Se si pensa all’autonomia delle persone con disabilità probabilmente le prime cose che vengono in mente sono gli ausili e le protesi o le barriere architettoniche, meno immediato, invece, è cogliere le difficoltà che esse possono incontrare nel trovare vestiti adeguati a corpi che talvolta non rientrano negli standard utilizzati dalle aziende di abbigliamento.
C’è una questione di accessibilità e vestibilità (riuscire ad indossare i diversi capi non è solo un problema di taglia), di comodità (se, ad esempio, le cuciture sono poste nella seduta, e la persona sta seduta tutto il giorno, un capo può diventare uno strumento di tortura), di autonomia (chi non ha movimenti fini, ad esempio, potrebbe non riuscire ad infilare da solo/a un bottone in un’asola, ma potrebbe cavarsela alla grande con un feltrino), di estetica (anche le persone con disabilità amano le cose belle e dovrebbero potersi vestire in modo adeguato all’età ed alle diverse occasioni, ad esempio, vestire eleganti ad una cerimonia, o sportivi ad una partita di calcio).
Un vecchio detto dice che «l’abito non fa il monaco», a significare che le persone non andrebbero valutate dalle apparenze, ed è certamente vero, ma il modo di vestire continua ad essere il primo biglietto da visita di ciascuno e ciascuna, dunque ogni persona dovrebbe poter avere la possibilità di scegliere come presentarsi e cosa raccontare di sé. Ma questo non è possibile, se nel mercato non si trova un’offerta di questo tipo.
Ultimamente l’attenzione a questi temi sembra essere notevolmente cresciuta. Ben sapendo che è nella pluralità dell’offerta che inclusione e democrazia trovano il modo di incontrarsi, segnaliamo dunque qualche iniziativa che abbiamo trovato in rete.
Lydda Wear è un’azienda con sede a Terrassa Padovana (Padova) ideata e fondata dall’imprenditore e stilista Pier Giorgio Silvestrin [se ne legga già anche sulle nostre pagine, N.d.R.]. Essendo subentrato nella sartoria del padre, Silvestrin già agli inizi degli Anni Novanta provò ad industrializzare gli abiti che i suoi genitori confezionavano sartorialmente per il fratello con paraplegia. Nel 1993, assieme alla moglie Cathia, realizzò una piccola collezione di abiti accessibili, e successivamente, nel 1997, mise online il primo sito web dell’azienda che è ancora sul mercato.
Nel 2009 Izzy Camilleri, un’affermata stilista canadese, lancia la linea IZ Adaptive. L’idea di creare una linea di abbigliamento per persone con disabilità le venne dopo avere confezionato per diversi anni abiti personalizzati per un cliente che, a causa di una paralisi, utilizzava la sedia a rotelle. Riflettendo sulla circostanza che questo cliente non fosse l’unico con questo tipo di necessità, ha iniziato a progettare capi alla moda e funzionali. All’inizio della pandemia, la sua casa ha anche creato e brevettato il Seamless Back Pant (pantaloni senza cuciture nella parte posteriore), che aiuta a ridurre il rischio di piaghe da decubito potenzialmente letali.
Nel 2016 Tommy Hilfiger, uno stilista statunitense con dei figli autistici, lancia negli Stati Uniti Adaptive, una collezione di abiti studiati nelle linee e nei dettagli per agevolare i movimenti di persone con specifiche esigenze di mobilità, o che fanno uso della sedia a rotelle o delle protesi [se ne legga già anche sulle nostre pagine, N.d.R.].
Inizialmente pensata per bambini, nel 2017 viene estesa anche agli adulti, e nel 2020 approda in Europa, Giappone e Australia. «I capi hanno la stessa qualità, lo stesso tessuto e lo stesso design che offriamo in tutte le altre collezioni. Gli adattamenti sono discreti, con modifiche davvero funzionali che permettono ad adulti e bambini con disabilità di vestirsi facilmente, essere indipendenti e sentirsi a proprio agio», ha dichiarato Hilfiger. Tra gli adattamenti vi è l’impiego di chiusure magnetiche e zip con cursori più grandi, aperture laterali per le persone con mobilità limitata, ma anche orli regolabili e fondi dei pantaloni larghi per chi usa tutori e protesi, oppure pantaloni con la vita più bassa nella parte anteriore per le persone in sedia a rotelle.
Si chiama Adaptive anche la linea di abbigliamento lanciata per la prima volta in occasione della Milano Fashion Week 2022 da Iulia Barton, il brand inclusivo nato in Italia nel 2016 per iniziativa di Giulia Bartoccioni [se ne legga già anche sulle nostre pagine, N.d.R.].
In questo caso l’adattabilità si spinge sino a superare le differenze stagionali e di genere, e ad includere persone con e senza disabilità, nel rispetto dell’ambiente. «La disabilità mi riguarda da vicino. Mio fratello anni fa ha avuto un grave incidente e si trova su una carrozzina – ha dichiarato Bartoccioni alla rivista “Luce!” –. Da molto tempo mi occupo di inclusione. Purtroppo la moda non è accessibile a tutti e i disabili affrontano problemi nel vestirsi quotidianamente. Ecco perché ho sentito l’esigenza di realizzare una collezione realmente inclusiva, che tenesse conto di tutte le forme di diversità. Con Adaptive ho voluto creare una serie di capi di abbigliamento comodi, unisex, adatti tanto alle persone con disabilità che a quelle normodotate».
«Fino ad oggi ci siamo adattati. Ora la moda si adatta a noi», è invece lo slogan di D-Different, linea di abbigliamento promossa da Di.Di. Diversamente Disabili, Associazione con sede ad Anguillara Sabazia (Roma), nata per avvicinare le persone con disabilità al motociclismo – e le cui iniziative in tale àmbito sono puntualmente seguite anche da «Superando.it» -, ma che poi ha allargato i propri orizzonti. «Volevamo guidare la moto, l’abbiamo adattata alle nostre esigenze. Volevamo vestirci alla moda, abbiamo creato una linea di abbigliamento fashion e comoda», raccontano nel loro sito reinterpretando il binomio sport-moda prevalentemente in chiave maschile. E anche qui sono i dettagli a fare la differenza: felpe divisibili, pantaloni con chiusure laterali invisibili, tailleur per chi utilizza la sedia a rotelle, cerniere a calamita, bottoni magnetici, uso di materiali riciclati.
Interessante è anche l’iniziativa di Maurizia Lorenzetti, studentessa con disabilità motoria della Facoltà di Storia della Moda all’Università La Sapienza di Roma. Avendo lei per prima sperimentato delle difficoltà a trovare abiti comodi e che la valorizzassero, con l’aiuto della madre ha progettato e brevettato un kimono ispirato ad Apollo e Dafne, la scultura di Gianlorenzo Bernini che ritrae Dafne nel momento della sua trasformazione in alloro per sfuggire alle insidie di Apollo. La creazione di Lorenzetti si chiama, appunto, Metamorfosi.
La caratteristica che contraddistingue il capo, e che è stata brevettata come modello di utilità presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, è una particolare chiusura in velcro, la cui versatilità consente di attaccare e staccare i lembi di tessuto adattandosi facilmente a qualsiasi corporatura, e di rimanere invisibile. La scelta creativa di Lorenzetti si è orientata sul kimono perché la sua forma quadrata permette di allungarlo o accorciarlo a piacimento, nonché di essere indossato in modo più fasciante o più morbido. Ogni capo è unico ed è stato dipinto a mano con colori naturali dal pittore Mauro Romano. «Il suo scopo per il momento non è commerciale, Lorenzetti punta a una mostra che spieghi l’intero processo produttivo, dal cartamodello, alla prova in tela, al figurino per arrivare agli abiti, a suo parere “delle vere e proprie opere di arte moderna”», come si può leggere in un articolo pubblicato su «L’Espresso».
Silvia Barbieri Selva, 26 anni, specializzata in Design della Moda all’Accademia di Napoli, residente a Mercogliano (Avellino), non vive la disabilità in prima persona, e la scelta di occuparsi di abbigliamento inclusivo scaturisce dalla sua amicizia con Gerardo, una persona con distrofia muscolare di Duchenne. «Il mio progetto è focalizzato su di lui che, non potendo muovere braccia e gambe, aveva davvero grandi difficoltà a vestirsi e svestirsi, e soprattutto i suoi genitori che dovevano aiutarlo», ha raccontato alla rivista «Luce!». «Gerardo non poteva muovere le braccia senza provare dolore, quindi da almeno sette anni non era più riuscito a indossare una camicia, vista l’impossibilità di infilare le braccia nelle maniche. E per di più è stato costretto a laurearsi in tuta da ginnastica», ha spiegato Barbieri.
Facendosi carico di questa istanza, Barbieri ha dunque ideato una collezione maschile, basandosi sullo studio di una nuova modellistica sperimentale adattiva ideata da lei stessa. La collezione si compone di capi eleganti e casual, compresa una camicia con aperture nascoste e zip invisibili che può essere indossata senza alzare le braccia.
La stessa Barbieri ha partecipato al concorso Italian Fashion Talent Awards di Salerno, ha vinto il premio Livia Gregoretti Showroom, ha esposto la sua Adaptive Collection in occasione della Milano Fashion Week 2022 e grazie al riconoscimento del CIP (Comitato Italiano Paralimpico), ha potuto fare indossare i suoi capi ad alcuni dei ragazzi che hanno partecipato alle scorse Paralimpiadi.
In questa carrellata non può mancare la recente iniziativa intrapresa da Zalando, la società tedesca di commercio elettronico con sede a Berlino, che ha inaugurato una sezione dedicata alla moda adattiva per donna, uomo e bambino/a nel quale capi e accessori sono indossati da persone con differenti disabilità. Anche in questo caso le parole chiave sono comfort, facilità nell’utilizzo e nell’assecondare i movimenti, adattabilità, colore.
Che aggiungere altro? Nel 2018 la UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) ha promosso Diritto all’eleganza, un progetto di cui si può leggere ampiamente anche su queste pagine, che ha coinvolto studenti e docenti di tredici Istituti Superiori e Accademie a indirizzo Moda in tutta Italia nella progettazione e nella realizzazione di abiti in base alle esigenze di vestibilità di persone in carrozzina, modificati nel taglio e in accorgimenti quali chiusure facilitate per agevolare chi li indossa e consentire la massima autonomia anche a chi ha limitazioni motorie.
Ventitré outfit indossati da modelli e modelle con disabilità hanno sfilato alla Torino Fashion Week 2022. Fa piacere constatare che l’importante messaggio non sia rimasto confinato nel mondo dell’associazionismo di settore.