“Si raccoglie ciò che si semina”, e nel caso dell’agricoltura sociale i frutti che si stanno raccogliendo dopo circa cinque decenni di lavoro sono più che soddisfacenti.
Come si può evincere dalla definizione stessa, per “agricoltura sociale” si intende una pluralità di esperienze che integrano l’attività agricola con progetti di carattere socio-sanitario, educativo, di formazione e inserimento occupazionale. Ne beneficiano persone con disabilità principalmente, ma anche immigrati, disoccupati, ex detenuti, persone affette da dipendenze, rifugiati e richiedenti asilo, persone anziane, donne in difficoltà.
L’agricoltura ha da sempre un importante ruolo sociale. Non soltanto produce beni e porta buon cibo sulle nostre tavole, infatti, ma tiene in vita aree rurali che sarebbero altrimenti destinate all’abbandono, aiuta a riscoprire il valore delle risorse locali e intreccia relazioni all’interno delle comunità. È un’antica attitudine contadina, risalente a quando le famiglie lavoravano insieme, unite da solidarietà e mutuo aiuto. Può sembrare un concetto anacronistico, ma declinato verso i bisogni emergenti dei tempi moderni, diventa una risposta ai cambiamenti che stiamo vivendo, non ultimi la cura dell’ambiente e la crescita sostenibile per migliorare la salute e la qualità della vita.
L’evoluzione nel Vecchio Continente
L’utilizzo terapeutico dell’agricoltura, sia in Italia che in altri Paesi europei (Gran Bretagna, Belgio e Olanda soprattutto), risale alla fine dell’Ottocento, quando le strutture manicomiali impegnavano i pazienti nei lavori della terra per coinvolgerli in occupazioni che favorissero la partecipazione alla vita attiva.
Nel 1911 i medici dell’ospedale psichiatrico di Volterra (Pisa) stabilirono accordi con alcune famiglie di mezzadri della zona alle quali vennero “affidate” persone con problemi mentali “non pericolose”, perché partecipassero alle attività in campagna.
Le prime cooperative sociali agricole italiane sono sorte invece negli Anni Settanta del secolo scorso, periodo rivoluzionario per il welfare italiano; basti pensare alla “Legge Basaglia” che abolì i manicomi e alla normativa per l’inclusione scolastica degli alunni con disabilità.
Nel quadro europeo l’Italia occupa in questo campo una posizione di rilievo per numero di realtà ed elementi di innovazione che le caratterizzano. Nel Vecchio Continente, infatti, l’agricoltura sociale si esprime in modi molto differenti, dovuti alle diverse politiche di welfare che sono di competenza dei singoli Stati Membri, al contrario delle politiche agricole che operano sotto l’ombrello di una legislazione comunitaria. Troviamo così, ad esempio, le esperienze di green care (“terapia verde”) in Germania, che vanno dalle passeggiate nel bosco al giardinaggio, fino alle pratiche di terapia orto-culturale e gli interventi assistiti con animali; il care farming (agricoltura di cura/assistenza) presente in Olanda, che vede le aziende agricole chiamate ad accreditarsi, con il rispetto di rigidi standard in termini di strutture e competenze, presso il sistema socio-sanitario; e infine il social farming, ovvero l’agricoltura sociale sul modello italiano, con realtà aggregate che coinvolgono aziende e cooperative sociali insieme ai servizi sanitari pubblici e alle associazioni non-profit.
L’agricoltura sociale in Italia: numeri e normativa
Il primo rapporto Coldiretti sull’agricoltura sociale in Italia, riferito a dati del 2019, parla di circa 9.000 imprese agricole che nel nostro Paese svolgono attività sociali, un comparto che offre servizi alle persone equivalenti ad almeno 12,5 milioni di euro sul totale dei servizi sociali erogati dal sistema pubblico. Le aziende sono presenti su tutto il territorio nazionale, con una prevalenza del Nord (52,4%), rispetto al Centro (21,5%) e al Sud (26,1%). Piemonte, Puglia, Toscana e Veneto sono le Regioni in cui sono più numerose, ma se consideriamo come parametro la superficie agricola destinata al sociale, troviamo sul “podio” la Puglia seguita da Piemonte e Marche, mentre il numero degli utenti coinvolti vede al primo posto il Piemonte e subito dopo vi sono Veneto e Toscana.
Il 62% delle imprese opera nel settore da almeno dieci anni, il 23,6% è nato da uno a cinque anni fa.
L’agricoltura sociale offre servizi orientati soprattutto alla formazione (61%), all’inserimento lavorativo (60%), all’ospitalità diurna come supporto alla quotidianità (44%), all’organizzazione di attività ricreative (38%), ai soggiorni e campi scuola estivi (33%), alle attività riabilitative (28%), all’ospitalità notturna (11%) e ai servizi di supporto alla genitorialità come gli agri-asili (8%).
Oltre un terzo (36%) degli utenti accolti nelle imprese di agricoltura sociale è rappresentato da persone con disabilità, di cui il 26% ha una disabilità cognitiva; seguono persone con difficoltà relazionali (13%), con disabilità motorie (10%), rifugiati e richiedenti asilo (9%), detenuti ed ex detenuti (4%), minori in situazioni di disagio, persone con dipendenze e immigrati, ospitati da un’azienda su cinque, disoccupati di lungo periodo, anziani a rischio di povertà o con patologie degenerative e donne vittime di abusi, ospitati da circa il 15% delle imprese.
Una banca dati è consultabile on-line sul sito del CREA (Centro Politiche e Bioeconomia), che ha realizzato un’indagine su base volontaria la quale, pur non avendo carattere statistico, consente di avere una fotografia abbastanza aggiornata dell’agricoltura sociale in Italia, in quanto le aziende stesse che rispondono al questionario vengono inserite nell’elenco e possono essere trovate in base ai criteri suggeriti dal sito.
I numeri parlano di un fenomeno che non si è mai fermato, anzi, si è riorganizzato per sopperire alla crisi dei tradizionali sistemi di supporto sociale anche a favore di nuove fasce di popolazione a rischio di marginalizzazione e alla necessità di trovare metodologie meno medicalizzate di assistenza.
La Legge 141/15 in materia è entrata in vigore dopo che molti governi regionali, autonomamente, avevano cercato di regolamentare le attività di agricoltura sociale. La normativa nazionale prevede che le Regioni modifichino le proprie discipline in base al principio che le esperienze in questo campo si svolgano in maniera strettamente integrata al lavoro delle aziende, per favorire la partecipazione dei soggetti beneficiari e che ogni Regione pubblichi un registro delle imprese legittimate e alla determinazione dei requisiti minimi necessari per l’esercizio delle attività stesse. E tuttavia, nonostante il tentativo di uniformare il settore, la situazione è ancora molto frammentaria. Se infatti alcune Regioni (Toscana, Campania, Abruzzo, Basilicata, Liguria, Molise, Puglia, Lombardia, Veneto e Provincia Autonoma di Bolzano) hanno una legge ad hoc interamente dedicata all’agricoltura sociale, in Calabria, nelle Marche, in Sardegna, nel Lazio, in Friuli Venezia Giulia e nella Provincia Autonoma di Trento le disposizioni sono inserite nel più ampio contesto delle norme sulla produzione biologica, sugli agriturismi e le fattorie didattiche. In Piemonte, quindi, sono stati dedicati alcuni articoli all’interno del Testo Unico sull’Agricoltura, strada che aveva intrapreso anche l’Umbria, prima del Disegno di Legge specifico sull’agricoltura sociale ora in attesa di approvazione definitiva. Si distinguono, inoltre, la Sardegna, per avere incluso nei soggetti accreditati anche le imprese ittiche e gli acquacoltori, e l’Emilia Romagna, che ricomprende la fornitura di servizi di utilità sociale tra le attività agrituristiche, demandando soltanto a questa tipologia di aziende l’esercizio dell’agricoltura sociale. Sempre l’Emilia-Romagna ha approvato quest’anno il terzo bando per l’agricoltura sociale, che coprirà il 60% degli investimenti che le imprese agricole sosterranno per costruire, ristrutturare o ampliare gli immobili destinati ad attività socio-assistenziali ed educative realizzate in convenzione con un ente pubblico.
Solidarietà, lavoro, inclusione e agricoltura: alcuni esempi di agricoltura sociale
Per renderci meglio conto dei frutti che si possono raccogliere facendo agricoltura sociale, caliamoci in esperienze concrete.
Una è diventata parte dell’intera comunità che la accoglie, un’altra ha attraversato un periodo di difficoltà, ma forte della sua storia quarantennale, sta uscendo dalla crisi, infine un progetto nuovo che aggrega diverse aziende agricole con l’obiettivo condiviso dell’inclusione.
Cominciamo dunque il nostro giro da Umbertide, in provincia di Perugia, dove è attivo il Centro Socio Riabilitativo-Educativo Arcobaleno che porta avanti percorsi finalizzati all’inclusione lavorativa delle persone con disabilità grave e a rischio di emarginazione, affiancati dagli educatori della Cooperativa Sociale Asad. Quest’anno è stato festeggiato il primo anno di attività della nuova serra Orti felici, un importante servizio di agricoltura sociale che sorge a pochi passi dal fiume Tevere, in un’area data in concessione dal Comune di Umbertide all’Usl Umbria 1. Si è dato così nuovo impulso ad una realtà che da sempre fa dell’integrazione con il territorio il suo punto di forza. Terreni prima inutilizzati sono diventati il centro della città, i bambini delle scuole la visitano, la frequentano i giovani dei centri estivi, sono nate collaborazioni con aziende e associazioni, è in atto la sperimentazione del Laboratorio Orientamento Giovani Disabili, con progetti individualizzati di accompagnamento al lavoro.
Molte altre, in questo àmbito, sono le iniziative, tutte incentrate sulla terapia orticolturale che, ormai è assodato, favorisce l’acquisizione di abilità, autonomia e competenze, stimola l’interazione e la partecipazione, oltre a consentire l’attività motoria.
Troviamo ad esempio il progetto Imparo l’orto, realizzato in collaborazione con la Cooperativa Il Nido dei Pettirossi, che prevede un percorso di formazione in orticoltura per un gruppo di sei giovani con disabilità. Gli ortaggi coltivati nell’orto e nella nuova serra, vengono venduti ogni sabato mattina al mercato dai ragazzi e dalle ragazze del Centro Arcobaleno, affiancati dagli operatori del Mercato della Terra; si prevede inoltre di lanciare la consegna a domicilio dei prodotti.
Tanto si fa anche per educare le nuove generazioni alla “diversità”, tra le iniziative condivise con gli istituti scolastici spicca infatti il progetto PRE.DI.SPO.N.E (acronimo che sta per Preveniamo le Dipendenze con lo Sport, la Natura E la cittadinanza attiva), organizzato dalla FIPSAS (Federazione Italiana Pesca Sportiva e Attività Subacquee), finalizzato alla prevenzione delle dipendenze che interessano l’età giovanile, che ha coinvolto circa 400 alunni delle scuole primarie, e anche Adotta una piantina, grazie al quale i bambini della Scuola Di Vittorio di Umbertide e le persone con disabilità del Centro hanno lavorato insieme per piantare piccole piante grasse poi messe in vendita, con il ricavato donato all’Unicef per i bambini ucraini.
E non va nemmeno dimenticato l’impegno nella cura e manutenzione del parco giochi adiacente la serra e la collaborazione con il bar della zona che realizza le pietanze da servire ai clienti proprio con i prodotti coltivati dalle persone con disabilità.
Infine, l’azienda di Umbertide vuole diventare un luogo di custodia di sementi rare e a tale scopo sono in fase di costituzione collaborazioni per piantare nell’orto specie in via di estinzione, così da poterle mantenere in vita e moltiplicare. Chiunque può frequentare questo spazio verde che è stato restituito alla collettività con una programmazione sociale attenta ai bisogni di tutti: sono stati infatti allestiti un sentiero ciclabile lungo il fiume, un’area giochi per i bambini e una fitness per gli adulti.
Grande e meritata è stata la soddisfazione, quando quest’anno il progetto Orti felici è stato insignito del Premio Nazionale Inclusion 4.0, promosso dal Learning Science Hub del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Foggia.
Restiamo ora in Centro Italia e spostiamoci a Grottaferrata, vicino alla capitale, dove dal 1978 l’Azienda Agricola Sociale Capodarco si impegna quotidianamente mettendo in risalto la centralità della persona che vive in condizione di svantaggio e il rispetto dell’ambiente.
Si tratta di una delle esperienze più longeve in Italia e una delle prime in Europa, nata negli anni pionieristici di cui si parlava all’inizio, un punto di riferimento nella formazione e nel sostegno di persone con fragilità, se è vero che nei suoi spazi in centinaia hanno avviato percorsi di formazione ed autonomia.
Di recente Agricoltura Capodarco ha vissuto un periodo difficile in cui la sua sopravvivenza è stata in bilico. Passato il timore di perdere questa esperienza, grazie anche alla mobilitazione popolare che ha dimostrato l’attaccamento ad un’impresa radicata nel territorio, si è potuto ricominciare l’attività.
L’azienda lavora con persone con disabilità, migranti, richiedenti asilo e rifugiati che offrono i loro prodotti rigorosamente biologici negli agrishop di Grottaferrata e Tenuta della Mistica, due sedi nelle quali sono aperti anche i ristoranti, circondate da tre ettari di terreni coltivati cui si aggiungono altri quaranta ettari nelle campagne romane vicino a Frascati, una casa famiglia, i laboratori per la trasformazione dei prodotti, un orto e un vivaio.
Nella Tenuta della Mistica, dove vi è anche un giardino aperto alla città e orti didattici per le scuole, si svolge il laboratorio sociale nato dalla collaborazione con il Municipio V di Roma (ex VII) e dei suoi servizi sociali. Il progetto prevede il graduale inserimento nel contesto produttivo aziendale di giovani con disabilità mentali che hanno conseguito la licenza media inferiore. Seguiti costantemente da due operatori, possono acquisire competenze sia attraverso lezioni teoriche che pratiche, ricevendo un compenso per il proprio impegno settimanale.
, un’iniziativa che dal 2008, in stretta collaborazione con il Dipartimento di Salute Mentale del Comune di Frascati, dà la possibilità a persone con disabilità psichica e mentale medio-grave di lavorare in ambito florivivaistico. Prendersi cura degli organismi viventi, l’osservazione della natura nelle sue forme e colori consentono di accrescere l’autostima nel rapporto con gli altri e con se stessi. I giovani frequentano l’azienda cinque giorni a settimana, pranzano insieme e, oltre a lavorare nella serra, realizzano su richiesta decorazioni e addobbi per gli eventi che si svolgono nel ristorante di Grottaferrata. Dal mese di marzo di quest’anno si è inoltre rafforzata la vocazione ambientalista dell’azienda con la messa a dimora di 120 piante appartenenti a specie mellifere e cespugliose, selezionate per attrarre e proteggere le diverse specie di insetti impollinatori, quali api, farfalle e bombi dal cui prezioso lavoro dipende la conservazione del patrimonio di biodiversità. Il terreno idoneo, venti ettari gestiti da Agricoltura Capodarco, è stato individuato nei pressi dell’Appia Antica.
L’OrtoFrutteto è stato invece realizzato dai ragazzi e dalle ragazze del Progetto Custodi di Comunità, giovani tra i 18 e i 29 anni in condizione di disagio economico o sociale (giovani con disabilità, NEET, acronimo di Not in Education, Employement or Training, ovvero giovani che non studiano, non frequentano corsi di formazione e non lavorano, e BES, Bisogni Educativi Speciali), che hanno affrontato dapprima un percorso di formazione incentrato sull’agricoltura e in seguito hanno iniziato tirocini lavorativi. Un percorso di crescita personale, un’esperienza vissuta con il massimo impegno che hanno raccontato il 4 luglio scorso a Roma, in occasione del secondo seminario regionale Agricoltura Sociale e inserimento lavorativo.
Chiudiamo il nostro giro con un’esperienza che aggrega diverse aziende agricole. È una riuscita idea che si è svolta in Liguria, teatro dall’agosto 2020 al marzo 2023 del progetto Il Sale della Terra al quale hanno lavorato 19 enti, 40 addetti e 10 volontari.
Cinquanta persone segnalate dai servizi socio-sanitari del Genovese, giovani, disoccupati, persone con disabilità e migranti residenti sul territorio vicino al Ponte Morandi, hanno seguito trenta percorsi di inclusione lavorativa in undici imprese agricole in Valpolcevera e Valle Scrivia, sperimentando essi stessi all’interno di un contesto inclusivo.
Il progetto è stato condotto in alleanza con alcune Cooperative (CEIS Genova, Coserco, Cisef, Isforcoop, Confcooperative, Futuro Anteriore), supportate dai Comuni di Genova, Serra Riccò e Busalla e finanziato dalla Regione Liguria. Sono stati riqualificati e messi a produzione terreni incolti, offrendo servizi di reinserimento alla popolazione più fragile e sostegno all’agricoltura in territori ad alto rischio di abbandono.
Torna il discorso iniziale della connessione tra il settore agricolo e quello sociale che realizza una funzione soltanto apparentemente secondaria, ma non scontata, che il lavoro della terra aveva già nella società rurale, ovvero quella della solidarietà, dell’integrazione e della valorizzazione della dimensione relazionale. Quello dell’agricoltura sociale è un modello della società che vorremmo, aperta al dialogo e pronta a far emergere le risorse più nascoste. È un potenziale enorme che serba in sé la capacità di coniugare il valore non monetizzabile e fondamentale dell’accoglienza con il rispetto dell’ambiente.