Il 1° agosto scorso Franco Bomprezzi, che di questo giornale è stato direttore responsabile fino alla sua scomparsa nel 2014, avrebbe festeggiato il proprio 71° compleanno.
Per noi che l’abbiamo amato, apprezzato e che abbiamo avuto la fortuna di esserne amici, oltre ad averlo come punto di riferimento professionale, è un piacere dare spazio al ricordo inviatoci da Simonetta Morelli, presidente dell’Associazione Premio Franco Bomprezzi, scritto dal “fratello” e collega giornalista Gerardo Bombonato.
Non fu la mia prima insufficienza, io ci ero abituato. Avevo già ripetuto un anno. Ed è stata una fortuna! Perché quella bocciatura mi consentì di finire in classe con Franco. Di conoscerlo, apprezzarlo, amarlo.
Parlo del primo voto negativo di Franco. Per lui fu un trauma, per me una gioia.
Lo so, il Lettore non ci capirà nulla. Provo a spiegare perché.
Insomma, io ero uno da ultimo banco. Fuori dai canoni del severo liceo dove mi ero iscritto e, in un certo senso, ero orgoglioso di esserlo. Legavo assai poco con i compagni di classe e vivevo nel mio insensato (ma lo dico solo oggi) isolamento che mi conferiva (così mi pareva) un’aria di distacco e (ahimè) di superiorità (quanto si è scemi a sedici anni!) su tutto e su tutti. In sedicesimo una sorta di “giovane Holden”, ma molto molto alla lontana.
L’arrivo di Franco, ad anno scolastico già iniziato, fu per me traumatico. In senso buono, dico.
Tralascio la fase di studio (e questo chi è? Da dove arriva? Che ci è venuto a fare?), ma mi lascio inconsapevolmente attrarre dal nuovo, dal diverso… e in poco tempo dall’ultimo banco mi ritrovo al primo al suo fianco.
E come succede in natura la mela marcia guasta tutto il cesto… No. Fortunatamente non fu così. Anzi, la verità storica fu l’esatto opposto. Fu lui a contaminarmi con la sua costanza, col suo rigore, col suo senso del dovere, con la sua grande intelligenza e capacità di vedere sempre oltre a quello dove arrivavo io. Con la sua amicizia!
Eppure quella volta ho goduto. Lo confesso senza vergogna alcuna. Era una bella giornata di primavera e non so cosa avremmo dovuto studiare insieme. Sicuramente storia. Sì. Gian Galeazzo Visconti. Roba del 1300 o giù di lì. E chissenefrega, suggerisco io. Tenue resistenza da parte di Franco che, di fronte alle mie insistenze, alla fine cede. Ok al gelato, ma fra un’ora riprendiamo. Certo!
Ma una volta fuori l’ora passò in fretta e finimmo in un cinema a veder nonsocosa. Quando uscimmo era ora di cena e ci salutammo: ci vediamo domattina a scuola!
E Gian Galeazzo Visconti? Ricomparve, l’indomani, improvviso e più oscuro che mai sulle labbra del prof di storia e filosofia. Bomprezzi, dico a lei, tuonò il docente senza avere risposta.
La faccia di Franco divenne rossa paonazza, il sudore gli scendeva dalla fronte, e lui, sempre così sicuro di sé, andò letteralmente in bambola. Per la vergogna? Anche. Franco era sempre preparato, tranquillo, sicuro di sé… Inutile citare la reprimenda del professore e il 4 (o forse meno) sul registro.
Ad accrescergli l’imbarazzo e il senso di vergogna la mia vicinanza che, in quel momento, definirei sguaiata.
Non riuscivo a trattenermi, ridevo a crepapelle fino a scivolare sotto al banco.
Una giornata nera per il povero Franco. Non per me. Sicuramente utile, credo. Per entrambi. È vero, l’istigatore e il responsabile di quella insufficienza ero io, ma non riuscivo a dispiacermene.
Da quel giorno, da quella discesa dall’Olimpo dove collocavo Franco, ho cominciato a sentirlo più vero, più umano, più accanto a me. Forse, se vogliamo stabilire un preciso momento, è allora che è nata la nostra amicizia.
Sono sicuro che da lassù anche lui se la sta ridendo.
Ciao Franco!
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