professionali inserissero questi temi nella formazione obbligatoria, almeno con aggiornamento triennale: se qualcuno che ha potere decisionale in merito sta leggendo questo articolo, ecco si senta un po’ in colpa per non averlo fatto prima e si attivi per evitare future discriminazioni.
“Il digitale accessibile”
Avviata recentemente sulle pagine di «Superando.it», la rubrica Il digitale accessibile è firmata da Roberto Scano, che da oltre vent’anni si occupa di accessibilità informatica, ossia dal 2002, anno in cui entrò nel W3C (World Wide Web Consortium), come rappresentante dell’IWA (International Web Association), partecipando allo sviluppo delle WCAG 2.0 (Web Content Accessibility Guideline), le Linee Guida per l’accessibilità dei siti web. Nel corso degli anni si è occupato del tema dell’accessibilità anche in àmbito normativo, supportando la nascita della cosiddetta “Legge Stanca” (Legge 4/04: “Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici”), in materia di accessibilità ICT (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione) e avviando iniziative a livello nazionale, per diffondere il tema dell’accessibilità “by design”.
Attualmente presiede l’Associazione dei Professionisti Web IWA e le Commissioni UNI dedicate alle professionalità digitali e all’accessibilità digitale. Svolge inoltre l’attività di consulente per aziende e Pubblica Amministrazione.
Nella colonnina qui a fianco (Articoli correlati), i contributi che abbiamo finora pubblicato, nell’àmbito della rubrica Il digitale accessibile.