Non è un problema di “politicamente corretto”, bensì di “abilismo”

di Simona Lancioni*
Con le riflessioni di Simona Lancioni, concludiamo, almeno per il momento, la pubblicazione delle opinioni sugli articoli pubblicati all’inizio di questo mese dalla giornalista Concita De Gregorio (“Il valore di un selfie” e “La morte del contesto”) e sulle tante prese di posizione da essi suscitate. «Il problema di quegli articoli - scrive tra l’altro Lancioni - non è né la “morte del contesto” e neppure il “politicamente corretto”, il problema è quella costruzione logica e sintattica ben articolata e studiata per affermare che “le persone con disabilità intellettiva valgono meno”»
Piramide dell'abilismo (Linkabili.it)
Una rappresentazione grafica della cosiddetta “piramide dell’abilismo”, curata dal portale “Linkabili.it”

Con le riflessioni di Simona Lancioni, concludiamo, almeno per il momento, la pubblicazione delle opinioni sugli articoli pubblicati all’inizio di questo mese dalla giornalista Concita De Gregorio (Il valore di un selfie e La morte del contesto) e sulle tante prese di posizione da essi suscitate (si veda alla colonnina qui a fianco, degli Articoli correlati, l’elenco dei contributi da noi pubblicati su tale tema).

Avevamo commentato “a caldo” l’articolo Il valore di un selfie , pubblicato dalla giornalista Concita De Gregorio, che aveva utilizzato termini afferenti all’area semantica della disabilità intellettiva per insultare gli autori di un atto vandalico.
Avremmo potuto derubricare l’episodio ad un semplice errore formale se De Gregorio si fosse limitata ad apostrofare in malo modo i vandali in questione. Invece di chiamarli criminali, quali sono, avrebbe potuto chiamarli stronzi, che non è elegante, ma è insultante, e insultare i vandali era infatti la finalità di tutto il primo paragrafo del suo articolo (e qui ci sarebbe qualcosa da dire sulla scelta di confrontarsi insultando, ma non è questo il tema di questa riflessione); avrebbe potuto anche sfuggirle un cretini, che non va bene, perché richiama una condizione di disabilità che è ancora soggetta allo stigma sociale, ma poiché tutti commettiamo errori, pur non gradendo la cosa, difficilmente le persone con disabilità e i loro familiari si sarebbero scomodati a protestare (mica si può stare dietro a tutto il pressapochismo dei media).
Ma De Gregorio nel suo testo non ha fatto solo questo. Si è infatti applicata per scegliere ben cinque espressioni diverse dell’area della disabilità intellettiva e le ha usate come insulto, ha evocato le scuole differenziali come se fosse auspicabile che chi ha una disabilità debba vivere segregato, ha strumentalmente usato la presenza dell’insegnante di sostegno quale indicatore che sancisce l’inferiorità delle persone che di quel sostegno si avvalgono e ha assemblato il tutto con espressioni paternalistiche e pietistiche.
Dunque non si tratta di una semplice questione formale – un’unica parola infelice sarebbe stata una semplice questione formale –, qui abbiamo una costruzione logica e sintattica ben articolata e studiata per affermare che “le persone con disabilità intellettiva valgono meno” ed è questo che ferisce, è questo che insulta. Ferisce e insulta perché con questo stigma le persone con disabilità – e soprattutto quelle con disabilità intellettiva – ci combattono ogni giorno.

Questa premessa è doverosa perché, prendendo atto delle tante proteste ricevute dai familiari di persone con disabilità intellettiva e Associazioni, De Gregorio ha ritenuto di rispondere con il testo intitolato La morte del contesto nel quale si scusa se alcune persone si sono sentite offese: «Hanno ragione – scrive –. Cerebrolesi non è un insulto ma una condizione, mi hanno scritto. Completamente d’accordo. Chiedo sommessamente scusa. Avrei dovuto fare appello a un altro vocabolario perché di sicuro c’è una parola che ben definisce chi per fotografarsi davanti a un capolavoro (statue, quadri, bellezze naturali) provoca danni irreversibili. Ma non è una di quelle che ho usato. Chiedo dunque scusa, sinceramente, e convengo: i cerebrolesi sono persone meravigliose afflitte da un danno» (grassetti nostri nella citazione).
Ma si tratta di scuse solo formali, infatti, pur volendo sorvolare su alcune espressioni usate nel testo (quali «gruppo di idioti», «persone con handicap», «i cerebrolesi», «persone afflitte») che confermano la totale incompetenza della giornalista in materia di disabilità, tutto il resto dell’articolo è passato a parlare di «morte del contesto» e «linguaggio politicamente corretto». Insomma, per De Gregorio, si è sentito/a offeso/a chi non ha saputo leggere il contesto, chi argomenta sulla scorrettezza formale senza cogliere i contenuti. Dunque cita alcuni esempi paradossali di applicazione del politicamente corretto.

Ovviamente prendiamo atto delle scuse formali, ma anche del fatto che le argomentazioni avanzate dalle persone con disabilità e dalle loro Associazioni rappresentative non hanno minimamente indotto De Gregorio ad interrogarsi sull’abilismo che trasuda dalle sue parole ogni volta che, maldestramente, prova a trattare di disabilità.
Dunque no, De Gregorio, il problema non è né la “morte del contesto” e neppure il “politicamente corretto”, come lei vorrebbe farci credere, il problema è quella costruzione logica e sintattica ben articolata e studiata per affermare che “le persone con disabilità intellettiva valgono meno”. Il problema è il suo abilismo, che è vivo e vegeto. Quell’abilismo che lei non riesce a cogliere nemmeno quando qualcuno/a – senza rispondere ai suoi insulti con altri insulti – glielo fa notare.

Responsabile di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa), nel cui sito il presente contributo di riflessione è già apparso. Viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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