Caregiver familiare, oppure “per scelta” o “condiviso con la comunità”?

di Salvatore Nocera
«Ho letto con molto interesse e piacere - scrive Salvatore Nocera - l’articolo di Simona Lancioni “Sono stata una caregiver “anomala e imprevista”, pubblicato da “Superando.it”, piacere per le argomentazioni chiarissime sulla differenza tra caregiver familiare e lavoratori impegnati nell’assistenza, oltreché per l’insistenza sulla legittimità del “caregiver per scelta” e del “Care Collective” (“cura condivisa con la comunità”), interesse per il fatto che il dibattito scaturito dagli ultimi interventi di “Superando.it” sui caregiver ha stimolato alcune mie riflessioni giuridiche»
Giovane caregiver assiste un'altrettanto giovane persona con disabilità
Un giovane caregiver assiste un’altrettanto giovane persona con disabilità

Ho letto con molto interesse e piacere l’articolo di Simona Lancioni Sono stata una caregiver “anomala e imprevista”, pubblicato da «Superando.it».
Il piacere deriva dalle argomentazioni chiarissime relative alla differenza tra caregiver familiare e lavoratori impegnati nell’assistenza, oltreché sull’insistenza della legittimità del “caregiver per scelta” e del Care Collective (“cura condivisa con la comunità”). L’interesse deriva invece dal fatto che il dibattito scaturito dagli ultimi interventi di «Superando.it» sui caregiver ha stimolato alcune mie riflessioni giuridiche che vorrei sottoporre al giudizio di Lettori e Lettrici. Infatti, non mi ha mai convinto la proposta, avanzata da più parti, di assicurare un “salario” ai caregiver familiari, specie le donne, che rinunciano a una loro vita lavorativa per votarsi a vita all’assistenza del proprio caro con disabilità.
Sono contrario a ciò per una semplice considerazione giuridica: se si tratta del coniuge, il Codice Civile stabilisce che gli sposi assumono l’obbligo della reciproca assistenza; e nei matrimoni religiosi gli sposi stessi si dichiarano reciprocamente che si presteranno amore «sia nella buona che nella cattiva sorte». Ovviamente questa assistenza è conseguenza dell’affetto e dell’amore, ma non può riguardare anche la rinuncia a vivere una vita lavorativa. Così il reato di «mancata assistenza familiare» non può riguardare l’obbligo di prestare assistenza reciproca per ventiquattr’ore al giorno e per un periodo della vita.
Lo stesso vale per i doveri dei genitori verso i figli con disabilità – e di questi ultimi verso i genitori -, sanciti dall’articolo 30 della nostra Costituzione. Per l’assistenza dovuta a situazioni straordinarie di insorgenza di disabilità ad un membro della famiglia, possono sopperire sia i “caregiver per scelta”, una scelta volontaria e gratuita, sia quelli istituzionali, costituiti da lavoratori stipendiati, diversi dai familiari.
Sulle prime figure ha già detto molto bene Lancioni, per le seconde devono sopperire le Istituzioni pubbliche, nel caso in cui la famiglia non abbia sufficienti risorse economiche. Anche il nostro sistema giuridico, infatti, prevede il diritto all’assistenza domiciliare, sociale e sanitaria, purtroppo ancora non normativamente collegate.

Quanto al Care Collective, mi pare che questa situazione possa realizzarsi spontaneamente, ciò che ad esempio può avvenire in occasione di un disastro collettivo, come è successo di recente in Emilia Romagna, e non solo verso le persone con disabilità, oppure dietro l’invito di educatori, come spiegato da Simona Lancioni.
C’è poi «l’obbligo di solidarietà sociale» di cui parla l’articolo 2 della Costituzione, che è un dovere che può essere sentito come etico, ma che ha certamente una connotazione giuridica: non per nulla è contenuto nella nostra Carta fondamentale di convivenza nazionale.
Da quest’obbligo nasce per lo Stato e per il suo apparato articolato anche negli Enti Locali, il dovere di sollevare da situazioni eccezionali di assistenza familiare le persone che comunque dedicano tutto il loro tempo di vita e quello libero dal lavoro. Da qui nasce, a mio avviso, non il diritto ad un “salario”, ma la necessità di una pensione da assegnare al caregiver familiare per quando non avrà più le forze per continuare a svolgere questa assistenza; essa dovrebbe essere molto più elevata per il familiare che dedica tutto il suo tempo all’assistenza, meno elevata per quanti continuano, come è loro diritto, a lavorare.
Questa impostazione concettuale è stata sempre sostenuta, ad esempio, dalla ., che è uno dei centri culturali in campo sociale tra i più apprezzati in Italia.

Ovviamente l’assistenza alle persone con disabilità dovrebbe essere oggetto di una seria legge di riordino del nostro welfare che non può continuare a delegare alle sole famiglie un peso che per il citato articolo 2 della Costituzione dev’essere assunto da tutta la collettività nazionale, sia come Istituzioni che come Società Civile. Infatti, quando la Costituzione usa i termini «è compito della Repubblica», la dottrina e la giurisprudenza ormai interpretano che il termine si riferisce sia allo Stato come apparato centrale e decentrato negli Enti Regionali e Locali, sia alla Società Civile, come collettività su cui possono gravare i doveri di contribuzione fiscale secondo la capacità contributiva di ciascuno.

Approfitto in conclusione per ringraziare la redazione di «Superando.it», che offre la possibilità di un dialogo continuo di approfondimenti, non limitandosi così ad essere solo una testata di informazioni, cosa assai importante, ma diventando una palestra di libero confronto di opinioni e quindi di educazione reciproca alla democrazia.

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