La scoperta di un rinnovato guardare oltre ciò che gli occhi trasmettono. Esperienze vissute e non subìte che fanno scoprire la bellezza del mondo e di ognuno di noi, quella bellezza che seguendo l’istinto e con un po’ di “esercizio”, si può comprendere e generare.
È una visione originale e ispiratrice quella trasmessa da Una cieca bellezza. Sguardi, cecità e meraviglie, libro di Elena Malagoli e Filippo Visentin che ci guida oltre la superficie delle cose.
Il presupposto del testo è un’analogia, quella tra lo sguardo consapevole della mindfulness, disciplina insegnata da Elena che consiste nell’imparare a vivere consapevolmente nel momento presente con un atteggiamento aperto, e la condizione di cecità che accompagna Filippo dalla nascita. Entrambe le condizioni esprimono attenzione intensa che permette di scoprire nel profondo le esperienze sensoriali ed emotive, uno sguardo alla portata di tutti, anche di Ilaria, la figlia di Elena, “bambina fiore” con disabilità grave e importanti limitazioni sensoriali, motorie, cognitive e relazionali (La bambina-fiore, Emma Book Edizioni, è anche il titolo del libro che Elena ha scritto nel 2016 dedicandolo alla figlia e raccontando la loro storia con la co-autrice Rossella Calabrò).
Questa comunanza si fa evidente nelle prime pagine, quando Filippo racconta la sua salita sul Cupolone di San Pietro insieme alla compagna. I passi sui ripidi gradini, la sensazione della pietra sotto i piedi che prima di lui era stata calpestata da migliaia di altre persone nei secoli, le mani a sfiorare le pareti, l’odore della storia, la fatica dell’ascesa premiata dall’apertura su un panorama che lui non poteva vedere fisicamente con gli occhi, ma del quale poteva avere una completa percezione attraverso le sue sensazioni e la descrizione della compagna.
Con lo stesso sguardo Elena ci spiega come si può gustare un semplice pomodoro. Cosa può avere in comune con il Cupolone di San Pietro? Moltissimo, se prima di mangiarlo lo soppesiamo con le mani, ne accarezziamo la buccia, lo annusiamo, scoprendo che ha un odore leggermente diverso nel punto dove era attaccato alla pianta. Poi lo tagliamo, sentendo la consistenza della polpa, infine lo mastichiamo e il suo sapore ci riporta ai profumi dell’estate, all’infanzia, quando con la famiglia si preparava tutti insieme la passata di pomodoro, oppure ad un piatto particolare che la nonna o la mamma cucinavano quando eravamo piccoli.
Il filo conduttore di Una cieca bellezza è il potere trasformativo di ciò che di bello ci circonda e che possiamo cogliere perfino nelle condizioni più difficoltose. Nelle lunghe chiacchierate preludio del libro, Elena e Filippo hanno capito in base alle rispettive riflessioni sulla loro vita che esiste una forma di bellezza nel dolore. Non si tratta di un paradosso né di una forzatura, è nelle situazioni più complicate, infatti, che emerge dentro di noi l’inaspettata forza di affrontare una sfida che ci sembrava insormontabile, accade quando nella delusione scopriamo la volontà di ricominciare, quando sappiamo perdonarci e accettare le nostre imperfezioni.
Elena, caregiver di Ilaria, riconosce la bellezza nell’atteggiamento di cura che è attenzione, presenza e dedizione. La cura oggi intesa quasi esclusivamente come attività di tipo sanitario-terapeutico, professioni considerate socialmente poco prestigiose, e ne è prova il gergo che le accompagna, «pulisci il sedere agli anziani e ai malati», se è questa la frase con cui vengono descritte. Pochi pensano invece alla competenza relazionale e alla sensibilità che occorrono per accudire le persone fragili, rispettandone la dignità e il pudore anche nelle operazioni di igiene personale.
Prendersi cura della fragilità crea dunque bellezza e umanità, proprio dove sembrano esserci soltanto “bruttezza” e sofferenza. Allo stesso modo ci si può occupare di una pianta, di un animale, di un progetto o di una passione; farlo con amorevolezza e responsabilità trasforma l’ordinario in straordinario perché fa nascere qualcosa di bello che prima non c’era.
Una cieca bellezza è un invito a rallentare in un’epoca-palcoscenico dove emerge chi parla più forte e si mette in mostra con atteggiamenti esibizionisti. Gli Autori privilegiano la perseveranza e la pazienza piuttosto che la frettolosità. Attraverso dialoghi intimi ed esercizi concreti ci prendono per mano in un viaggio suggestivo dal quale non si torna come quando si era partiti. Si impara ad apprezzare la bellezza delle piccole cose quotidiane e personalmente l’insegnamento che porterò per sempre dentro di me e che cercherò di mettere in pratica consiste nel trovare, alla fine di ogni giornata, almeno tre episodi che mi hanno resa contenta. In certi giorni saranno più di tre, in altri sarà difficile scovarne anche soltanto uno, ma se osserviamo bene, dentro di noi sono tante le emozioni che ci fanno essere grati, una giornata di sole, il sorriso di un bambino, un buon profumo, un libro, la telefonata di un amico, un filo di trucco per sentirci più belle (e qui parlo di me!), un elenco che potrebbe continuare declinato secondo il carattere di ognuno.
La gratitudine per l’esistenza è un tema centrale per gli Autori che la intendono come una forza motivante. Infine sono l’ingratitudine e l’indifferenza le vere cecità del nostro tempo.
Una cieca bellezza ci fa desiderare un mondo nuovo, migliore, ci insegna a partire da noi per innescare un cambiamento virtuoso. «Perché tutta questa bellezza – scrivono Elena e Filippo – nelle sue infinite sfumature e manifestazioni, ci riguarda personalmente. Possiamo guardarla, ascoltarla, toccarla, sentirla, viverla, con i sensi e con il cuore. Possiamo avere il privilegio di esserne i grati beneficiari e, nel contempo, i devoti responsabili».