Bella come tutte le belle storie d’amore, ma in questo caso con caratteristiche che la rendono unica per i suoi protagonisti e l’ambiente da cui provengono.
Lei in abito bianco, lui elegantissimo, entrambi raggianti, Mary e Alex sono due persone con disabilità intellettiva che vivono in Kenya. Si sono conosciuti nelle due comunità-alloggio dell’Arche, nell’àmbito di un ampio contesto solidale chiamato St. Martin a Nyahururu, una località di montagna a circa 200 chilometri da Nairobi, dove come avviene in altre (ancora troppe) parti del mondo, la disabilità è circondata da credenze, tabù e relativi stigmi sociali. Il pregiudizio influenza in maniera determinante la vita delle persone con disabilità che rappresentano il 4,6% della popolazione del Kenya, numero che aumenta se si prendono in considerazione anche le baraccopoli.
In quel Paese, e in generale nel continente africano, si pensa che avere un figlio con disabilità sia il segno di una punizione divina, molti bambini considerati “diversi” vengono abbandonati e finiscono per diventare vittime di violenza sessuale, sfruttati come mendicanti e nutriti non adeguatamente, peggiorando in questo modo la loro salute. Chi raggiunge l’età adulta non ha accesso alle prestazioni sanitarie, alla scuola e al lavoro; la breve aspettativa di vita del Paese, appena 56 anni, per loro si abbassa ulteriormente. Eppure, come sempre, più le persone entrano in contatto con la disabilità, più si fanno strada la consapevolezza e la comprensione.
La storia di Mary e Alex lo dimostra, perché è nata in un luogo, St. Martin, dove gli abitanti dell’intera zona sono artefici di un’esperienza che valorizza il ruolo di tutti all’interno della comunità, è la comunità stessa che si fa carico delle “categorie” più vulnerabili, basandosi sullo spirito di condivisione.
In questo àmbito sono nate le due Arche che ospitano 25 persone di cui 12 con disabilità. Educatori e volontari di ogni età ed estrazione sociale organizzano programmi specifici per tutti coloro che in quella zona vivono situazioni di svantaggio o di povertà estrema tra cui ragazzi di strada, persone con dipendenze da alcol o droghe e malati di AIDS.
Il St. Martin è sorto nel 1997 dall’incontro casuale del missionario di Padova don Gabriele Pipinato con una persona con disabilità, tenuta nascosta e oggetto di superstizione. Il lavoro di questi anni ha permesso un cambio culturale positivo e oggi coloro che erano costretti ad un’esistenza priva di diritti contribuiscono anche all’economia locale grazie alla vendita degli oggetti di artigianato realizzati nel laboratorio interno al centro.
Marilena Rubaltelli, psicologa vicina alla Fondazione Fontana che nella sua città, Padova, sostiene progetti di cooperazione internazionale tra cui il St. Martin, ci porta qui di seguito la testimonianza di due giovani che, con la forza del loro amore e il supporto di un’intera comunità, mostrano meglio di tante parole quanto sia semplice andare oltre gli stereotipi, basta mettersi in ascolto.
«In Kenya, Mary e Alex, una coppia con disabilità intellettiva, hanno scoperto di amarsi e voler creare una propria famiglia.
Nel territorio del St. Martin vengono affrontate varie fragilità con l’aiuto di personale competente. Tutto ciò viene sostenuto in particolare dalla Fondazione Fontana che risiede in Veneto, ma è la volontà degli abitanti che crea il contesto solidale e mette in atto i modi migliori per risolvere i diversi problemi, usando come fondamento l’amore e la condivisione.
Per tornare a Mary e Alex, va detto che hanno espresso ai genitori il desiderio di formare una famiglia e questi, dopo un periodo di elaborazione, lo hanno accolto.
In Kenya, il governo proibisce il matrimonio tra persone con disabilità, ma ciò non ha scoraggiato i futuri sposi: hanno voluto una cerimonia religiosa.
Il primo passo è stato la consegna della dote di Mary alla famiglia di Alex, poi i genitori hanno fissato la data del matrimonio, il 27 novembre 2022, nella chiesa parrocchiale della sposa.
In una settimana, con l’aiuto degli amici, hanno raccolto i beni alimentari sufficienti per il rinfresco cui avrebbero partecipato oltre 500 invitati.
I due luoghi più “in” di Nyahururu, il Thomson Falls Lodge e il Nyahururu Panari Resort, hanno offerto gratuitamente i loro meravigliosi spazi per la realizzazione dei festeggiamenti che in quella cultura sono molto importanti e durano tanto tempo. Il servizio fotografico è stato regalato da due società professionali di Nairobi. Altri hanno concesso i loro servizi a un costo ridotto: le decorazioni della location, i servizi di catering, il maestro di cerimonia, ecc. Sono stati prestati anche i veicoli 4×4 di alta gamma per trasportare gli sposi ai luoghi del matrimonio e della festa.
Questo è un esempio di grande collaborazione e solidarietà, di vera integrazione!
Marilena Rubaltelli».
Ma perché il matrimonio di Mary e Alex fa notizia? Non si è ancora affermata, nemmeno da noi, l’idea che delle persone con disabilità, ancor più quella intellettiva, possano avere una vita affettiva e costruire relazioni durature. Questi amori sono considerati “giochi da bambini”, un pensiero frutto della mentalità che vede donne e uomini con disabilità come “angeli asessuati”. Eppure esistono abusi e sfruttamento anche in tale realtà, oltre alla diffusa discriminazione.
Storie come questa del matrimonio in Kenya sono frutto di percorsi di determinazione di sé nei quali i protagonisti stessi superano resistenze e timori propri della cultura in cui sono cresciuti.
In tali eventi, i familiari dovrebbero accompagnarli nel cammino verso l’autonomia, rielaborando la convinzione che i loro cari con disabilità non possano costruire un futuro all’esterno del nucleo d’origine. La società, pure, dovrebbe fornire strumenti e supporti, cambiando la propria visione della disabilità e accogliendo la possibilità di vivere un’affettività e una sessualità piene.
Aspettiamo il giorno in cui non faranno più notizia le scelte come quella di Mary e Alex, in Kenya e in ogni altro Paese del mondo.