Nei giorni scorsi ha fatto scalpore la Sentenza del TAR del Lazio (Tribunale Amministrativo Regionale), che ha promosso un’alunna di scuola media di Tivoli, bocciata in precedenza per numerose insufficienze nel profitto. Non sarebbe legittimo commentare una Sentenza senza avere prima letto le motivazioni, attualmente introvabili e pertanto proverò a dare la mia opinione sulla base di ciò che sta circolando sui giornali e su quanto è stato detto anche nella recente trasmissione di Rai Radio 3, Tutta la città ne parla.
Comincerei con l’aspetto formale tecnico-giuridico, per poi accennare a quello dei rapporti tra scuola e famiglia, alunni e studenti, che è stato prevalentemente oggetto della citata trasmissione di Rai Radio3.
È normale che un TAR adotti una Sentenza che si sostituisce alle valutazioni dei docenti? Ho sempre saputo che i TAR possono annullare decisioni di promozioni o boccciature di alunni, se queste sono viziate da illegittimità procedurali o per motivazioni contraddittorie. Però all’annullamento non segue il giudizio di promozione o bocciatura operato dai TAR; all’annullamento, infatti, segue l’obbligo del Consiglio di Classe di riunirsi e di riformulare il giudizio, eliminando gli errori precedentemente commessi che hanno indotto il TAR stesso a pronunciare l’annullamento. Se pertanto, alla luce delle indicazioni procedurali e formali imposte dal TAR, il Consiglio di Classe riesce a confermare egualmente la decisione precedente, tutto va bene, altrimenti il Consiglio di Classe è costretto a pronunciare un giudizio opposto a quello erroneamente adottato.
In questa seconda ipotesi, la famiglia dell’alunno può chiedere il risarcimento dei danni, se invece il TAR pronuncia un giudizio sul profitto dell’alunno opposto a quello del Consiglio di Classe, si ha la sua sostituzione ad una valutazione “di discrezionalità tecnica” esclusivamente rimessa ai docenti e ritenuta insindacabile dalla costante Giurisprudenza del Consiglio di Stato.
Nel caso di specie, sembrerebbe che il TAR abbia riscontrato gravi carenze nei rapporti tra docenti e alunna quanto al controllo della sua istruzione, e omissioni rispetto al recupero delle sue carenze e lacune apprenditive; avrebbe quindi deciso che l’impreparazione non fosse dipesa dai comportamenti omissivi dell’alunna, ma da quelli della scuola. Conseguentemente il TAR l’avrebbe promossa.
Se questa fosse la motivazione della Sentenza, penso che non sia necessaria una nuova norma di legge che imponga ai Tribunali di non promuovere alunni impreparati, qualunque ne sia la causa, come ha recentemente dichiarato il Ministro dell’Istruzione e del Merito; infatti, è sufficiente un ricorso in appello al Consiglio di Stato da parte del Ministero, che mi auguro sia stato già introdotto, e a quel punto sarà l’organo superiore di controllo di legittimità ad annullare la Sentenza del TAR per errore in procedendo [errori di carattere procedurale, N.d.R.]. Ciò ad esempio è avvenuto a proposito di un tema assai importante come i nuovi modelli di PEI (Piani Educativi Individualizzati) per gli alunni e le alunne con disabilità: il TAR del Lazio, infatti, li aveva annullati su ricorso di alcune Associazioni, ma il Consiglio di Stato, su appello del Ministero dell’Istruzione e del Merito ha annullato quella Sentenza, avendo riscontrato un’errata valutazione giuridica operata dal TAR.
Se dovesse divenire normale l’orientamento del TAR del Lazio sul caso di Tivoli, si avrebbe una deriva paurosamente pericolosa e rivoluzionaria. Infatti, si pensi ad esempio al caso analogo che potrebbe verificarsi anche per gli esami universitari, ma anche per la bocciatura a un concorso che verrebbe superata dalla decisione opposta del TAR, con conseguenze impensabili sulle graduatorie.
È vero che il giudice è considerato peritus peritorum [il “perito dei periti”, N.d.R.], ma non nel senso che esso, sulla base del proprio argomentare, si sostituisca alla valutazione professionale dei componenti la commissione d’esami di un concorso, ma nel senso che, in taluni casi, egli nomini un perito il quale, in contraddittorio con quello del ricorrente, offra al Giudice informazioni chiare e convincenti sulla soluzione da adottare. E tuttavia non mi risulta, proprio per l’insindacabilità dei giudizi di “discrezionalità tecnica”, che nessun giudice, sino ad oggi, si sia sostituito alle valutazioni delle Commissioni di esami di qualunque tipo.
Ripeto, qualora il Giudice ritenga errata per vizi di legittimità o per motivazioni contraddittorie la decisione di una Commissione di esami o di un concorso, egli condanna, su domanda dell’interessato, al risarcimento dei danni, ma non si sostituisce alle Commissioni. E questo anche per una semplice considerazione di buon senso. Se cioè è accertato che l’alunno è carente sugli apprendimenti, la promozione ope iudicis non colmerebbe le sue lacune e addirittura costituirebbe un falso in atto pubblico.
Quindi mi è sembrata strana la dichiarazione del preside della scuola di Tivoli il quale ha detto che la scuola si conformerà alla Sentenza del TAR e farà di tutto perché l’alunno colmi le lacune accumulate. Infatti l’Amministrazione Scolastica è obbligata per legge ad adeguarsi alle Sentenze dei giudici di primo grado, ma se fa ricorso e ottiene la sospensiva, non è più obbligata a dar esecuzione ad esse, in attesa delle decisioni di secondo grado.
Cosa diversa è invece l’analisi del funzionamento di una scuola in cui uno o più alunni risultino insufficienti in tutte le materie o tutti risultino carenti in una sola materia o in essa non vengano applicate le norme sull’obbligo di recupero degli apprendimenti prima della fine dell’anno scolastico. In tal caso, infatti, sarà opportuno che l’Amministrazione Scolastica mandi un ispettore per verificare come sia il funzionamento della didattica e, se necessario, adotti i provvedimenti sostitutivi o sanzionatori del caso, come pare intenda fare il Ministero. Ovviamente, però, a questi eventuali interventi sanzionatori devono immediatamente seguire progetti di formazione obbligatoria in servizio su come i docenti debbano rapportarsi con gli alunni.
A tal proposito, la Legge 79/22 ha introdotto l’obbligo di un anno di formazione obbligatoria per tutti i docenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado, attualmente “autorizzati”, per legge, ad essere “ignoranti” di pedagogia didattica e psicologia, dal momento che il loro corso di formazione all’insegnamento ignorava totalmente tali discipline.
E tuttavia la citata Legge 79/22 prevede solo un terzo dei sessanta Crediti Formativi Universitari relativi a tali discipline e la SIPeS (Società Italiana di Pedagogia Speciale) ha giustamente chiesto che essi vengano seriamente aumentati. Successivamente, il recente Decreto Legge 75/23, convertito nella Legge 112/23, ha previsto, per il conseguimento dell’abilitazione, dieci Crediti Formativi Universitari su tali discipline, mentre non si sa quanti ne preveda per i docenti per i quali sono previsti solo 30 o 36 Crediti Formativi.
E in ognni caso non è stato ancora emanato il Decreto Applicativo della Legge 79/22, per verificare se il Ministero abbia accolto la richiesta della SIPeS , alla quale si è affiancata pure la FISH (Federazione Italiana per il Superamento del’Handicap), per portare a venti i Crediti, allo scopo di ottenere un minimo di formazione pedagogica e didattica generale e speciale seria, onde evitare l’ormai annosa delega dei progetti inclusivi solo ai docenti di sostegno, data l’attuale impreparazione per legge dei docenti curricolari su come si insegna, mentre essi sono molto preparati su ciò che si insegna. La loro professione, però, è di sapere insegnare ciò che sanno, ma di questo fondamentale aspetto professionale sino ad oggi tutti i Governi si erano disinteressati. Speriamo dunque che l’attuale Esecutivo riesca a realizzare seriamente questa richiesta che viene dagli studenti con e senza disabilità e dalle loro famiglie.
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