Caregiver: quando manca l’ambizione per legiferare

di Pier Angelo Tozzi*
«A nessuno sfugge - scrive Pier Angelo Tozzi - quanto non sia più “civilmente” sopportabile il vuoto legislativo sul tema dei caregiver, coloro che prestano assistenza continuata (spesso iniziata fin dalla nascita dell’assistito) a persone, quasi sempre familiari, con disabilità complesse, e la cui vita, come è stato provato, rischia di accorciarsi di circa 5/6 anni. Per iniziare un percorso fruttuoso, però, serve un’ambizione per legiferare che oggi il Paese pare non avere e anche una condivisione di partenza da parte di tutte le Associazioni rappresentative dei diritti delle persone»
Caregiving familiare
Una caregiver familiare insieme a una propria congiunta con disabilità e a un amico a quattro zampe

Mi inserisco con piacere sul dibattito apertosi dopo la pubblicazione dell’apprezzabile e stimolante articolo pubblicato su queste stesse pagine da Simona Lancioni (Quali tutele predisporre per la figura del caregiver?).
Ricordo che uno degli atti più importanti della Consulta Provinciale delle Persone con Disabilità di Massa Carrara che ho avuto il piacere di presiedere è stato un appello ai Parlamentari eletti nel Collegio di Massa Carrara, Versilia e Lucca del 25 novembre 2021 sulla necessità di legiferare sul tema del caregiver [se ne legga ampiamente anche sulle nostre pagine, N.d.R.]. Quell’appello venne inaspettatamente firmato da ben 64 CPO (Comitati Pari Opportunità dell’Ordine degli Avvocati) sparsi nel Paese, che ne condivisero il testo e le finalità.

A mio modesto avviso dal dibattito che si è sviluppato in queste settimane in «Superando.it» emergono analisi  e posizioni  eccessivamente scrupolose (della serie “spacchiamo il capello in quattro”) e con  delle “profondità di intenti” fondate su una troppo spinta visione filosofica e quindi poco realizzabile. Questo a discapito della concretezza con la quale, secondo chi scrive, il tema andrebbe affrontato. Diversamente la questione sollevata, grave e urgente, rischia di uscirne “azzoppata” per colpa della sua stessa complessità, che la rende, a quanti titolati a trovare una soluzione,  quasi impossibile da risolvere.
Vorrei dunque inserirmi all’interno di questo spaccato in quanto convinto che a volte analisi basate su princìpi eccessivamente idealizzati e quindi poco realizzabili allontanino  dal fulcro del problema e vadano a complicare le buone intenzioni di chi intendesse trovare soluzioni.

Nell’appello sopracitato si scriveva tra l’altro: «Esistono studi scientifici facilmente reperibili [si citava il professor Angelo Gemignani, ricercatore dell’Università di Pisa, N.d.A.], che confermano il rischio salute nel quale incorre chi è sottoposto a tale stress cronico (quello del caregiver) e dimostrano come la vita di queste persone sia più breve rispetto a quella di soggetti coetanei».
Allora se noi riportiamo la discussione sul livello della vita quotidiana, quella reale, probabilmente a nessuno sfugge quanto il vuoto legislativo non sia più “civilmente’’ sopportabile, e questo al di là di ogni altra possibile riflessione.
Possiamo accettare il dato che la vita di quanti prestano assistenza continuata (spesso iniziata fin dalla nascita dell’assistito) a persone, quasi sempre familiari, con disabilità complesse, sia una vita che nella sua durata si accorcia di circa 5/6 anni?
Per questi soggetti, che non sono milioni ma migliaia, è possibile prevedere almeno:
° per chi lavora (e giustamente non intende lasciare il lavoro, oppure per ragioni economiche non lo può fare) riconoscere un anno di contribuzione figurativa ogni 5 anni di assistenza svolta?
° per quanti non svolgono un’attività lavorativa (tanti, soprattutto donne, che si sono dovute licenziare) prevedere forme assicurative con premio a carico dello Stato, appositamente calibrate per tutelare i rischi e le necessità inerenti la mansione svolta, con un capitale da accantonare per la liquidazione in modalità, condizioni e tempi da definire?
Perché – mi domando – non partire da qui e convergere tutti su questi due punti che, almeno in parte, tutelerebbero quanti (familiari e non) esercitano ogni giorno, ogni notte, un’assistenza acuta che è bene ricordare dovrebbe essere in carico alle Istituzioni?

Credo che individuare questi “volontari dell’assistenza” sia un compito fattibile ed estremamente doveroso, senza che, in questa prima fase, qualcuno si debba sentire escluso. Tale norma, infatti, andrebbe a garantire ai soggetti più esposti (quelli che hanno la vita più breve e che si ammalano) un qualcosa che oggi non esiste, dopo di che migliorare la Legge ed estenderla ad altri beneficiari diverrebbero atti tanto possibili quanto auspicabili.
Per iniziare questo percorso serve però – come titola questa breve riflessione –  un’ambizione che oggi il Paese pare non avere, e aggiungo anche una condivisione di partenza da parte di tutte le Associazioni rappresentative dei diritti delle persone, che oggi mi pare non essere presente.
Se non facciamo questo, non possiamo poi lamentarci se, ad esempio, all’interno della Legge Delega al Governo 33/23 sulla Non Autosufficienza si affronti l’argomento con un’interpretazione del caregiver che, ovviamente, non può essere che quella correlata al mondo degli anziani.

Già Presidente della Consulta Provinciale delle Persone con Disabilità di Massa Carrara.

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