Il 7 agosto scorso l’ISTAT ha pubblicato il rapporto di ricerca denominato Sistema di protezione per le donne vittime di violenza relativo agli anni 2021 e 2022. Il testo integrale è disponibile a questo link, mentre a questi altri link sono pubblicate le Tavole con i dati sulle Case rifugio (anno 2021), sui Centri antiviolenza (anno 2021) e sul Numero Antiviolenza 1522 (anno 2022).
Il rapporto ci dice che sono 373 i Centri antiviolenza (d’ora in poi generalmente CAV) e 431 le Case rifugio presenti nel nostro Paese, un dato in aumento rispetto agli anni precedenti, così come è in aumento la loro utenza. Sono invece 34.500 le donne che si sono rivolte ai CAV e 21.252 di queste ha figli (il 61,6% del totale).
Per una sintesi dei risultati dell’indagine rimandiamo alla scheda riassuntiva pubblicata nel sito dell’ISTAT (a questo link), mentre dedichiamo questo approfondimento a verificare se e in quale modo siano state prese in considerazione la donne con disabilità vittime di violenza e le loro specifiche esigenze, perché, come abbiamo avuto occasione di chiarire innumerevoli volte, senza una rilevazione dei dati disaggregati anche per la disabilità della vittima non si può descrivere compiutamente il fenomeno della violenza che esse subiscono, né fare prevenzione, né predisporre politiche e servizi adeguati alle loro caratteristiche ed esigenze.
Riferimenti alla disabilità nel rapporto di ricerca
Nel testo del rapporto le donne con disabilità sono citate una sola volta in relazione all’attività di formazione svolta dai Centri antiviolenza. In esso è specificato che tra gli argomenti trattati meno frequentemente nei corsi in questione vi sono quelli «sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (68,3%), sull’accoglienza delle donne migranti (58,2%), sull’accoglienza delle donne con disabilità (30,9%)» (pagina 11).
In sostanza l’accoglienza delle donne con disabilità, pur essendo presente, è il tema meno trattato di tutti. Mentre non risulta che tale argomento venga considerato nella formazione del personale delle Case rifugio.
In riferimento all’utenza dei servizi generali (distinti da quelli specializzati come il citato Numero 1522, o da quelli erogati da altri professionisti/e) sono citate le «donne con una fragilità sociale o psicofisica» (pagina 3), ma tale espressione si riferisce a donne con titoli di studio bassi e senza autonomia economica, nonché a donne straniere.
Genere, età e nazionalità delle vittime sono sempre rilevate, la disabilità no, e neppure figurano le peculiari forme di violenza subite dalle persone con disabilità (ad esempio l’uso improprio dei farmaci, diverse forme di coercizione riproduttiva ecc.). «Nel 2022 le vittime segnalate al 1522 sono donne nel 97,7% dei casi (11.632 sul totale delle 11.909 vittime). Il 38,3% ha un’età compresa tra i 35 e i 54 anni e il 15,7% tra i 25 e i 34 anni. Nell’80,9% dei casi sono italiane e nel 53% dei casi hanno figli. La violenza riportata è soprattutto la violenza psicologica (9.048, 77,8%), seguita dalle minacce (6.342, 54,5%) e dalla violenza fisica (6.083, 52,3%). Nel 66,9% dei casi vengono segnalate più tipologie di violenze subite dalle vittime. La violenza riportata alle operatrici del 1522 è soprattutto una violenza nella coppia: il 50% da partner attuali, il 19% da ex partner e lo 0,7% da partner occasionali», è scritto a pagina 6.
Per quel che riguarda la discriminazione multipla, quella che scaturisce da più fattori discriminanti, gli unici soggetti considerati sono le donne immigrate/straniere. Esse, ad esempio, sono citate tra le utenze dei CAV (al 31 dicembre 2021 «le donne straniere in un percorso di uscita dalla violenza erano 9.998 e quelle con figli 21.252, pari al 61,6% del totale. Di queste, 14.307 donne avevano figli minorenni», si legge a pagina 9), e delle Case rifugio («Sono 2.423 le donne che hanno trovato ospitalità nelle Case rifugio durante l’anno. In oltre la metà dei casi (62,5%, ossia 1.515 donne) si tratta di donne straniere», è scritto sempre a pagina 9).
Balza inoltre agli occhi come tra le figure professionali coinvolte nei servizi antiviolenza vi sia quella delle mediatrici culturali, mentre non risultano figure professionali specifiche a supporto delle donne con disabilità (ad esempio, le interpreti della lingua dei segni). Intendiamoci, il tema, ovviamente, non è quello di levare i riferimenti alle donne immigrate/straniere, ma di aggiungere quelli relativi alle donne con disabilità.
Riferimenti alla disabilità nelle Tavole sulle Case rifugio
Le Tavole 16 e 17 sono dedicate alle Case rifugio che hanno adottato criteri di esclusione dall’accoglienza delle ospiti (la prima fornisce i valori assoluti, la seconda i valori percentuali). Ebbene, le Case rifugio che hanno adottato tali criteri sono 317. L’81,9% (276 in valori assoluti) non accoglie donne soggette ad abuso di sostanze e dipendenze, ma al secondo posto di questa terrificante classifica discriminatoria – con una percentuale dell’80,7%, corrispondente a 272 Case rifugio – ci sono le donne con disagio psichiatrico, seguite dalle donne senza fissa dimora (240), da quelle vittime di tratta e prostituzione (125), da quelle prive di uno specifico status giuridico (70), da quelle agli ultimi mesi di gravidanza (67) e da quelle respinte sulla base di altri criteri di esclusione (34). I criteri di esclusione dall’accoglienza sono applicati da 207 (61,4%) Case rifugio anche in relazione all’età e al genere dei figli/figlie delle ospiti (Tavola 18).
La Tavola 21 rileva poi la presenza in 170 Case rifugio (50,4%) di misure per il superamento delle barriere architettoniche (dati relativi all’anno 2021), e la loro assenza in 167 (49,6%) di esse. La Tavola fornisce anche la distribuzione geografica, ma non entra nel merito delle misure in questione. Per cui se, ad esempio, una Casa rifugio avesse posizionato una rampa all’ingresso per consentire l’accesso ad una donna in sedia a rotelle, ma non disponesse di un bagno accessibile, tale struttura rientrerebbe nel novero delle 170 Case rifugio virtuose, pur non essendo in grado di ospitare donne con disabilità che necessitano di bagni adeguati a chi usa la sedia a rotelle per spostarsi.
Dalla Tavola 23 rileviamo che 309 Case rifugio (pari al 95,6%) si sono dotate di una carta dei servizi, ma non è rilevata l’accessibilità delle informazioni.
Riferimenti alla disabilità nelle Tavole sui Centri antiviolenza
La Tavola 13 contiene la distribuzione dei valori percentuali dei Centri antiviolenza che hanno adottato misure di abbattimento delle barriere architettoniche: essi sono il 76,2% del totale (i dati sono disaggregati anche per Regione e per macroaree). Riguardo all’accessibilità dei CAV si possono fare le stesse osservazioni espresse pocanzi per l’accessibilità delle Case rifugio.
Le Tavole 26 e 27 riguardano l’applicazione di una metodologia di valutazione del rischio da parte dei CAV. E tuttavia non ci risulta che gli strumenti adottati sino ad oggi tengano conto delle caratteristiche delle donne con diverse disabilità. Una donna non autosufficiente, ad esempio, ha oggettivamente minori possibilità di sottrarsi alla violenza rispetto a una donna senza disabilità, ma tali strumenti non sono predisposti per rilevare e ponderare tale dato. È attualmente in corso un progetto di adeguamento di tale strumentazione (se ne legga su queste stesse pagine), ma rimane il fatto che né l’Istituto, né la politica si siano posti tale questione.
La Tavola 36 riporta la distribuzione delle tematiche affrontate durante la formazione del personale nell’anno 2021, da cui risulta, come già accennato, che il tema dell’accoglienza delle donne con disabilità, con una percentuale del 30,9%, è l’ultimo tra quelli trattati.
Riferimenti alla disabilità nelle Tavole sul Numero Antiviolenza e Stalking 1522
Nelle Tavole 4 e 5 sono presenti due riferimenti indiretti al tema della disabilità. Esse riguardano le utenti che sono state trasferite ad altro servizio per differenti motivi. Ebbene, tra i servizi di invio figura anche la sigla DSM, che dovrebbe riferirsi ai Dipartimenti di Salute Mentale.
Considerazioni conclusive
Rispetto alla Mappatura dei Centri antiviolenza italiani, aggiornata ad aprile 2023 dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio (disponibile a questo link), che non contiene nessuna informazione sull’accessibilità delle strutture mappate (si veda a tal proposito anche l’approfondimento presente su queste stesse pagine), qui è presente qualche dato sull’adozione di misure per il superamento delle barriere architettoniche sia nella Case rifugio che nei CAV. Ma, come abbiamo visto, l’adozione di tali misure non ci dice niente sulla reale accessibilità delle strutture in questione.
E poi: non è rilevata la disabilità delle vittime. Non si parla di accessibilità dei servizi propriamente detti, né delle informazioni sugli stessi, né dell’adeguatezza degli strumenti di valutazione del rischio, e infine gli interventi di formazione sulla disabilità rivolti al personale sono minimi. Mentre lascia letteralmente sbalorditi scoprire che l’80,7% delle Case rifugio rifiuta di accogliere donne con disagio psichiatrico, e che sono presenti criteri di esclusione dall’accoglienza anche di altre ospiti con particolari situazioni di fragilità e dei loro figli e figlie, sebbene quasi tutte le Case rifugio ricevano fondi pubblici e contributi degli Enti Locali. Com’è possibile che tali fondi vengano erogati anche in presenza di simili pratiche discriminatorie? E chi accoglie le donne che le Case rifugio si rifiutano di accogliere?
L’ISTAT svolge le sue indagini dietro mandato delle Istituzioni e, lo ribadiamo sino allo sfinimento, senza dati disaggregati per la disabilità non possiamo descrivere in modo chiaro il fenomeno della violenza sulle donne con disabilità, né fare prevenzione e programmazione dei servizi, pur avendo conferma, dai dati ISTAT del 2014, e da una corposa letteratura internazionale, che esse sono esposte a tutte le forme di violenza di genere più delle altre donne, e anche a forme peculiari di violenza legate alla disabilità.
Tutto ciò, va sottolineato con forza, è in palese contrasto con la Convenzione di Istanbul (la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata dall’Italia con la Legge 77/13), che trova nei princìpi di uguaglianza e non discriminazione (articolo 4) le proprie assi portanti. Prova ne sia che nel 2020, il nostro Paese è già stato richiamato per inadempienze su questi aspetti dall’organismo indipendente preposto al monitoraggio sull’attuazione della citata Convenzione.
Questo rapporto dell’ISTAT, dunque, non è altro che un’ulteriore e sconcertante conferma della discriminazione istituzionale/sistemica subita dalle donne con disabilità vittime di violenza.
Si ringrazia Donata Columbro per la segnalazione.
Per approfondire ulteriormente, si faccia riferimento, nel sito del Centro Informare un’h, a: Linee guida per accogliere donne con disabilità vittime di violenza (2022); Dossier – Convenzione di Istanbul e donne con disabilità (2023); Sezione su La violenza nei confronti delle donne con disabilità; Sezione su Donne con disabilità.