Ringrazio innanzitutto la redazione di «Superando.it» per avere cortesemente pubblicato il testo Quando smetterò di essere caregiver, non avrò diritto a nulla, replica direttamente rivolta a un mio precedente intervento su queste stesse pagine (Caregiver familiare, oppure “per scelta” o “condiviso con la comunità”?).
La Signora che mi scrive, caregiver del marito con disabilità, lamenta il fatto che io abbia affrontato sotto il profilo giuridico il problema dibattuto di un salario ai familiari che dedicano con amore tutta la loro vita ai membri con disabilità della loro stessa famiglia, mentre avrei potuto affrontarlo contemporaneamente anche dal punto di vista della FISH (la Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap di cui sono stato anni fa vicepresidente), nonché sotto il profilo di persona con disabilità, quale sono.
Nell’ammirare moltissimo la dedizione della Signora al marito e all’esempio che essa dà ai suoi figli e a quanti la conoscono, mi permetto di aggiungere l’accenno agli altri due aspetti sui quali mi si chiedeva di intervenire.
La FISH, negli orientamenti dei suoi organi decisionali, quali il Congresso, il Consiglio Nazionale e la Giunta Esecutiva, ha sempre proposto ai Governi e ai Parlamenti che si sono succeduti sin dalla sua fondazione nel 1994, che venisse rispettata la dignità di persona, sia rispetto alla persona con disabilità che ai suoi prossimi familiari. Per questo ha agito per il riconoscimento e la realizzazione dei loro “diritti umani”; per questo ha molto collaborato all’approvazione dell’articolo 14 della Legge 328/00, che prevede espressamente il diritto al progetto di vita individuale delle persone con disabilità. Tale progetto è stato ulteriormente precisato nella recente Legge 33/23 a proposito delle persone anziane e di quelle non autosufficienti.
Per rafforzare l’esigibilità di tali diritti, la stessa citata Legge 328/00 ha previsto all’articolo 19 che il progetto di vita, i cui contenuti sono richiesti e formulati dalla persona con disabilità e dalla sua famiglia, sia giuridicamente rafforzato dagli “accordi di programma”, contratti di diritto pubblico stipulati, su richiesta della persona con disabilità o di un suo familiare, dal Comune di residenza che convoca tutti i soggetti pubblici (quali ad esempio l’ASL e l’eventuale Ambito Territoriale del Piano di Zona) e privati convenzionati (associazioni, fondazioni, organismi di volontariato ecc.).
Agli accordi di programma possono partecipare anche soggetti privati non convenzionati (quali altri Enti del Terzo Settore che possono apportare proprie risorse umane ed economiche). Tutti quei soggetti hanno ora il potere di «co-programmazione e co-progettazione con gli enti pubblici», a seguito dell’articolo 55 del Codice del Terzo Settore (Decreto Legislativo 117/17). Una volta sottoscritto e pubblicato sul Bollettino Ufficiale della propria Regione, l’accordo di programma diviene vincolante per tutti i sottoscrittori quanto ai doveri assunti con la sottoscrizione stessa. Esso, in forza della Legge 112/16, può riguardare sia aspetti della vita attuale che quelli concernenti la vita futura, quando gli attuali caregiver familiari non ci saranno più. Sempre dopo la sottoscrizione, divengono vincolanti le obbligazioni assunte e in caso di violazioni da parte dei sottoscrittori, si può ricorrere al Tribunale Civile. Se si vuole poi evitare questo contenzioso, l’accordo di programma può prevedere la costituzione di un Collegio di Vigilanza composto da rappresentanti dei sottoscrittori, che previa diffida ad adempiere, può pronunciare una decisione di dignità pari a una Sentenza.
La FISH, va detto a questo punto, sta adoperandosi per migliorare ulteriormente questa normativa che è ulteriormente rafforzata dal “diritto alla vita indipendente” di cui alla Legge Delega in materia di disabilità 227/21, i cui emanandi Decreti Delegati dovranno appunto portare a un miglioramento delle Leggi attuali. In tal senso la Federazione, nell’àmbito del quadro normativo delineato, è orientata ad ottenere sia agevolazioni per i caregiver familiari che lavorano, sia una pensione per quelli che non lavorano.
Tutte le norme emanate ed emanande che mi sono permesso di illustrare non sono, come scrive la Signora nel suo testo, «tutta quella serie di aiuti virtuosi e inesistenti di cui fantastica». Se queste infatti fossero fantasticherie, sarebbero tali immaginate dal Legislatore. Ora, quindi, si può sostenere che una norma non sia pienamente soddisfacente, ma come si fa a dire che le norme frutto di studio e di lavoro politico delle Associazioni di persone con disabilità e dei loro familiari, siano «fantasie»?
Sono perfettamente a conoscenza, poi, della petizione e dell’indagine conoscitiva promossa dall’Associazione Genitori Tosti in Tutti i Posti, che apprezzo molto per il suo impegno. Concordo che i diritti dei caregiver familiari siano stati per troppo tempo ignorati e disattesi dai nostri Governi. Per questo concordo con l’impegno anche della FISH di migliorare e rendere effettivamente fruibile la normativa illustrata, che necessita di miglioramenti e di immediata attuazione.
E in conclusione passo a dire il mio pensiero, su questo delicato argomento, da persona con disabilità, che si augura di non essere stata mai “un nemico delle persone con disabilità”.
Innanzitutto non pretendo certamente di essere “l’unico esempio da seguire”, ma mi sono limitato, nel mio precedente contributo, ad esporre ciò che in prevalenza si dice nel nostro mondo della disabilità. E su come la si pensi in prevalenza è stato ampiamente illustrato da Simona Lancioni con più articoli su queste stesse pagine.
Per parte mia, come persona con disabilità, posso riferire quanto mi disse mia moglie, purtroppo prematuramente scomparsa, quando ci siamo fidanzati: «Ricordati che io voglio essere tua moglie e non la tua infermiera». È quello che ho cercato di fare nella nostra cinquantennale vita coniugale, avendo capito pienamente cosa intendesse dire.